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Gazzada

Delpini incoraggia gli amministratori: «Avete competenze, ho stima di voi»

A Villa Cagnola il confronto con sindaci e persone impegnate nell’ambito sociopolitico nella Zona II. Le testimonianze provenienti da diversi ambiti hanno preceduto la riflessione dell’Arcivescovo: «La fiducia si attinge dalle alleanze anche tra le istituzioni»

di Annamaria BRACCINI

16 Febbraio 2024
L'intervento dell'Arcivescovo

«C’è bisogno di un’intensità di preghiera che abbia ragione di tutte le meschinità di cui sono bersaglio coloro che hanno delle responsabilità: i sindaci, i parroci, chi lavora nella scuola o nel mondo della politica. Come si fa resistere? Da dove si attinge alla fiducia? Dallo spirito di Dio, con la preghiera e stando attaccati al Signore. Mi sembra che nel nostro tempo e nei nostri territori si preghi troppo poco. Mi compiaccio dei sindaci che si mettono insieme, delle Acli, della Pastorale giovanile impegnata a livello zonale: noi siamo insieme per condividere sogni e metodologie con stima reciproca, anche se veniamo da aree politiche diverse, perché abbiamo a che fare con la stessa gente. La fiducia si attinge dalle alleanze anche tra le istituzioni».

Così l’Arcivescovo ha definito il senso del suo intervento, fulcro dell’incontro con gli amministratori pubblici, i sindaci e le persone impegnate nelle realtà socio-politiche della Zona pastorale II (Varese), svoltosi a Villa Cagnola di Gazzada di Schianno con il titolo «Seminare fiducia: impresa possibile?». A partire dalla riflessione suscitata dal Discorso alla Città 2023, «Il coraggio, uno se lo può dare», la serata si è articolata tra testimonianze, la riflessione di monsignor Delpini e il successivo confronto tra il folto pubblico presente.

Sul palco due giovani – Leda Mazzocchi e Valerio Langé, promotori della locale Scuola socio-politica -, monsignor Eros Monti (direttore dell’Istituto superiore di Studi religiosi Paolo VI, iniziatore 7 anni fa della Scuola) e monsignor Franco Gallivanone, da circa 6 mesi Vicario di Zona, che definisce l’appuntamento «un’occasione preziosa», chiedendo di «sostenere con passione questo servizio perché sia possibile contagiare con fiducia le persone per la responsabilità che tutti abbiamo a livello civile». Si avviano, poi, gli interventi. 

Il tavolo dei relatori

Lavoro, giovani e cosa pubblica

Inizia Carmela Tascone, delle Acli Varese, una realtà consolidata che, in questa provincia, conta 53 circoli diffusi sul territorio, oltre 6000 iscritti, 70 dipendenti e più di 500 volontari: «L’andamento del mercato del lavoro si sta lentamente riavvicinando ai dati del periodo precedente alla pandemia ed è in risalita anche il tasso di occupazione che si attesta intorno al 67%, con quello della disoccupazione pari al 4,7% (3,2% uomini e 6,5% le donne), ben più basso di quello nazionale (7,2%). Eppure la diminuzione del lavoro femminile e l’aumento delle imprese che segnalano problemi a reperire lavoratori adatti alle loro esigenze (46% dei casi, dati 2022) dice di tante difficoltà».  Interessante l’attività dello Sportello “Orizzonte Lavoro” promosso due anni fa dalle Acli Varese a cui si sono rivolte 200 persone, prevalentemente stranieri con disagio sociale. Di fronte «al silenzio assordante che circonda il lavoro povero e precario, che fare?» chiede Tascone. 

Sul disagio giovanile espresso dal territorio si sofferma Filippo Maroni, della Cooperativa “Pepita”, coordinatore del progetto “Happiness”, promosso dalla Pastorale giovanile del Decanato di Varese e nato nell’oratorio della parrocchia di San Vittore nel centro della città: «Cosa possiamo fare per andare incontro ai ragazzi che in oratorio non ci vanno? Dal maggio 2021 abbiamo intercettato circa 900 adolescenti». «Nel suo Discorso – osserva Maroni rivolgendosi direttamente all’Arcivescovo -, c’è la parola “merito”: noi la ribaltiamo e ci domandiamo se noi ci meritiamo la fiducia di questi ragazzi spesso rifiutati che, nei casi più difficili, non lavorano, non vanno più a scuola, fanno uso di sostanze. Come?». In modo molto semplice, «aprendo loro le porte, perché sono giovani difficili, ma non cattivi», nota Maroni, che sottolinea la sinergia con il Comune e le istituzioni locali.

