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Il Discorso alla Città 2023

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Sant’Ambrogio

Discorso alla Città: il bene comune esige fiducia

Nel suo pronunciamento l’Arcivescovo mette in guardia dalla paura che si diffonde come un virus, aiutata da chi la “semina” a tutto vantaggio di pochi interessati, e che condiziona scelte personali e vita sociale. Invita credenti e non a riscoprire la pratica di una virtù che passa attraverso il dialogo e il confronto tra idee diverse, per costruire alleanze davanti alle sfide di oggi: crisi demografica, emergenza educativa e migrazioni

di Pino NARDI

6 Dicembre 2023
L'Arcivescovo durante il Discorso (foto Agenzia Fotogramma)

«Riconosciamo che la fiducia è la virtù doverosa di coloro che interpretano la vita come una vocazione. È un dovere per noi tutti e in modo speciale per coloro che hanno responsabilità per il bene comune. La fiducia è un dono che chiede di essere reciprocamente offerto. Significa: volgere lo sguardo con benevolenza verso l’altro. Fidarsi, avvicinandosi all’altro, mettere nelle mani dell’altro la propria speranza. Esprimere gratitudine, credere alla promessa che l’altro è per te». L’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini, conclude così il Discorso alla Città, pronunciato nella Basilica di Sant’Ambrogio il 6 dicembre, alla vigilia della festa del Santo patrono (leggi qui il testo integrale).

Una riflessione che coglie nel profondo il contesto culturale e la qualità del dibattito pubblico, dove la paura diffusa come un’epidemia intacca le fondamenta del vivere civile e democratico: «Per una comunità, per una città, per un Paese la fiducia è una condizione irrinunciabile per una coesistenza pacifica delle persone, delle culture, delle religioni. La fiducia è un atteggiamento necessario per affrontare le sfide di oggi e per andare verso il futuro. La fiducia è l’antidoto per contrastare il declino della nostra civiltà. La fiducia è il rimedio all’epidemia della paura».

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Il riferimento manzoniano

Non poteva mancare un riferimento letterario ben presente a tutti: la figura di don Abbondio nei Promessi sposi. Infatti il titolo del Discorso è «Il coraggio, uno se lo può dare. Per una pratica della fiducia». «La mediocrità e la viltà possono essere giustificate e raccomandate come una forma di prudenza, come una pratica di realismo, come un consiglio per il quieto vivere – sottolinea l’Arcivescovo -. La figura di don Abbondio nei Promessi sposi, nel dialogo imbarazzante con il cardinal Federigo, giustifica il proprio comportamento nell’esercizio del suo ministero di parroco e nella sua responsabilità pubblica: “Torno a dire, monsignore – rispose adunque – che avrò torto io… Il coraggio, uno non se lo può dare”».

Delpini ribalta il discorso: «Mentre don Abbondio crede di essere saggio pensando che il coraggio, uno non se lo può dare, specie in un contesto difficile di prepotenze, ingiustizie impunite, inaffidabilità delle istituzioni, noi crediamo che sia saggio darsi ragioni e condizioni per avere coraggio e praticare la fiducia».

L’Arcivescovo invita così a reagire alla mediocrità e alla rassegnazione, a partire da chi ha responsabilità pubbliche, ad affrontare di petto la paura.

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L’epidemia della paura

«Come un’epidemia, la paura si diffonde dappertutto, contagia tutte le età e tutti gli ambienti. È un virus conosciuto, ma il vaccino per prevenire il contagio non è stato ancora trovato. La paura è un modo di sentire, di guardare al presente e al futuro, di considerare se stessi e gli altri. Si aggira per le strade con il suo corteo di sospetti che isolano, rabbia che aggredisce, sfiducia che trattiene dal decidere, dall’intraprendere, dal donare».

«I sintomi preoccupanti della paura si riconoscono in una cautela irrazionale»: è questo il primo segnale da affrontare e superare, perché ha pesanti ripercussioni nelle scelte di vita quotidiana. Innanzitutto «dissuadono dal costruire rapporti affettivi stabili, legami matrimoniali in cui è desiderata l’indissolubilità, famiglie che vivano con naturalezza il succedersi delle generazioni. Ma la paura di sposarsi e di fare famiglia è un principio di tristezza e di solitudine… il desiderio della maternità e della paternità è un segno della chiamata a costruire il futuro… ma il virus della paura scoraggia il sogno condiviso, induce a rimandare la decisione di avere bambini fino a che non ci siano tutte le garanzie che promettono di esorcizzare la paura. La crisi demografica ha una delle sue radici nella paura».

