Almanacco liturgico Il Santo del giorno Il Vangelo di oggi Agenda dell'Arcivescovo

Accompagnata dal nostro Assistente, don Eugenio Penna, con la partecipazione di numerosi sacerdoti e del delegato arcivescovile S. Ecc. Mons. Luigi Stucchi

Rita

Alle 11 di sabato 2 giugno eravamo tutte riunite nella Cappella Feriale del Duomo di Milano per la solenne benedizione di Rita che dopo il periodo di discernimento ed i due anni di preparazione, era stata ammessa a far parte del nostro gruppo.
Accompagnata dal nostro Assistente, Don Eugenio Penna, con la partecipazione di numerosi sacerdoti e del delegato arcivescovile S. Ecc. Mons. Luigi Stucchi, Rita ha preso posto nel banco centrale, dove era stato posto un mazzo di candide rose. Nei banchi dietro lei i figli, i parenti e gli amici che l’avevano accompagnata nel suo percorso di fede; nei banchi a fianco del suo, tutte noi, felici di poterla accogliere nel gruppo.
Dopo l’invocazione allo Spirito Santo, la celebrazione è iniziata con le letture scelte per l’occasione, poi, prima dell’omelia, il Vescovo ha chiamato la candidata per nome.

“Eccomi” ha risposto Rita
“Eccomi”… ed uscendo da banco ha fatto un passo avanti.
E’ con questo semplice gesto che ha avuto inizio il rito di benedizione delle vedove che chiedono di essere ammesse a far parte dell’Ordo Viduarum Ambrosianus, impegnandosi, col voto di castità perpetua, ad una vita sobria, manifestando la propria volontà di continuare ad amare con cuore indiviso per poter vivere nell’abbandono alla volontà di Dio soprattutto col “ministero della consolazione”, per essere vicine a chi è segnato dalla sofferenza o colpito da un lutto familiare per aiutarlo a vivere, nella luce della fede, con il coraggio della speranza, solidale nella carità, il momento della prova.
Ed il Vescovo, quale garante della comunione ecclesiale, accoglie questo nostro desiderio e ci benedice.
Segue poi l’omelia: una bellissima Omelia, che trascrivo in maniera quasi completa.
Il nostro Arcivescovo, riferendosi alla lettura del brano della lettera ai Corinzi (12, 9-10) in cui San Paolo parla della risposta che ha avuto da Dio quando si è lamentato della sua tribolazione, delle prove dolorose che doveva affrontare, ha ricordato a tutte noi quanto l’inclinazione al lamento di fronte a quello che non va secondo le nostre aspettative, ai nostri desideri, sia piuttosto diffusa nella nostra mentalità, ma la risposta di Dio a Paolo che si lamenta, quindi a tutti coloro che sono inclini al lamento non è: rassegnati, non è: cerca di accettare la tua situazione, non è: cerca di vedere che questa tribolazione viene da Dio. No, “Dio non risponde invitando alla rassegnazione” ma piuttosto dicendo, scrive Paolo nella lettera che abbiamo appena letto. “ti basti la mia grazia”. “E’ quando sono debole che sono forte” continua poi Paolo. Dunque di fronte al lamento, alla tribolazione, quale è la posizione che il discepolo del Signore è chiamato ad assumere? Anzitutto è chiamato a riconoscere che la tribolazione non viene da Dio, che Dio non è amico delle tribolazioni, non impone ai suoi figli le crisi, non è Lui che decide di fare soffrire qualcuno come talvolta il pensiero infantile continua a ritenere. Tutta la rivelazione di Gesù è per dire che non è da Dio che viene il male, però viene la forza per trasformare una situazione dolorosa, faticosa, complicata, in una occasione di grazia.
“Ecco” prosegue l’Arcivescovo, “mi pare che questo momento che stiamo vivendo, la benedizione della signora Rita che con questo cammino di preparazione si inserisce nell’Ordo Viduarum della nostra diocesi, è questa testimonianza di una grazia che è capace di trasfigurare la tribolazione in una occasione di bene.
Come avviene questa trasfigurazione? Mi pare che la parola del Signore che abbiamo ascoltato dice che si può trasfigurare anche la vedovanza, che è una sofferenza, che è un lutto, che è il dolore di un distacco dalla persona amata, si può trasfigurarla attraverso la perseveranza nella Fede.
Dice il Vangelo che questa vedova importuna che, per la sua insistenza, riesce ad ottenere grazia da un giudice che non teme Dio, è un modello di perseveranza nella fede e dunque questa perseveranza nella fede fa sì che la durata, ossia il passare del tempo, non sia considerato come una specie di inevitabile logorio, come un declino inarrestabile, invece la perseveranza nella fede è vissuta con la grazia della fedeltà nell’attesa che il Padre che sta nei cieli porti a compimento il suo progetto di salvezza.
