Parole nuove per una pagina nuova nel mondo del lavoro. Perché la situazione grave che continuiamo a vivere, con le sue tante crisi – tra cui quella occupazionale di particolare gravità – possa trasformarsi in un’occasione per cambiare nel profondo.
Lo dice, lo auspica, se lo augura l’Arcivescovo che presso il Terminal 1 del grande hub di Malpensa (20.000 i lavoratori interessati, considerando l’indotto), prega e rivolge un suo pensiero in vista della Festa del 1 maggio.
L’unica cifra che, nel saluto iniziale, porge Claudio del Bianco direttore relazioni esterne di Sea, da sola racconta un mondo inesorabilmente diverso con «quella diminuzione delle attivit, rispetto al 2019, pari all’85/86%, anche se noi – nota – siamo fortunati perché a tutti i dipendenti Sea è stato garantito il lavoro».
Don Walter Magnoni, responsabile del Servizio per la Pastorale Sociale e del Lavoro, introduce la preghiera, che si articola attraverso la lettura di un brano della Lettera apostolica “Patris corde” dedicata alla figura di San Giuseppe e di uno tratto dal Libro del Siracide. Da qui la riflessione dell’Arcivescovo cui sono accanto il nuovo cappellano dell’aeroporto, don Giorgio Spada, e il responsabile della Comunità pastorale “San Paolo VI” di Ferno e Lonate Pozzolo, don Gianbattista Inzoli.
Nell’ampio spazio con le grandi vetrate proprio alle spalle della Torre di controllo, accanto a una bella installazione artistica con la riproduzione dell’Ultima Cena, i dipendenti (alcuni anche con le famiglie), rappresentanti militari e dei diversi ambiti di impegno aeroportuale, ascoltano il vescovo Mario che parla di Malpensa come «luogo di passaggio, di transito, di trasporto», nel quale non bisogna lasciarsi prendere dal senso di «depressione, di scoraggiamento, di inutilità», come sarebbe fin troppo facile, guardando il check-in deserto.
La riflessione dell’Arcivescovo
«Le letture illustrano due aspetti del lavoro, uno del carpentiere Giuseppe: lavoro che esalta la dignità della persona e dà buone ragioni a ciascuno per essere fiero di sé. Una forma un po’ idealizzata. Il Siracide mette invece in evidenza un lavoro che quasi opprime l’uomo perché richiede fatica, implica una serie di pericoli, rende l’uomo quasi uno strumento e non un artefice e protagonista».
Il riferimento è anche per il Messaggio dello stesso Arcivescovo, dal titolo “Scriviamo una pagina nuova”, «come per dire che questo 1 maggio non possiamo chiamarla festa dei lavoratori, chiedendoci cosa ci sia da festeggiare».
E se «forse, quei grandi raduni, concerti, come rito consueto di questa festa sono certamente improponibili e si rivelano anche un po’ anacronistici», è perché, anche al di al dell’emergenza imposta dal Covid, il mondo del lavoro è cambiato «per l’incremento delle potenzialità della tecnologia, per una sensibilità più profonda riguardo alla sostenibilità ambientale, per la dinamica della globalizzazione. Il modo di lavorare è cambiato e, allora, questo è il momento adatto per scrivere una pagina nuova, perché può essere un momento per inventare, per diventare protagonisti», sottolinea il vescovo Mario che suggerisce alcune parole-chiave pur nella «consapevolezza che la soluzione non è a portata di mano e vi sono condizioni gravose».
La prima è fiducia «per affrontare questo periodo che prolunga un disagio. Lo scoraggiamento, la depressione non permettono di fare, infatti, passi avanti e ci costringono a pensare il tempo come un peso da portare è non come un’occasione da vivere; ci costringono a una sospensione: La fiducia, invece, vuole dire avere fiducia negli altri non come un fastidio o una concorrenza, ma come persone con cui camminare, inventando soluzioni. Il Signore ci dà la forza e lo stimolo per una convivenza che sia dignitosa per tutti».
Poi, la solidarietà «per non cedere a quella tentazione molto insidiosa dell’individualismo che non fa interessare ad altri che a sé. La forza dei lavoratori è sempre stata quella di essere uniti, pronti a difendersi gli uni gli altri. L’individualismo rende il mondo più fragile e frammentato. Occorre avere solidarietà tra chi ha il lavoro e chi no, tra uomini e donne, tra chi è italiano e chi viene da altri Paesi, tra giovani e anziani. Bisogna aiutarsi a vicenda quando si è nei momenti problematici, quando c’è da cercare lavoro».
La terza parola è alleanza «cioè sentire che gli altri enti non sono nemici da abbattere: vi deve essere alleanza tra le Istituzioni, tra i sindacati, del sindacato con la Chiesa, tra l’ente pubblico, tra le associazioni di categoria, il volontariato e l’attività professionale». Ognuno, naturalmente esercitando il suo ruolo. «Tuttavia – prosegue – in un momento di emergenza, mi pare che il tema della solidarietà debba diventare disponibilità a ragionare insieme su quello che si può fare e come lo di può fare. La mia presenza qui è per dire che la Chiesa si sente alleata con coloro che attraversano momenti difficili e offre volentieri il suo contributo nei momenti di prova»
E, ancora, il “buon vicinato”, che non è un’iniziativa istituzionale, ma uno stile quotidiano di rapporto tra le persone; stile che non lascia spazio all’indifferenza, alla rivalità, alla gelosia e all’antipatia», ma indica l’attenzione, anche solo con il gesto minimo verso gli altri, «per cui nel lavoro ci si sente tra persone che si aiutano e si rispettano»
Ma questo, non solo, come è ovvio, sul posto di lavoro, «ma anche nei vari ambienti di condivisione, nello stesso quartiere. Il buon vicinato è l’atto del gesto minimo che rende desiderabile stare insieme».
Inoltre, la carità: «quel gesto di compassione che fa attenti a chi è più povero e bisognoso, quella forma di generosità che dice che nessuno è tanto povero che non può aiutare un altro».
Infine, «la preghiera che dà fondamento solido a tutto questo. La presenza di Dio fa sì che le nostre buone intenzioni non siano propositi che poi svaniscono, ma è la forza invincibile che permette di perseverare senza perdersi di animo».