Se questo vale per le scelte personali, a maggior ragione vale nella società: «L’assunzione di responsabilità in ambito sociale, nelle amministrazioni locali, in politica, nella propria professione si può considerare come uno dei modi di vivere dell’uomo e della donna adulti che mettono le loro capacità a servizio della società. L’essere chiamati a un ruolo di responsabilità nel lavoro, l’essere indicati come responsabili di associazioni, di iniziative che rendono viva e generosa la città e il Paese, l’essere chiamati a impegnarsi nell’ambito politico, sono un riconoscimento delle doti e allettanti anche per legittime ambizioni personali. Ma molti si sottraggono alle responsabilità, specie quando si tratta di ambiti che chiedono impegno senza promettere potere o guadagni. Di fronte alle responsabilità si insinua la paura dei contrasti, della fatica delle mediazioni, dell’aggressività delle critiche. La paura consiglia di starsene cauti nel proprio privato e lasciare agli altri di curarsi del bene comune». Quindi sempre meno persone motivate e responsabili si impegnano per la costruzione del bene comune.

Certo Delpini non sottovaluta i fattori che incrinano la fiducia, spengono l’entusiasmo e fanno venire meno il coraggio. Tuttavia «ho però buone ragioni per invitare a pensare, a reagire, a contrastare quel sentire la paura che genera sfiducia. Con la paura si invoca l’immunità, per difendersi dall’altro. Con la fiducia invochiamo la comunità, che è difesa dell’altro».

Le autorità presenti in Basilica

I seminatori di paure

«La paura si diffonde come un’epidemia. Invece che essere riconosciuta come una malattia, è giustificata come una forma di realismo. Chi convince che avere paura sia una forma di buon senso?», si domanda l’Arcivescovo. E individua alcune categorie, anche se non vanno generalizzate e colpevolizzate

Innanzitutto i giornalisti: «Un contributo determinante per farsi un’idea di quello che succede è dato dalle notizie, dalla comunicazione. Per farsi un’idea di che cosa stia succedendo nel mondo, ma anche in città, sono decisive le notizie che i media scelgono e diffondono. Se i media, di tutto quello che succede, comunicano preferibilmente le notizie di episodi tragici, di comportamenti pericolosi, di problematiche spaventose, di prospettive preoccupanti, è comprensibile che l’immagine della realtà che si condivide, l’atteggiamento personale e il clima che si respira siano malati di paura. C’è, quindi, una responsabilità indeclinabile di coloro che operano nel campo della comunicazione».

Ma anche la quotidianità delle famiglie, le chiacchierate tra amici e colleghi con lamentele, malumori, risentimenti favoriscono il diffondersi di un clima. E ancora gli ambienti educativi, scolastici, ecclesiali, con un pessimismo abituale, un malumore radicato, una sfiducia generalizzata.

Soprattutto la domanda decisiva: a chi giova diffondere la paura? «Forse l’accumulo di beni, il sottrarsi alle responsabilità, il convincersi che la politica sia una cosa sporca, che dedicarsi al bene comune sia un esporsi a pericoli e linciaggi mediatici, insomma queste abitudini congeniali a un radicato individualismo giovano ai mercanti e alle ambizioni autoritarie».

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L’umanità merita fiducia

Nonostante l’assedio «continuo e minaccioso» della paura, l’Arcivescovo non dispera e dichiara con forza che «l’umanità merita fiducia»: «Non sono ingenuo. So anche che sulla terra si aggirano imbroglioni e truffatori, persone disturbate che possono disturbare, persone disoneste che dedicano il tempo a progettare furti e cattiverie. Sì, ci sono anche loro. Ma forse anche loro meritano attenzione perché possano essere recuperati alle regole della buona educazione e dell’onestà. In ogni caso si deve dire che noi viviamo, sostanzialmente, di fiducia. E perché, dunque, c’è tanta gente sfiduciata?».

Seminatori di fiducia

A partire da sant’Ambrogio, ai tanti testimoni di santità ed eroismo, che hanno segnato la storia milanese e lombarda, questa è una terra generosa di persone impegnate con serietà e serenità. E oggi? «Guardiamo con ammirazione alla testimonianza di uomini del nostro tempo che sono parola ed esempio di fiducia e, primo fra tutti, a papa Francesco e raccogliamo le sue parole di incoraggiamento, di chiamata alla responsabilità – risponde Delpini -. È come se una parola corale ci raggiungesse per chiamarci: “Ci saranno ancora, a Milano, uomini e donne che si fanno avanti per seminare fiducia? Ci saranno uomini e donne che aiutano la città a cambiare aria perché sono onesti, sinceri, dediti al bene comune, affidabili nelle parole che dicono, trasparenti nel loro operare, virtuosi senza esibizionismi, costanti senza testardaggine, pronti alle responsabilità senza arrivismi? Ci saranno uomini e donne pronti a contribuire al presente e al futuro della città promuovendo un umanesimo della fiducia, che non si curano per prima cosa di rendere attraente la città dando fiducia agli investitori, ma sono convinti che la città avrà un futuro se avrà abitanti, se avrà bambini, se custodirà rapporti di solidarietà, di buon vicinato, di corresponsabilità?”».

