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Anniversario

100 anni di Sesta Opera San Fedele

Alla Fondazione Ambrosianeum si è celebrato il secolo di attività di volontariato penitenziario dell'associazione. Era presente anche l'Arcivescovo: «Una porta aperta che ci permette di intravvedere un pungolo per la città e per la società civile»

di Annamaria BRACCINI

11 Novembre 2023

Un secolo di storia, cento anni di presenza attiva e propositiva che è lo specchio della Milano migliore, quella sempre pronta a dare una mano, a fare volontariato, a migliorare la società, con spirito concreto giorno per giorno e visione del domani. Anche se il quartiere nel quale e per il quale ci si impegna è molto particolare, perché si chiama Casa circondariale di “San Vittore”.

Per festeggiare l’importante “compleanno”, un secolo di vita, di “Sesta Opera San Fedele”, arrivano in tanti alla Fondazione Ambrosianeum, dove si svolge il primo degli eventi celebrativi, che avvia un intenso calendario di incontri e convegni. Non manca l’Arcivescovo Mario Delpini che sottolinea così l’incidenza che l’associazione, una delle più antiche di volontariato penitenziario, ha avuto dal 1923 nel territorio ambrosiano.

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Cento anni di storia

Nata da un gruppo di liberi professionisti della Congregazione Mariana di spiritualità ignaziana, che aveva sede all’Istituto Leone XIII a Porta Volta, oggi in San Fedele, l’iniziativa prese il nome, appunto, dall’evangelica sesta opera di carità corporale, e venne costituita in associazione il 30 novembre 1963.

Nel 1968, su impulso di Sesta Opera, Azione Cattolica Italiana si fece promotrice del Coordinamento degli enti e dei singoli volontari impegnati nell’assistenza carceraria, costituendo un Segretariato Enti Assistenza Carceraria (SEAC). Forte dell’adesione di 120 Enti, il SEAC, tramite l’opera di Gianbattista Legnani, (tra i fondatori e presidente “storico” dell’associazione), poté far pressione sul legislatore perché riconoscesse nel volontariato carcerario la forma migliore per la rieducazione del detenuto.

Nel 1975, diventa legge la proposta di Legnani, degli attuali articoli 17 e 78 dell’Ordinamento Penitenziario, mediante i quali gli assistenti volontari furono formalmente istituiti, legittimando, quindi, l’ingresso negli istituti penitenziari di cittadini impegnati nel volontariato carcerario.

Oggi gli oltre 200 soci, da sempre legati alla spiritualità della Compagnia di Gesù, operano a Milano – fuori e dentro il carcere – negli Istituti di San Vittore, Opera, Bollate, nel Carcere minorile Beccaria, nel reparto speciale dell’Ospedale San Paolo e nel carcere di Cremona. Particolarmente significative anche alcune tappe più recenti del cammino, come, nel 2005, l’avvio del progetto di volontariato domiciliare, in collaborazione anche con Caritas ambrosiana; nel 2013, la partecipazione di Sesta Opera agli “Stati generali sul carcere” e, un anno più tardi, l’avvio del primo progetto italiano di “mediazione carceraria tra pari”. Nel 2020, infine, il lancio d’ “Rescue”, iniziativa ispirata all’enciclica di papa Francesco a Laudato si’, con il coordinamento di azioni di inclusione di detenuti attraverso l’approfondimento di temi ambientali.

I saluti istituzionali

Insomma, una grande storia alle spalle che guarda, tuttavia, con «fiducia e concretezza» al futuro, come è stato detto durante l’incontro inaugurale dal titolo “Nel cuore di Milano”, al quale sono intervenuti – oltre il vescovo Mario -, Guido Chiaretti, presidente di Sesta Opera San Fedele, Luigi Pagano, già direttore del carcere di San Vittore, Franco Bonisoli, ex detenuto, Piero Colaprico, giornalista, moderati dal presidente dell’Ambrosianeum, Fabio Pizzul.

Tutti riuniti, insieme a rappresentanti delle Istituzioni, magistrati, volontari e amici di Sesta Opera – presenti tra gli altri anche figure di spicco come i gesuiti padre Carlo Casalone, padre Giacomo Costa, e il cappellano di San Vittore, don Marco Recalcati -, per “raccontare” «questa associazione tipicamente milanese e il senso civico della nostra città che si fa avanti, ogni anno, con oltre 100 aspiranti volontari», per usare le parole di Chiaretti che ha ricordato come ben 7 delle 18 strutture detentive lombarde insistano sul territorio diocesano.

«Ringrazio dell’invito e, soprattutto, dell’attività di Sesta Opera, che si apre a diversi ambiti, facendosi carico delle vicende personali dei carcerati e, quindi, operando per la dignità dell’uomo e della donna. Il carcere è un luogo di sofferenza per tutti, i detenuti, le loto famiglie, la Polizia penitenziaria e anche per chi è incaricato di amministrare la giustizia», ha osservato l’Arcivescovo. «Sesta Opera è come una porta aperta che ci permette di intravvedere un pungolo per la città e per la società civile, stabilendo un rapporto con i reclusi considerati non solo come persone da consolare con una visita o una forma di sostegno», ha aggiunto monsignor Delpini che si reca nelle carceri ambrosiane più volte all’anno, in occasioni come il Natale – tradizionale la Messa di prima mattina del 25 dicembre -, per amministrare i Sacramenti o per iniziative culturali.

