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Dopo il viaggio

Il Papa negli Emirati, «la forza debole della preghiera»

Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, sull’abbraccio di Francesco con il mondo musulmano sunnita e la minoranza cattolica: «L’investimento sullo Spirito di Assisi è stato di grande intelligenza e di grande profezia»

di Maria Chiara Biagioni

7 Febbraio 2019

«Una pietra miliare. Mai è stato firmato un accordo a così alto livello». Esulta Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, di ritorno da Abu Dhabi, parlando del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato «tra il leader della Chiesa cattolica e quello che possiamo definire il leader del mondo musulmano sunnita, con tutta l’autorevolezza che gode il Grande Imam di al-Azhar, circondato da un Consiglio dei saggi che ha scelto come sede un Paese dall’Islam moderato, gli Emirati». Cornice perfetta per un passo storico che ha dato un’accelerata al dialogo delle religioni per la pace.

Cosa ha spinto queste due altissime autorità a sottoscrivere il Documento?
Per il mondo musulmano c’era la necessità di uscire dalla caricatura dell’Islam che è stata data colpevolmente in questi anni da alcuni terroristi e fondamentalisti. È stata diffusa un’immagine non reale e l’Islam era finito un po’ in un angolo, come una religione collegata alla violenza. Giustamente Ahmad al-Tayyib ha fatto tutto un lavoro per riportare la vera immagine dell’Islam. C’è stata poi una coincidenza: papa Francesco e al-Tayyib si sono ritrovati entrambi sia nella consapevolezza che le religioni sono fattori di pace, sia nella volontà di lottare contro ogni strumentalizzazione politica delle religioni, soprattutto se mirata verso il conflitto. Che poi era il sogno di Giovanni Paolo II ad Assisi: far sì che la religione non fosse mai sottomessa a progetti di violenza e di guerra. E il discorso di papa Francesco al Fouder’s Memorial è stato talmente netto che su questo punto non c’è ormai più nulla da dire o da aggiungere.

Andando negli Emirati Arabi, papa Francesco ha dato prova di coraggio. Cosa lo ha spinto a sfidare i confini?
È stato un viaggio sottovalutato fino alla vigilia. Alcuni si chiedevano perché lì e non da un’altra parte. E invece lui ha intuito che gli Emirati Arabi Uniti hanno innanzitutto un presenza (minoritaria) cristiana molto forte, come si è visto nella Messa che ha celebrato. Lo ha spinto anche il fatto che gli Emirati rappresentano una periferia umana ed esistenziale, perché la comunità cristiana che vive lì è costituita da migranti, da gente che lavora dalla mattina alla sera, giorno e notte per mandare i soldi a casa, per sostenere le famiglie che sono lontane. E lo ha fatto per dire che i cristiani hanno tutto il diritto di essere rispettati ovunque vivano, anche in condizione di minoranza. E poi ha trovato interlocutori validi nei sovrani, soprattutto nel principe di Abu Dhabi.

Questi incontri non vanno letti solo a partire dai documenti sottoscritti e dai discorsi ufficiali pronunciati, ma anche dai gesti simbolici che li accompagnano. C’è qualcosa che da dietro le quinte l’ha colpita particolarmente?
È stato il viaggio dei due abbracci e delle due firme. L’abbraccio tra il Papa e al-Tayyib e, quindi, con tutto il mondo musulmano sunnita per la pace, e l’abbraccio tra il Papa e i cristiani che vivono in situazioni di minoranza. Le firme invece sono quelle dell’accordo, ma anche quella che il Papa ha messo sulla prima pietra della nuova chiesa di Abu Dhabi che gli Emirati Arabi Uniti regaleranno ai cattolici, dedicata a San Francesco. Mi ha anche colpito che tutte le religioni, dagli ebrei alle religioni orientali, siano convenute per dare testimonianza di questa alleanza per la fraternità. Un patto di cui tutti sono stati testimoni e in cui tutti sono stati coinvolti. Un fatto fondamentale avvenuto nella penisola araba.

Insomma, lo spirito di Assisi con papa Francesco è arrivato fino ai confini della terra. Che effetto le ha fatto?
L’investimento sullo Spirito di Assisi è stato di grande intelligenza e di grande profezia. La preghiera porta sempre frutto. Noi la chiamiamo la forza debole della preghiera. Il Papa la chiama la forza dolce della preghiera. Questa forza debole e dolce della preghiera sta oggi vincendo contro ogni pessimismo.