È la volta di Maria Irene Bellifemine, sindaco di Malnate, in rappresentanza di altri primi cittadini del territorio e vicepresidente del Centro Studi “Comuni Orizzonti” che raggruppa, «per riempire un vuoto culturale», sette sindaci di diversi schieramenti politici: ««Come intervenire, nel nostro piccolo, sull’impoverimento della politica come cura della cosa pubblica? Con lo stesso spirito con cui facciamo i sindaci abbiamo dato vita a orizzonti comuni, perché abbiamo bisogno di nuovi orizzonti, mettendoci a disposizione. Siamo innamorati della politica e vogliamo farne una diversa da quella che vediamo in tv. Oggi, per amministrare e governare, occorre essere operatori di pace, come diceva don Tonino Bello e avere sogni, come scriveva Eleanor Roosevelt. Ma come essere costruttori di pace, come essere liberi se aleggia il timore della censura?», scandisce Bellifemine.   

A tutti questi interrogativi, e alla sottostante domanda complessiva riguardante il ruolo degli impegnati nel socio-politico, risponde l’Arcivescovo. 

Il pubblico presente a Villa Cagnola

Il “pollaio” e la vita autentica

«C’è una voce che ci chiama, una vocazione, una chiamata a dare, ad abitare una terra promessa. Nella nostra temperie culturale, invece, la sensazione diffusa è che il futuro sia una minaccia ed è ovvio che un futuro non desiderabile non è abitato. Basta, forse, abitare il “pollaio”, avere abbastanza mangime, qualche rassicurazione, un’illusione di essere al sicuro. Al contrario, si vive se si hanno buone ragioni per sperare e guardare avanti», sottolinea l’Arcivescovo, che esprime una sua persuasione, come la definisce: «Noi possiamo avere voglia di costruire il futuro se siamo persuasi che ci sia una terra promessa in cui valga la pena di orientarsi. Che idee vi siete fatti del vostro Comune, della vostra provincia, della vostra associazione? Nessun altro può rispondere a questa domanda, se non voi. Avete espresso le difficoltà dei lavoratori e dei giovani, la sindrome che pare paralizzare gli adolescenti, ma questa malattia riguarda tutti. Chissà se abbiamo ancora dei sogni, non come una fantasticheria irrealistica, ma come riflessioni sul futuro per la nostra terra». Da qui una prima sfida: immaginare l’alternativa al pollaio della sopravvivenza, per una configurazione alternativa del proprio territorio.

Poi, una seconda convinzione che, dice Delpini, ha ispirato anche il suo Discorso alla Città, relativa a dove attingere la fiducia: «La prima cosa è che noi cristiani crediamo in un Dio che è con noi e che lo Spirito santo ci rende capaci di compiere le sue opere. Abbiamo fiducia perché la nostra vocazione non è un progetto, ma una risposta a Colui che ci chiama. Io credo che abbiamo bisogno di un’intensità di vita spirituale, di pregare – si prega troppo poco -, di vita di Chiesa che è ciò che ci permette di far fronte a tutte le mortificazioni, le frustrazioni, le ingiuste accuse».

E, ancora: «Abbiamo bisogno di alleanze, di tessere rapporti che non sono solo di conoscenza o di scambio di favori, ma di riflessione, di condivisione di sogni e di paure, costruiti sulla stima vicendevole». Una stima che permette di andare oltre gli steccati politici e le divisioni per condividere progetti e speranze, avendo stima anche di se stessi.

Un altro momento della serata

L’alleanza intergenerazionale

Questa la consegna finale: «Siete bravi e capaci, avete idee e competenze, perciò non scoraggiatevi. Mi aspetto da voi delle risposte, anche se nessuno di noi ha la risposta onnicomprensiva, capace di disegnare un mondo nuovo che salti il presente. Abbiamo risposte parziali, tentativi, progetti riusciti e falliti – come insegna la storia ed è per tutte le persone -, ma coltiviamo fiducia e fierezza, la fiducia che si assume da Dio e dalla stima di se stessi».

Il tema è quello del futuro, «che non può prescindere, se non da una vera e propria alleanza, comunque da un rapporto intergenerazionale in cui prendersi cura dei ragazzi visti non come una specie di riserva indiana», ma come una generazione «a cui dimostrare, con sincerità, che è bello e promettente diventare adulti». Come a dire: non servono «immagini ideali, ma nemmeno il lamento sistematico e la frustrazione deprimente», occorre «coinvolgersi, avere un orizzonte» e una terra promessa verso cui camminare. «Voglio ribadire la responsabilità che abbiamo di essere seminatori di fiducia», conclude, infatti, l’Arcivescovo, «perché abbiamo buoni motivi per sperare e per essere alleati».

Proprio sul futuro, infine, l’invito ai presenti a confrontarsi liberamente con chi è seduto accanto, fuori dagli schemi delle domande programmate come in un copione già visto. E così la gente inizia a parlarsi, a guardarsi negli occhi, a fare domande e darsi risposte: un bel segno di condivisone nella logica, forse, del passato che ha fatto grandi queste terre e del domani che vogliamo.