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Olga Karatch a Milano: «Tutti possiamo fare qualcosa contro le dittature e per la pace»

L’attivista bielorussa ha portato la sua testimonianza presso la sede di Caritas Ambrosiana, invitata dalle realtà ambrosiane del Terzo settore. La situazione di repressione nel suo Paese, dove è ricercata come "terrorista", e la vicina guerra in Ucraina.

di Annamaria BRACCINI

10 Marzo 2024

Tante associazioni per dire tutti insieme che “no è no” alla guerra, alle armi, alle dittature. Per circondare di solidarietà e affetto chi, a costo della sua stessa incolumità, continua a denunciare con coraggio prevaricazioni e violenza vivendo esule da anni. Come Olga Karatch, l’attivista bielorussa che ha portato la sua testimonianza presso la sede di Caritas Ambrosiana nell’undicesima e ultima tappa del tour italiano, iniziato lo scorso 22 febbraio a Montecitorio, ospite d’onore dell’ufficio di presidenza della Camera dei deputati. La dissidente pacifista è giunta a Milano dopo aver ricevuto il premio Langer 2023, in occasione della 19esima edizione della rassegna Euromediterranea “No means no” (appunto, “No è no”), promossa dalla Fondazione Alexander Langer Stiftung,.

Olga Karatch

Politologa e direttrice di Our House/Nash Dom (“La nostra casa”), giornale autoprodotto nato nel 2002, a cui è oggi legata la rete impegnata nella difesa dei diritti umani e civili, classificata anch’essa come terroristica dal regime bielorusso di Lukashenko, la Karatch coordina più di 23 gruppi di volontari in circa 20 città del Paese e alcuni gruppi in esilio. Più volte incarcerata in Bielorussia e anche torturata, è considerata dal regime una terrorista e il suo nome appare nell’sito del KGB bielorusso con il numero 733. Oggi vive in esilio a Vilnius, in Lituania, perché in patria l’attenderebbe la pena capitale.

E proprio per sensibilizzare alla vicenda della dissidente e ai valori che porta avanti con la sua battaglia per la giustizia, Caritas Ambrosiana, Legambiente Lombardia, Acli Milano, Forum Terzo Settore Milano, Movimento Nonviolento e Casa della Carità “Angelo Abriani”, hanno voluto incontrarla, sottoscrivendo un manifesto per non lasciare sola Olga impegnandosi, tra le altre cose, a mantenere i contatti con la rete “Nash Dom” e a sostenere il riconoscimento a Karatch, in Europa, dello status di rifugiata politica. Così come ha sottolineato Christine Stufferin, presidente della Fondazione Alexander Langer, spiegando l’importanza di creare reti tra persone e le ragioni del riconoscimento, intitolato al politico ed eurodeputato altoatesino, per cui è stata scelta l’attivista.   Premio conferito per la sua attività a favore degli obiettori di coscienza e disertori dell’esercito dell’autocrate bielorusso Lukashenko, contro la militarizzazione di bambini e bambine soldato e l’aprirsi di un possibile secondo fronte di invasione russa in Ucraina.

Le associazioni presenti

«L’esempio di Olga, la sua battaglia, ci stimolano a dare il nostro contributo, magari piccolo, ma non per questo meno indispensabile, all’edificazione di una cultura e di un clima di pace diffusi e autentici», ha osservato, nel suo saluto di benvenuto, Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana. «I temi della pace e dell’obiezione di coscienza non sono, certo, di second’ordine affinché i nostri giovani possano conoscere e costruire un’alternativa, mai dandola per scontata, in un contesto di guerre che vanno moltiplicandosi in tutto il mondo. Auguro che questo incontro possa essere un’ulteriore tappa su tale strada sulla quale vogliano e possiamo andare avanti», ha aggiunto Gualzetti cui erano accanto Barbara Meggetto, presidente Legambiente Lombardia – modera il dialogo Silvia Argentiero di Nuove Ecologia – Mao Valpiana, presidente Movimento Nonviolento, Andrea Villa, presidente delle Acli Milano, Monza e Brianza, Rossella Sacco, portavoce Forum Terzo Settore Milano, don Paolo Selmi, presidente Fondazione Casa della Carità. In prima fila, tra gli altri, il modeator Curiae, monsignor Carlo Azzimonti.   

