Una giornata per benedire e rendere onore al mondo del lavoro, nelle sue tante componenti e nel “valore aggiunto” di quanto rappresenta per la società e per il bene comune. Questo il significato degli appuntamenti che l’Arcivescovo – accompagnato dal responsabile del Servizio per il Lavoro e l’Azione sociale, don Nazario Costante – ha vissuto, visitando diverse aziende sul territorio diocesano, tutte località in provincia di Monza e Brianza: la Aprochimide di Muggiò, la Figini di Cesano Maderno e la Bracco Imaging Spa di Ceriano Laghetto, con oltre un centinaio di dipendenti riuniti per l’occasione. Per terminare a Milano con l’incontro con gli educatori professionali di oratorio.
E proprio rivolgendosi al folto gruppo di giovani donne e uomini presenti nel salone della chiesa di San Giorgio al Palazzo, in rappresentanza del centinaio di professionisti appartenenti alle Cooperative “Aquila e Priscilla”, “Farsi prossimo” e “Pepita”, monsignor Delpini ha delineato il valore di un lavoro, quello educativo, definito più volte «prezioso e molto spesso non riconosciuto adeguatamente dalle istituzioni».
Lavoratori a tutti gli effetti
Richiamando, in apertura, la stretta collaborazione delle tre Cooperative con la Fondazione Oratori Milanesi, il direttore della Fom don Stefano Guidi ha sottolineato «la specificità dell’oratorio che porta a un’altrettanta specificità dell’educatore professionale che è un lavoratore a tutti gli effetti, non un volontario, un sostituto del prete o un animatore. Un ruolo e un lavoro indispensabili a fianco dei sacerdoti di Pastorale giovanile, per affrontare insieme il disagio educativo, e sempre più insieme alla comunità per essere una vera comunità educante».
Dopo le brevi testimonianze di Ottavio Pirovano, presidente di “Aquila e Priscilla” – che ha parlato della necessità di stabilire un equilibrio tra coltivare la crescita dei ragazzi e custodire il dono dell’incontro – e di Andrea De Negro di “Pepita”, tre sono state le indicazioni che monsignor Delpini ha lasciato agli educatori.
«Poca attenzione per chi educa»
«Questo incontro è con voi come lavoratori e, infatti, si inserisce in una mattinata di visite ad aziende – chiarisce subito l’Arcivescovo -. Voi siete professionisti che svolgono un lavoro in Cooperative dentro la struttura ecclesiale. Vi dico la mia stima perché avete scelto questa professione e anche il mio rammarico perché oggi sembra che la società non offra prestigio e riconoscimento proporzionato, anche a livello retributivo, per chi lavora in ambito educativo. Stiamo vivendo un tempo in cui la parola stessa “educazione” suscita inquietudine e spesso rimanda a una sconfitta: la nostra società spesso percepisce l’emergenza educativa, però non si vede come possa affrontarla. È ovvio che non può fare tutto lo Stato che, tuttavia, deve creare le condizioni perché la famiglia e la scuola possano educare. Impressiona e ferisce vedere quello che si spende per distruggere, per costruire armi e fare la guerra», suggerisce, evidenziando la poca attenzione e rispetto per chi lavora per educare.
Investire nelle persone
Da qui la seconda parola. «Essere educatori, che significa essere a servizio della persona di cui prendersi cura aiutandola a realizzarsi. Ciascuno di voi può tornare a casa la sera, con la fierezza – anche se non sempre si vedono risultati – di chi si è posto a sevizio. Il vostro è un lavoro che non dà frutti immediati: l’educazione non è un investimento per dei risultati, ma per delle persone».
Poi, «l’essere in oratorio, dentro la comunità cristiana, quindi lavorando come educatori non qualsiasi, ma insieme con le famiglie, i preti e tutte le presenze che formano la comunità». «Noi abbiamo una visione perché crediamo che si vive di una vita ricevuta – ha proseguito -. Quindi, il tema della vocazione è il vero motivo per cui vi è un progetto educativo, perché ogni giorno, cosi, si aiuta a vivere con speranza. Mentre questo tempo sembra censurare la speranza, per cui un ragazzo oggi non vede un futuro desiderabile. La speranza è Gesù che chiama ciascuno. Siate professionisti che lavorano, educatori di persone in oratorio che non sono reticenti sulla fede e sulla vita che è abitata dalla speranza».
Di generazione in generazione
Una consegna nel nome della fiducia e della costruzione del bene comune emersa anche nelle visite alle aziende, tra cui la Figini, impresa giunta alla terza generazione e oggi guidata da tre soci della stessa famiglia: 15 i dipendenti di questa realtà impegnata nella progettazione e realizzazione di arredamenti su misura, commissionati da architetti anche di livello internazionale.
«Un’azienda è famiglia e, in questo caso, viene da una famiglia. Aziende così sono il tessuto di questo nostro territorio», osserva don Costante accanto all’Arcivescovo che visita i locali, accompagnato da Francesco Figini, presidente di Confartigianato Lombardia-Settore giovani.
Con lui anche gli altri due soci e i rispettivi padri, a testimoniare la catena generazionale di un lavoro artigianale divenuto di eccellenza. Nato, oltretutto, in un plesso che registra la presenza di una quarantina di capannoni riunitisi 40 anni fa nella Cooperativa “CA CM” grazie a un gruppo di artigiani che si ritrovavano in casa del parroco di Binzago, don Luigi Pozzi. A mettere la prima pietra e inaugurare lo spazio, il 19 marzo 1984, fu il cardinale Martini, ricordano con orgoglio alcuni che allora c’erano e che non hanno voluto mancare l’appuntamento con monsignor Delpini. Così come le autorità, il sindaco di Cesano Maderno Gianpiero Bocca, i rappresentanti di Confartigianato con il presidente della Consulta Monza e Brianza Paolo Rastellino e i responsabili delle due Comunità pastorali della città, don Fabio Viscardi e don Stefano Gaslini.
«Sono qui per rendere onore a un luogo in cui si lavora e si lavora bene, con il gusto di qualcosa di cui si può essere fieri. Questa azienda ha contribuito a una produzione di eccellenza, ma penso anche al lavoro quotidiano di tanti. La capacità creativa, l’interpretazione della materia a prendere le forme che l’uomo immagina è affascinante: Questo modo di lavorare ha fatto grande il made in Italy e la ricchezza dei nostri territori. La sua eccellenza è un omaggio a persone competenti, dedicate che affrontano la fatica e hanno la gioia di vedere riconosciuto il loro lavoro e che hanno attenzione per il lavoro degli altri. Anche perché il lavoro non è solo un bene per chi lo fa, per chi ci guadagna, ma è un bene comune e vi deve essere solidarietà nelle aziende, curando chi lavora e chi sta intorno, le famiglie».
Infine, il richiamo dell’Arcivescovo è al fare rete: «Condividere idee, sentirsi insieme di fronte alle sfide del mercato, della burocrazia, dello sviluppo tecnologico, può dare anche più peso politico. Sono qui a benedire, a dichiarare che Dio è dalla parte del bene che fate, dell’uomo e della donna che, nel luogo di lavoro, trovano la loro dignità, l’eccellenza, e il creare una trama di rapporti contro l’individualismo oggi presente nella società».