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L’oratorio di San Rocco venne costruito per ottemperare al voto emesso dalla popolazione durante l’epidemia del 1576-1577, fu benedetto nel 1596 personalmente dal card. Federico Borromeo e descritto come «Ecclesia hac est satis ampla»

di Claudio Terzi

Veddasca
L’Oratorio di san Rocco a Campagnano Veddasca

San Rocco è sempre stato considerato il protettore dalla peste; è quindi giustificato che durante l’epidemia del 1576-1577, durante la quale morì circa il 30% della popolazione, gli abitanti di Campagnano abbiano fatto voto di costruire un nuovo oratorio dedicato a questo Santo al termine della pestilenza.

Nel 1578, però, la popolazione era tanto sfiancata sia fisicamente sia economicamente, che non si preoccupò del voto tanto che, nella visita pastorale dello stesso anno, mons. Tarugi, dovette costringere gli abitanti a mantenere la promessa fatta indicando anche il luogo dove l’edificio avrebbe dovuto sorgere: “in quel monte che al presente è piantata quella croce di legno”, cioè su un promontorio roccioso a strapiombo sul lago, al margine occidentale del paese.

L’oratorio venne costruito e fu benedetto nel 1596 personalmente dal card. Federico Borromeo. Nei documenti di quella visita, nella sua descrizione, si scrive “Ecclesia hac est satis ampla”. Risulta inoltre che l’altare si trovasse all’interno di una cappella a pianta quadrata, col soffitto a volta e orientata; di conseguenza l’edificio aveva direzione opposta rispetto ad oggi, con l’ingresso verso il lago, cioè verso Cannobio, e l’abside verso Campagnano. Come si usava allora, c’era anche una seconda porta sulla parete meridionale, quella verso Luino. Nei documenti della visita del card. Federico Borromeo del 1620 vengono indicate anche le misure: rispetto a quella odierna, risulta che la costruzione fosse più bassa, più stretta, ma più lunga di oltre due metri e mezzo.

Nei documenti della visita del card. Cesare Monti del 1640 l’oratorio viene chiamato “nuncupato del sasso”, cioè “detto del sasso”, sicuramente perché poggia su un grosso macigno tuttora visibile. È descritto come molto malandato, tanto che viene definito “prossimo alla rovina”.

Da quei documenti per due secoli e mezzo non si trova più traccia dell’edificio fino alla seconda visita del card. Ferrari nel 1895, nei cui documenti c’è scritto solamente che “a 10 minuti dalla parrocchiale c’è l’oratorio di San Rocco che è diroccato”.

Nel 1898 il parroco di allora, don Silvio Viganò si impegnò nella sua ricostruzione nonostante il lavoro già si prospettasse piuttosto arduo visto che l’edificio si trovava in una zona ancora senza strade e c’erano anche forti resistenze da una parte del popolo. Il progetto presentato, che è quello dell’edificio odierno, prevedeva una struttura molto elegante, con un unico ingresso rivolto verso il paese e l’abside verso Cannobio. La ricostruzione richiese molto più tempo del previsto e anche le spese furono molto più alte, tanto che nel 1905, quando fu eletto parroco don Celestino del Torchio, sebbene la costruzione fosse giunta solamente “al tetto”, l’esborso aveva raggiunto l’enorme cifra di Lire 1˙181,80, cui vanno aggiunte le ore di gratuite prestazioni offerte dal popolo. Il nuovo parroco, sebbene poco convinto dell’utilità di tale oratorio, fece proseguire comunque i lavori che giunsero finalmente alla conclusione nel 1915, con la decorazione delle pareti interne fatta dal pittore Costantino Frisia.

Ma la storia si ripete; poiché la chiesa è in mezzo al nulla, in cima ad una roccia continuamente alla mercè delle intemperie e dei venti, negli anni Cinquanta l’edificio era nuovamente malmesso, tanto che ci fu la proposta di abbatterlo e di realizzarne uno nuovo, più piccolo, un poco più a monte, e al posto dell’oratorio avrebbe dovuto sorgere la stazione di arrivo della funivia aerea Maccagno-Campagnano. Fortunatamente non se ne fece nulla, ma i costi di manutenzione fecero sì che nel 1958 il parroco di allora, don Aurelio Rivolta, dopo aver speso Lire 42˙000 per la riparazione del tetto “in via provvisoria”, abbia proposto alla Curia la “temporanea dissacrazione” dell’edificio e la sua contestuale trasformazione in un “servizio bar per i passeggeri” da cedere provvisoriamente a chi si fosse fatto carico della sua ristrutturazione. L’idea non fu accolta e nel 1966 il parroco don Angelo Bonalumi fu costretto a una profonda opera di recupero che ha permesso la ripresa del culto il 16 agosto 1967, festa di san Rocco.

L’ultimo intervento di rilievo è stato fatto nel 2000, ai tempi del parroco don Franco Bianchini, quando, grazie all’aiuto economico degli Amici di Campagnano che si fecero carico dell’intera spesa, si procedette al rifacimento del tetto e delle porte.

La “chiesetta di san Rocco” (così viene chiamata dal popolo), ora si presenta in ottimo stato e permette a un gran numero di turisti di fermarsi per visitarla ma anche di poter godere del notevole panorama del lago, che spazia dalla Svizzera a Stresa.

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