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Milano

Giubileo della disabilità: «Oggi il Duomo è più bello e giovane per la vostra presenza»

Con l’immagine vivissima di quel “Noi tutti speriamo” che ha dato il titolo alla mattinata, il Duomo si è animato di gente, di giovani e anziani, di bimbi e genitori, di gruppi, associazioni, volontari, intere comunità parrocchiali, decine e decine di carrozzine, con i grandi schermi approntati per seguire ogni momento con il linguaggio Lis

di Annamaria BRACCINI

27 Settembre 2025
L'Arcivescovo Delpini durante le celebrazioni del Giubileo della disabilità

Il Duomo in festa – nonostante le difficoltà e tante sofferenze evidenti – per un momento di gioia di fede, di umanità grande. Il Giubileo diocesano della disabilità, presieduto tra le navate della Cattedrale dall’Arcivescovo, è stato questo. L’immagine, quasi plastica e vivissima di quel “Noi tutti speriamo” che ha dato il titolo alla mattinata, per cui già due ore prima dell’inizio del Giubileo, il Duomo si è animato di gente, di giovani e anziani, di bimbi e genitori, di gruppi, associazioni, volontari, intere comunità parrocchiali, decine e decine di carrozzine, con i grandi schermi approntati per seguire ogni momento con il linguaggio Lis. Tutti, appunto, insieme per dire, prima ascoltando alcune testimonianze e, poi, attraverso la sentita partecipazione alla celebrazione eucaristica, “ci siamo”.

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Le testimonianze

Ci siamo, come Claudio e Cinzia, genitori di Maria Letizia, «che non parla e non cammina, che difficilmente potrà essere mai autonoma, ma che è un dono meraviglioso»; come Leonardo, 55 anni che, dopo un incidente causato dalla sua dipendenza da sostanze e alcool, è rimasto paralizzato e tuttavia, ha cominciato proprio allora «a scoprire dentro di sé una grande riserva di energia, una forza che mi permette di essere diverso, migliore. La mano invisibile di Dio ha avuto misericordia di me e mi ha dischiuso un nuovo cammino di speranza», dice emozionato.

E, ancora, come don Andrea della comunità di Missaglia, che ha ricordato Davide, una ragazzino portatore di handicap, scomparso troppo presto. «Non abbiate paura di abitare i nostro oratori, perché abbiamo bisogno di tutti voi», scandisce a braccio tra gli applausi, rivolgendosi a tutti dall’altare maggiore. E non manca un educatrice, Martina, che racconta il suo lavoro che, «nonostante tutte le difficoltà – perché lo si sa bene che nulla è rose e fiori -, diventa oltreché un impegno professionale, un tentativo di vivere la speranza cristiana».

La celebrazione

Poi, puntualissima inizia la Messa significativamente animata, nella liturgia, da fedeli portatori di disabilità e accompagnata dai canti eseguiti dal coro “San Piergiorgio Frassati” di Sesto Calende che ha iniziato un percorso di inclusione di piccoli sordi e dell’orchestra e il coro “AllegroModerato” che conta, tra i suoi 50 elementi, alcune persone disabili.

L’orchestra e il coro “AllegroModerato” (Agenzia Fotogramma)

 

A concelebrare il rito, tra gli altri, il moderator Curiae, monsignor Carlo Azzimonti, il vicario episcopale di settore, don Giuseppe Como, alcuni presidenti di realtà importanti come don Enzo Barbante della Fondazione Don Carlo Gnocchi e monsignor Bruno Marinoni della Fondazione Sacra Famiglia, il presidente della Consulta diocesana “Comunità cristiana e disabilità” don Mauro Santoro, vera “anima” dell’iniziativa. È lui che porge il saluto di benvenuto, ringraziando l’Arcivescovo della sua costante attenzione e che sottolinea. «Vogliamo ancora elevare con forza la nostra preghiera per implorare il dono della pace, restando sempre inquieti di fronte a una violenza che non si ferma, continua a seminare morte e dolore, colpendo soprattutto i più fragili».

«Benvenuti a tutti questo Duomo che è così antico. Questa chiesa di Milano ha bisogno di giovinezza, ha bisogno di novità, ha bisogno che ciascuno di noi dica una parola, canti una canzone, compia un gesto per dire che da tanti secoli c’è il Duomo però oggi, per la nostra presenza, esso diventa più giovane e più bello», saluta, da parte sua, l’Arcivescovo, prima dell’omelia che il vescovo Delpini pronuncia insolitamente dalla Cattedra.

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Leggere il Vangelo è entrare nella storia di Gesù

Una riflessione molto particolare perché al suo interno si sviluppa una sorta di scena drammatizzata della pagina di Vangelo di Marco appena proclamata, con l’episodio della guarigione del cieco Bartimeo. Che, nella finzione, parla con la voce concreta di un ragazzo così come alcune altre persone interpretano la folla.

Mons. Mario Delpini (Agenzia Fotogramma)

 

«Alcuni leggono i santi evangeli come un bel libro, come una storia interessante, come una vicenda che in certi momenti commuove, in altri momenti è difficile da capire. Un libro interessante, come ce ne sono tanti. Ma il Vangelo non è stato scritto come un bel libro di lettura, non è stato scritto come una inesauribile enciclopedia di precetti e di pensieri. Il Vangelo è stato scritto per invitarti a entrare nella storia di Bartimeo, della gente e di Gesù», spiega monsignor Delpini.

Da qui – con un vero e indovinato coup de théâtre, è proprio il caso di dirlo – prende la parola l’immaginario Bartimeo: «Io sono un poveraccio, ma spero che il Signore si accorga di me». La folla lo zittisce perché il cieco grida ancora più forte: «Figlio di Davide abbi pietà di me».

«Cercano di farlo tacere»

L’Arcivescovo Delpini (Agenzia Fotogramma)

E, allora, è il vescovo Delpini che, proseguendo nell’omelia, si fa direttamente interprete dei pensieri di Gesù. «Il grido che invoca pietà mi commuove, mi tocca il cuore. Io percorro le strade della terra perché mi chiama il grido degli infelici, il grido dei poveri, il grido degli spaventi. Per questo sono venuto a vivere in mezzo alla gente: perché mi ha chiamato il grido dei fratelli e delle sorelle che ha commosso il cuore del Padre che sta nei cieli. Mi fanno arrabbiare quelli che cercano di far tacere Bartimeo. Cercano di farlo tacere perché chi grida è fastidioso. Cercano di farlo tacere per continuare ad andare avanti senza essere disturbati, per continuare a correre senza doversi fermare. Preferiscono essere sordi piuttosto che commuoversi, essere ciechi piuttosto che guardare negli occhi il grido e la protesta. Voglio conoscere che cosa c’è nell’animo dell’uomo che grida, che piange, che nessuno ascolta. Vieni, Bartimeo, vieni e sii felice, resta con me, sei salvo».

Questo, suggerisce in conclusione l’Arcivescovo, è leggere il Vangelo: «entrare dentro la storia di Gesù e tutti, tutti siamo incitati a entrare». Infine al termine della celebrazione viene eseguito in modo commovente l’Inno del Giubileo con tanti bimbi ai piedi dell’altare maggiore e altri che, con i gesti del Lis, lo interpretano per i non udenti, ancora tanta festa con la gente che sembra non voler mai lasciare la Cattedrale.

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