Le virtù e il dovere di chi ha responsabilità

Come si può vivere con fiducia? Se lo chiede l’Arcivescovo: «Si tratta di assumere una visione della realtà che dà buone ragioni per darsi il coraggio necessario a vivere con fiducia». A partire dal «fondamento irrinunciabile nel confidare in Dio», riduttivamente «censurato come un fastidio» nella cultura dominante. Ma c’è anche un severo richiamo ai credenti: «Per i cristiani il riferimento a Gesù, alla sua missione e al suo messaggio deve ispirare una fiducia che può essere invincibile, se la pratica cristiana non è troppo superficiale e convenzionale».

Delpini propone anche una virtù oggi in disuso, nella guerra tra fazioni in tutti i campi, nelle forme di «irragionevole aggressività». Eppure fondamentale nella società e nella politica, in un’epoca costellata da guerre. «La fiducia che rende possibile la collaborazione prende forma nel confronto tra le persone, sia come singoli sia come rappresentanti di organismi, partiti, forme associate di presenza sociale. Chi ha responsabilità sperimenta che il dialogo, la trattativa, l’incontro, sul presupposto della stima vicendevole, rendono possibile comprendere le ragioni di chi è d’accordo e di chi si oppone. In realtà non c’è alternativa alla ricerca di una soluzione dei conflitti. Lo spettacolo desolante delle guerre con quello che comportano di distruzione di vite e di Paesi, di odio e di risentimenti che diventano inestirpabili, deve convincere tutte le persone di buon senso a ostinarsi nel dialogo e nella trattativa».

Infine, Delpini affronta la complessità delle situazioni e la necessità di stringere accordi: «Le alleanze costruttive sono la buona pratica che coinvolge le persone e i corpi intermedi e rende abituale condividere pensieri, risorse, attività nella logica della sussidiarietà e della solidarietà. Ciò che rende alleati per il bene non è necessariamente la condivisione del punto di partenza, delle ideologie, degli interessi, ma piuttosto la persuasione di avere sfide comuni da affrontare. Se si concorda sul fine da raggiungere in un ambito specifico si trova il modo di essere alleati e di costruire insieme una risposta».

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Le sfide

«Animati dalla fiducia, coltivando una stima vicendevole, rispettando le diverse competenze, possiamo dichiararci alleati per affrontare le situazioni in cui ci troviamo e di cui abbiamo responsabilità», rilancia l’Arcivescovo e individua a titolo di esempio tre ambiti di intervento.

Primo, la crisi demografica: «Investire con coraggio su una politica della casa, della maternità, della scuola. Perché ci sia una mentalità aperta alla generazione e desiderosa di futuro, quindi di figli e figlie, non basta creare condizioni favorevoli, ma è necessaria una vera “rivoluzione culturale”».

Secondo, l’educazione. Oggi i rapporti tra le generazioni sembrano interrotti, manca una comunicazione profonda tra giovani e adulti: «Chi ha responsabilità deve avere motivi di fiducia: non un ingenuo ottimismo, ma una determinazione a stabilire rapporti, a propiziare incontri, ad ascoltare e a farsi ascoltare. Le alleanze educative sono la via da percorrere perché non si spenga la speranza in coloro che custodiscono il futuro e si risvegli in tutti gli adolescenti e i giovani la persuasione che la vita è una vocazione e che il futuro è una responsabilità da affrontare, non una minaccia da temere».

Terzo, il fattore “migrazioni”: «Le migrazioni sono interpretate come un inarrestabile fenomeno globale. Luoghi comuni e sentimenti diffusi, informazioni parziali e ideologie tendono a ridurre i migranti ai profughi, folla indistinta di poveracci che sono da temere come invasori o da accogliere come miserabili bisognosi di tutto. In realtà, si tratta di un fenomeno complesso, studiato e analizzato in molti modi. La tragedia delle guerre che devastano molti Paesi è tra le ragioni più drammatiche delle migrazioni. La difficoltà che l’Europa sperimenta nell’affrontare il tema è un segno preoccupante. L’Europa potrebbe avere la fierezza e la genialità di una via più sapiente e lungimirante. Le nazioni europee hanno risorse e competenze per incisive opere di pace, per promuovere sviluppo umano e alleanze internazionali, per rendere possibile il diritto di restare e il diritto di partire, e contrastare quel migrare disperato che espone a inimmaginabili sofferenze. Noi vorremmo essere cittadini di un’Europa protagonista nell’opera di pace e di sviluppo dei popoli. Perciò sentiamo il dovere di vivere anche l’appuntamento elettorale della prossima primavera con responsabile partecipazione».

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