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Speciale

La guerra in Europa

Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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«Il Segno»

L’Ucraina è stanca di guerra, ma una pace giusta è lontana

Con 14 milioni di sfollati, un enorme disastro ambientale ed economico, un crollo delle nascite mai visto prima, il Paese vede diminuire anche il consenso interno e il sostegno internazionale. E continua a pagare il prezzo per aver osato scegliere la libertà dalla Russia. La riflessione di Vincenzo Cesareo pubblicata sul numero di febbraio

di Vincenzo CESAREO*

23 Febbraio 2024
Foto Pixabay

Da Il Segno di febbraio

L’aggressione russa all’Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022, ha bruscamente interrotto i tanti anni di pace vissuti da un’ampia parte della popolazione europea, dopo il dramma della Seconda guerra mondiale. Una pace ritenuta ormai talmente consolidata da indurre a prevederne la proiezione nel futuro. La guerra in atto da quasi due anni nel cuore dell’Europa ha messo in crisi questa speranza e almeno per ora non si intravedono soluzioni affinché questo scontro abbia termine e possa ritornare la pace, nonostante l’impegno delle cancellerie di alcuni Stati, di istituzioni internazionali e di papa Francesco, sempre vicino a questa martoriata popolazione.

Otto milioni di rifugiati

Negli ultimi mesi il perdurare dello scontro sta facendo emergere quella che è stata definita la “stanchezza” delle popolazioni europee e anche dei loro governi che finora hanno convintamente sostenuto Kiev. Lo Statuto delle Nazioni Unite chiede ai propri Stati membri di astenersi dall’uso della forza contro l’integrità di qualsiasi Stato, ma vi è un’ulteriore importante ragione per sottolineare la gravità dell’aggressione. Si tratta del poco noto Memorandum di Budapest del 1994 – sottoscritto da Usa, Gran Bretagna, Russia, Francia, Cina e Ucraina – con il quale quest’ultimo Paese (allora terza potenza nucleare al mondo) si è impegnato a rinunciare al proprio arsenale nucleare (4 mila testate) a condizione di avere garantita la propria indipendenza e l’inviolabilità dei suoi confini.

Il prolungamento del conflitto, oltre a creare preoccupazione nei Paesi che finora hanno sostenuto Kiev, si riflette anche inevitabilmente sia in Ucraina sia nella Federazione russa.

Per quanto riguarda l’Ucraina la continuazione del conflitto comporta una stabilizzazione del numero dei profughi che è il maggior spostamento di popolazione di un Paese europeo dopo la Seconda guerra mondiale e che riguarda un terzo dei suoi 43 milioni di abitanti: 8 milioni di rifugiati in altri Stati e 6 milioni e mezzo di sfollati interni che hanno lasciato le loro residenze per altre località in territorio ucraino. Nelle zone occupate continuano i trasferimenti forzati verso la Russia anche di minori, le torture, gli stupri, le violenze nei confronti di civili, oltre 10 mila dei quali sono detenuti. Nei territori sotto il controllo di Kiev aumenta la povertà, l’inverno demografico con un tasso di fertilità tra i più bassi al mondo (0,7% nel 2023).

I danni di guerra sono enormi (per la ricostruzione si prevedono oltre 400 miliardi di dollari) a cui si aggiunge una vera e propria catastrofe ambientale. Dall’autunno del 2023 Mosca ha intensificato gli attacchi con un crescente accanimento contro i civili che vengono uccisi anche se inermi sostano alla fermata degli autobus. I crimini di guerra accertati sono 40 mila. Vengono colpite sempre più le infrastrutture energetiche, gli ospedali, le scuole e moltissime abitazioni. Anche in Ucraina comincia a serpeggiare una certa “stanchezza” nei confronti della guerra, con una flessione del consenso popolare per il governo che continua però a raccogliere l’approvazione di una solida maggioranza di cittadini i quali, orgogliosi della loro raggiunta indipendenza, non hanno alcuna intenzione di rinunciare a nessuna parte della loro patria.

Anche in Russia si riscontrano conseguenze derivanti dal prolungarsi della guerra in Ucraina. Cresce la repressione del dissenso e viene messa a tacere ogni forma di opposizione, tant’è che per le prossime elezioni presidenziali ci sarà solo un candidato: Putin, mentre il suo più noto oppositore è stato rinchiuso in un carcere di massima sicurezza lontano da Mosca. Si rischia una condanna fino a 7 anni per il solo proferire la parola “guerra”. È aumentato il numero degli oligarchi caduti in disgrazia che si tolgono la vita gettandosi da una finestra. Neutralizzato il tentativo di rivolta da parte di Prigozhin, capo della milizia privata Wagner, la Russia è ormai sotto il totale controllo del despota del Cremlino e dei suoi sodali, provenienti in gran parte dagli efficienti servizi segreti ai quali è appartenuto Putin.

Aspettative troppo diverse

A tutto ciò vanno aggiunte le diverse aspettative dei due leader. Zelensky è impegnato nel tentativo di riconquistare i territori occupati, nel consolidare la democrazia, lottare contro la corruzione, attuare un pluralismo culturale per garantire le minoranze, entrare a far parte dell’Ue e forse della Nato. Putin è invece impegnato a consolidare l’autocrazia e l’inclusione nella Federazione russa delle zone sottratte a Kiev, ma anche a preservare il tesoro accumulato negli anni e stimato in 250 miliardi di dollari che lo farebbe l’uomo più ricco del mondo, ma messo a rischio dalle sanzioni.

Le sue mire imperiali gli impongono anche di ampliare il proprio dominio annettendo ulteriori Paesi, poiché la storia dimostra che gli imperi necessitano di conquistare nuovi territori per non rischiare di sgretolarsi o addirittura di scomparire. Va inoltre evidenziato che Putin è in grado di protrarre l’aggressione a lungo perché non deve rendere conto a nessuno delle sue scelte autoritarie, comprese quelle di mandare a morire tante persone (scelte in prevalenza fra le minoranze etniche) e di investire prevalentemente nell’industria bellica. Al contrario Zelensky deve rispondere ai suoi cittadini e rischia di perdere il sostegno dei Paesi democratici per cui ha bisogno quanto prima di concludere la guerra anche per il profilarsi di una pericolosa vittoria di Trump negli Usa nelle prossime elezioni presidenziali.

Benché, almeno per ora, non si intraveda una soluzione del conflitto, mentre altri stanno proliferando nel mondo, occorre intensificare gli sforzi per arrivare alla pace. Una pace che sia giusta, cioè che non penalizzi un Paese ingiustamente aggredito, che per secoli è stato vassallo degli Zar, poi dei governanti comunisti e infine di Putin, il quale odia l’Ucraina e la vuole distruggere perché essa ha osato scegliere la via della libertà e di rifiutare di tornare sotto il giogo di Mosca.

*Professore emerito di Sociologia all’Università cattolica del Sacro Cuore e presidente del comitato scientifico Fondazione Ismu Ets

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