Olga Karatch

La testimonianza di Olga

Esprimendo la sua gioia nell’essere a Milano – «che ho conosciuto sempre come città del fashion, ma che oggi scopro come un luogo dove ho potuto portare la mia testimonianza», dice – la Karatch      candidata, quest’anno, anche al Premio Nobel per la Pace, ha definito molto arricchente e soddisfacente il suo tour italiano.

«Sono un’attivista, ma anche una mamma e una femminista che si batte per i diritti umani: sono stata chiamata terrorista e per questo, secondo il regime in Bielorussia, merito la pena capitale. La ragione ufficiale per cui Lukashenko mi chiama terrorista è che avrei rilasciato dichiarazioni sul regime russo e sul trattato Atlantico, in contatto con Angela Merkel che io, però, non ho mai incontrato». E se, apparentemente la Bielorussia è piena di terroristi – oltre 800 -, ma non vi è stato nessun atto terroristico, è detto tutto.

«Lukashenko è al potere dal 1994 e questo significa che nessun’indipendenza o elezione libera è possibile», scandisce la dissidente, delineando un «controllo sulla popolazione estremo e pervasivo, dal livello più basso al più alto. Ufficialmente vi sono nel Paese 1500 prigionieri politici, ma non avendo accesso a nessuna informazione, non sappiamo quanti siano veramente, anche se crediamo che il loro numero sia molto più alto. Spesso chi li difende, perde persino lo status di avvocato. Abbiamo 14.000 casi di persone giudicate estremiste ed è molto semplice rientrare in questa categoria, basta sottoscrivere posizioni indipendenti o dire che qualcosa non piace», racconta ancora Olga facendo riferimento al caso di un suo amico personale «che solo per aver scritto sulla mia pagina Facebook redigendo i testi, è stato condannato a 6 anni di prigione e si è suicidato in carcere».

La situazione femminile

Gravissima, nella gravità più generale, la situazione femminile in Bielorussia. «C’è una lista di 165 lavori che sono impediti alle donne e si arriva al fatto surreale che non si può essere guidatrici di autobus, ma di tram sì, non si può lavorare sott’acqua o guidar un tir. Le donne non possono essere presidenti, perché non possono portare i pantaloni, dice Lukashenko, per cui non è pensabile che una donna dia ordini all’esercito nazionale. In un contesto come questo il significato della parola guerra, anche se tecnicamente non c’è in Bielorussia, ma non è meno forte che in Ucraina.

«Una mia amica, denunciata dal padre e dai suoi fratelli, è stata imprigionata per 8 mesi e torturata, solo perché i familiari miravano ad impadronirsi della sua casa. Questo tipo di denunce è molo diffuso e non solo per questioni attinenti alla politica. La fiducia tra le persone è stata distrutta», sottolinea Karatch con amarezza nella voce.

La guerra

Il pensiero non può che tornare alla guerra in Ucraina. «Quando è iniziata, siamo rimasti scioccati: per noi e stato particolarmente doloroso perché siamo vicini – russi, ucraini, bielorussi – e, in ognuno di tre Paesi, abbiamo parenti, amici che sono in guerra tra loro. Abbiamo cercato di capire cosa avremmo potuto fare, anche perché non era chiara, all’inizio, la possibile discesa in campo della Bielorussia. Per questo abbiamo lanciato la campagna “No è no”, specie per sensibilizzare l’obiezione di coscienza.

«Questa campagna per me – conclude Karatch – ha un senso particolare perché, per la prima volta, non mi occupo della difesa di donne e bambini, ma della protezione dei diritti umani maschili. Il potere fa intuire che chi fa obiezione non è veramente un uomo: anche questo è una problema di genere. Se si è disertori o obiettori di coscienza si è criminali e passibili della pena di morte. Anche se ci si rifugia in Lituania, si è controllati e non si può ottenere, per 5 anni, il visto per andare in Occidente. Credo che anche se ci fosse un accordo tra Zelenskj e Putin la guerra non si fermerebbe perché vi è una dimensione ormai di allargamento del conflitto, ma anche noi non ci fermeremo».

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