A prendere la parola per il Consiglio comunale, che ha costituito una Commissione proprio sul carcere, è la presidente Elena Buscemi, che parla anch’essa di ringraziamento da parte della città. «Se Milano ha un’attitudine così forte allo spirito civico è anche grazie a realtà come la vostra che sono di esempio per tanti altri, attraverso un’attività preziosa di ricucitura che permette di ricostruire la comunità».  Anche quando, come in epoca Covid, i volontari non si sono mai fermati, consegnando ben 35.000 capi di vestiario nelle carceri o come nel post-pandemia, in cui è aumentato il numero di coloro che, specie giovani, si presentano ai corsi di formazione dell’associazione. 

La tavola rotonda

«Il carcere era un elemento estraneo al giornalismo fino a che non è stato permesso ai consiglieri regionali di entrarvi. Negli anni ‘80 vi fecero l’ingresso alcuni consiglieri di Democrazia Proletaria e io riuscii a entrare con loro», ricorda Colaprico, capocronista di “Repubblica”, giallista (famosi i suoi romanzi scritti con Pietro Valpreda) e giornalista. «Mi colpì lo squallore di alcune celle del reparto maschile, ma anche, per esempio, la cella di Bonisoli che aveva grandi foto alle pareti di profondità marine e coralli. Ho collaborato più volte con il giornale di San Vittore anche per spiegare come la stampa racconta i detenuti. Era necessario aprire delle finestre culturali, di razionalità e sentimentali, insegnando una grammatica minima che permettesse ai carcerati di guardare altrove rispetto all’apparenza e a quello che sembra, per cercare di capire di più. Quello che ho visto è che il carcere lentamente cambia, ma troppo lentamente».

Chiaretti, a proposito di giornali, richiama il famoso “Magazine 2” di San Vittore, (2 è il numero civico di piazza Filangieri, sede del carcere), ma anche la rivista “Dignitas” «creata per magistrati, politici, amministratori, promuovendo una cultura inclusiva e dalla cui fucina di idee, con docenti come Claudia Mazzucato, Adolfo Ceretti, il gesuita padre Bertagna, è partito un lavoro delicatissimo di riconciliazione che ha portato al “Libro dell’incontro” e a tante esperienze di giustizia riparativa».

È la volta di Franco Bonisoli, ex brigatista rosso, parte del gruppo di fuoco dell’agguato di via Fani, che narra l’avvio del suo reinserimento nella società. «Iniziammo a disegnare alcune immagini del secondo raggio, quello dell’isolamento, con il permesso del Ministero. Da lì è partito tutto. Se il carcere è lento dobbiamo fare leva su noi stessi. Con i volontari di Sesta Opera cominciammo a collaborare anche nella nostra sezione dei cosiddetti politici e il rapporto che ne nacque fu qualcosa di notevole, considerando il loro atteggiamento di ascolto senza giudizi, animato da uno spirito concreto. Poi si passò a stampare i disegni e, grazie all’articolo 17, entrarono in carcere figure come padre Turoldo e molti altri, tra cui il cardinale Martini», di cui Bonisoli mostra un foto del tempo, «che ci spinse sempre di più ad andare avanti. Nel 1986 il Comune fece una commessa di stampa e iniziò l’attività lavorativa in carcere. Poi ci furono le mostre mercato e l’apertura, in queste occasioni, di San Vittore per la prima volta dal dopoguerra. Vincemmo anche la scommessa di andare al Circolo della stampa con il nostro mercatino, per l’amicizia di Indro Montanelli. Dalla serigrafia si passò alla pelletteria e, nel 1988 con la legge Gozzini di riforma penitenziaria, fu costituita l’associazione Arte», ricorda ancora Bonisoli che, nel tempo, ha sviluppato rapporti di dialogo, nel contesto dei percorsi di giustizia riparativa, con Agnese Moro, figlia dello statista democristiano.

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Infine, è Luigi Pagano a dare voce a un affondo sulla realtà di oggi. «Nel 1989 sono arrivato a San Vittore e tutto era già avviato, vi era grande attività, era facile poter contare sul volontariato e fare tante cose: fu una forma di primavera, un new deal, ma tutto venne fermato dopo gli attentati di Palermo. I problemi venivano anche dal continuo cambiamento dei governi, ma è importante ricordare che moltissime leggi sono nate a San Vittore, come i progetti dell’Icam, per mamme detenute, e di Bollate. Potersi confrontare significava un cambiamento non solo per i reclusi, ma anche per gli operatori, andando oltre l’idea dei rapporti di forza. Ora siamo tornati a carceri che presentano la parte debole della società: poveri, migranti, malati di mete, tossici. Ci sono 20mila detenuti che, magari al massino, arrivano alla pena di un anno di detenzione, ma non riusciamo a recuperarli. Regrediscono anche gli operatori, perché il carcere si sta richiudendo, non dialoga con la società: vige una logica da Comma 22 che dice, “se non ci sono le attività si rimane in cella, ma in cella non si può fare attività di reinserimento”. Questa è una frase di regresso che potrebbe portare a uno scontro di cui non abbiamo per nulla bisogno». 

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