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Milano

«Per contrastare la povertà educativa ascoltiamo i giovani»

Ne è convinta Adriana Pedrazzini, coordinatrice del doposcuola di San Galdino: «Quando li guardi negli occhi, entri in un rapporto di maggior libertà rispetto alla scuola, e il senso di inadeguatezza scompare»

di Lorenzo GARBARINO

21 Novembre 2025
Gli spazi dell'oratorio S. Galdino

I compiti sono solo uno strumento, ciò che conta davvero è prestare loro l’attenzione che meritano. Ne è convinta Adriana Pedrazzini, coordinatrice del doposcuola di San Galdino. Da più di vent’anni nel cuore del quartiere Taliedo a Milano, la struttura ha accolto per l’attuale ciclo scolastico 32 bambini delle elementari e 14 delle medie. Anche in questo doposcuola è cambiata molto la provenienza dei giovani: non solo bambini del catechismo, ma anche molti ragazzi di origine straniera, spesso di seconda generazione. «I problemi non sono tanto di lingua, motivo casomai di ricchezza – spiega la coordinatrice -, quanto di integrazione e fragilità. Questi ragazzi purtroppo non hanno sempre l’opportunità di andare in vacanza o passare del tempo in spazi culturali, come per esempio i musei».

La risposta più potente che hanno i doposcuola per contrastare questa povertà educativa è proprio l’ascolto. Per Pedrazzini cercare di comprendere i loro problemi quotidiani è l’unico modo per alleviare il loro senso di inadeguatezza: «Nei ragazzi delle medie, questa difficoltà si evolve in un’assenza di prospettive future. Ma quando li guardi negli occhi, presti loro attenzione, entri in un rapporto di maggior libertà rispetto alla scuola, questo senso di inadeguatezza scompare. E non certo con un intento consolatorio, ma di stimolo». 

Per aiutare i ragazzi, i doposcuola hanno però bisogno dell’imprescindibile sostegno dei genitori. Per questa ragione i colloqui d’iscrizione diventano l’occasione per instaurare un primo dialogo con le famiglie e capire in quale contesto vivono i bambini. «Rispetto ai primi anni molti genitori che iscrivono i propri figli non frequentano spesso la parrocchia – sottolinea la coordinatrice -. Ma vederli tornare ogni anno è il segnale che qui si trovano bene e possono essere loro stessi. Ci sono ragazzi che seguiamo addirittura fin dalla prima elementare».

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