Ecco il primo modo con cui la situazione, anche quando non è quella desiderata, può diventare occasione di grazia attraverso la perseveranza nella fede, l’insistenza nella preghiera, che non è tanto quel modo per ottenere qualcosa da Dio ma è piuttosto quel modo per interpretare come io posso vivere la mia situazione come cammino di grazia, come itinerario verso la santità.
La perseveranza nella fede interpreta la durata, il tempo, come fedeltà nell’attesa.
E poi l’altro aspetto che consente questa trasformazione è l’interpretazione della solitudine: ecco, la sposa, quando diventa vedova, inevitabilmente avverte un vuoto, una solitudine, che non è stata desiderata.
Certo, ha la grazia di avere attorno i figli, la famiglia, i colleghi di lavoro, le persone amiche, però c’è quel momento di quella solitudine, incolmabile, che è dovuta all’assenza dello sposo e che nessuna altra presenza può sostituire.
Dunque un’esperienza di solitudine, e la solitudine è la tipica esperienza che può indurre alla tristezza, alla depressione, al vivere amareggiati, come chi ha subito un’ingiustizia ed è stato privato di qualcosa o di qualcuno che aveva diritto ad avere vicino.
La solitudine quindi può essere una di quelle tribolazioni che inducono all’amarezza ed al risentimento verso Dio, o verso il destino, o verso chi è la causa di questo.
Invece la Grazia, la benedizione di Dio può aiutare ad interpretare la solitudine come Osea, il profeta che abbiamo ascoltato suggerisce: Ecco, quel vuoto che si è creato può essere colmato da una attitudine al silenzio, e da una dedizione alla preghiera… … si può realizzare una nuova inedita intimità col mistero di Dio: solitudine quindi non è un vuoto ma è una attesa, è una ospitalità in cui Dio può trovare casa, e la solitudine, questo vuoto che si è creato può essere l’occasione per diventare incontro, per diventare una nuova esperienza di fraternità insieme con altre sorelle che vivono la medesima prova, insieme con la comunità a cui è possibile dedicarsi con magari maggiore disponibilità di tempo, con la costruzione di amicizie, di forme di servizio, di forme di attenzione che possono effondere consolazione su altre persone che vivono le prove, le tribolazioni della vita.
Quindi ecco che la solitudine può trasfigurarsi in una occasione di bene.
Così allora la vedovanza, che è una situazione dolorosa, può diventare quel deserto in cui risuona la voce di Dio che chiama ad una nuova forma di vita cristiana.
L’inserimento nell’Ordo Viduarum è un dono per chi accoglie questa vocazione, però è anche una parola rivolta alla comunità, è anche un messaggio per tutta la Chiesa, è una testimonianza per dire , piuttosto accogliete lo Spirito di Dio che aiuta a trasfigurare la vostra condizione tribolata in una vocazione alla santità in un contesto in cui le cose difficili diventano motivo per un passo avanti nel rapporto con Dio: come dice Paolo: e questo modello di trasfigurazione noi lo possiamo applicare a tutte le situazioni.
Perciò vogliamo dire grazie a Rita ed alle altre consorelle perché sono questa presenza nella Chiesa, il messaggio che la vedovanza può essere trasfigurata in una vocazione ad una santità specifica, ad un cammino di elevazione alla santità di Dio attraverso l’accoglienza di questa vocazione”.

Conclusa l’Omelia, la cerimonia è proseguita con il Rito della Benedizione: la monizione del vescovo, l’interrogazione del celebrante alla candidata sulla sua intenzione di far parte dell’Ordine delle Vedove, l’accoglienza della candidata da parte delle vedove già benedette, le invocazioni ai Santi, per finire con la solenne preghiera di benedizione, quando il Vescovo, dopo un momento di preghiera silenziosa, benedice l’anello nuziale che un figlio o un responsabile del gruppo ha portato alla candidata, e lo pone all’anulare della vedova benedetta. Poi viene benedetta la croce che ogni vedova riceverà in dono, mentre il coro intona un inno.
La celebrazione è proseguita poi come di consueto, per concludersi con la solenne benedizione e la foto di gruppo.

Ti potrebbero interessare anche: