At 9, 1-9; Sal 26; Gv 6,16-21 «Venuta sera, i suoi discepoli scesero al mare, salirono in barca e si avviarono verso l’altra riva del mare, in direzione di Cafarnao. Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti; il mare era agitato perché soffiava un forte vento». (Gv 6,16-18) Gesù, fuggito dalla folla che voleva farlo re, si ritira da solo sul monte. È da questa lontananza, da questa sua intimità con il Padre, che scenderà a soccorrere i discepoli, nel mare in tempesta. I discepoli avevano visto il segno, ma non avevano colto il s ignificato. Erano rimasti sul monte, aspettando che tornasse. Viene sera e non succede nulla, il Maestro non torna da loro. Si sentono soli e forse delusi. Decidono di tornare indietro verso Cafarnao, attraversando il mare a ritroso, quasi un contro esodo. È buio e quando sono a metà strada, il mare si agita e il vento si alza. La barca rischia di capovolgersi. Sono spaventati, immersi nell’oscurità. Su quella barca, circondati dal buio della notte e dall’angoscia di non veder tornare il Maestro, siamo anche noi, come singoli e come Chiesa. L’assenza di Gesù, il suo mancato ritorno, ci fa dubitare, ci disorienta. Ma il Maestro non ci lascia soli, non ci abbandona nelle tenebre: ci viene incontro, camminando sul mare. Quello che a noi non è possibile, lui lo realizza. Vince le acque agitate, illumina il buio, si fa riconoscere: Io-Sono, non abbiate paura. Come il mattino di Pasqua, si squarcia il buio della notte che avvolge i discepoli. Dio incontra l’uomo anche nelle sue tenebre, in quella parte di noi che facciamo fatica ad accettare. E viene per dare la luce. “Non abbiate paura, sono io”, ci rassicura. Preghiamo Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò timore? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò paura? (dal salmo 26) [da La Parola di ogni giorno, Ragione della nostra libertà – Pasqua 2010, Centro Ambrosiano]