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Chiesa e malati: la cura della fede in ospedale

Un bilancio con mons. Piero Cresseri a conclusione del corso biennale di pastorale sanitaria che ha coinvolto quest'anno 40 persone. In diocesi i cappellani ospedalieri sono 130 e le suore 170. Attenti alle esigenze di tutti i ricoverati e dei loro parenti

5 Giugno 2008

28/04/2008

di Luisa BOVE

Si concluderà il 14 maggio il «Corso biennale in pastorale sanitaria» che ha coinvolto quest’anno 40 persone. In realtà sono già un esercito i preti, le religiose e i laici che frequentano corsie di ospedali, case di cura e di riposo, centri riabilitativi, hospice, cliniche… per accompagnare i malati in un momento delicato della vita. In diocesi queste strutture sono 486 ma non in tutte può essere garantita una presenza. Sono comunque 130 i cappellani ospedalieri già impegnati nelle diverse zone pastorali (40 solo a Milano), di cui 70 a tempo pieno. Le suore invece sono 170, di cui 40 con nomina arcivescovile, mentre i laici – spesso legati ad associazioni e gruppi oppure ministri straordinari dell’Eucaristia – non sono quantificabili.

Oggi i cappellani, spiega monsignor Piero Cresseri, responsabile della Pastorale della sanità in diocesi, devono fare i conti con «la nuova legge sanitaria» che ha ridotto moltissimo i giorni di degenza per cui «si ha poco tempo per seguire i pazienti, si riesce invece ad avere molta attenzione verso i malati ematologici, oncologici e in generale tutti i tumori». Èsoprattutto nei reparti di medicina e chirurgia che i tempi di ricovero si sono abbreviati «per un’appendicite, un’ernia o un chek-up bastano 2 o 3 giorni» e così «si ha solo il tempo di conoscere un paziente e di avere un primo approccio spirituale perché viene presto dimesso».

«Ben diversa la situazione nelle case di riposo e nei centri riabilitativi – assicura Cresseri -, dove gli ospiti si fermano per 40 giorni, a volte per mesi o anni per terapie e riabilitazioni. Allora si riesce a svolgere una pastorale sanitaria molto ampia, che va dall’incontro personale all’amministrazione dei sacramenti, fino all’accompagnamento spirituale». In queste strutture quindi il «servizio» non si limita a brevi incontri e alla Messa, ma durante la settimana vengono proposti altri momenti di preghiera: Rosario, novene, letture bibliche e dove ci sono religiosi si celebra anche la liturgia delle ore, le lodi e i vespri.

Al colloquio iniziale con un paziente spesso segue un accompagnamento più puntuale anche dal punto di vista spirituale che in alcuni casi sfocia nella richiesta esplicita dei sacramenti. Non solo della comunione, ma anche dell’unzione dei malati, sacramento che può essere amministrato «in forma privata e personale», quindi andando al letto del ricoverato, oppure, come avviene in diversi ospedali, «in forma comunitaria con una celebrazione in cappella».

Se tra i malati ci sono persone che appartengono a confessioni o religioni diverse il cappellano ha il compito di chiamare il ministro di culto valdese, ortodosso, ebreo, musulmano… avvisandolo che un paziente desidera una sua visita. «Ogni cappellano infatti – spiega monsignor Cresseri -, ha l’elenco preparato dall’Ufficio per il dialogo e l’ecumenismo con tutti i responsabili delle diverse confessioni cristiane e l’indirizzo degli imam e dei rabbini cui fare riferimento».

«Nei nostri ospedali, soprattutto quelli in città dove ci sono grandi specializzazioni e si fanno trapianti o delicati interventi all’addome, all’esofago, al fegato… – continua il responsabile diocesano -, offriamo un aiuto anche dal punto di vista logistico indicando ai familiari dove possono alloggiare». Esistono infatti molte case di accoglienza che ospitano i parenti o gli stessi pazienti che vengono a curarsi a Milano e devono sottoporsi a cicli di terapie in day hospital.

La pastorale sanitaria si rivolge innanzitutto al malato, «ma non bisogna dimenticare che i ricoverati sono sempre seguiti dai familiari», dice monsignor Cresseri, «i cappellani quindi hanno il compito di sostenere, incoraggiare e consolare anche i parenti».