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«Il Segno»

Riders, al servizio di un padrone senza volto

Solo a Milano se ne stimano circa 10 mila, triplicati dopo la pandemia. Un mondo regolato da algoritmi anonimi e con aree ancora ampie di sfruttamento, tranne rare eccezioni. Di seguito una sintesi dell’inchiesta pubblicata sul numero di gennaio

17 Gennaio 2024
Foto iStock

Da Il Segno di gennaio

Occhi incollati al cellulare, pronti ad accaparrarsi il prossimo cliente. Una guerra tra poveri, quella dei riders che, per guadagnarsi la giornata, sfrecciano a tutte le ore per le strade della città. Sono loro gli “schiavi contemporanei” che sostengono la big economy, basata sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo. Oggi se ne stimano circa 10 mila, un numero cresciuto in pochi anni: prima della pandemia erano circa 3 mila. I guadagni sono scarsi: corse in bicicletta anche di 10 chilometri fruttano solo 2,50 euro.

Un lavoro cui è facile accedere, perché nessun datore di lavoro chiede documenti: basta dichiarare la propria disponibilità e il gioco è fatto. Chi li comanda sono gli algoritmi delle piattaforme che, con criteri e meccanismi sconosciuti, danno ordini di consegna. Per questo, dicono i riders, «ci sentiamo piccoli ingranaggi di un sistema con cui non abbiamo nessun rapporto diretto».

C’è chi, appena sveglio, consulta il meteo per capire cosa lo aspetta nel corso della giornata, chi non si ferma a prendere fiato per fare più corse possibili e chi invece, abitando fuori Milano, sale sull’ultimo treno possibile per tornare a casa, rinunciando al turno serale.

A svelare qualche segreto di questo fenomeno – sotto gli occhi di tutti, ma non così conosciuto in tutti i suoi risvolti – ci ha pensato un sociologo intraprendente, Francesco Bonifacio, che vi ha dedicato anche un libro. Cosa ha fatto? È sceso in campo anche lui, affiancandosi ai tanti riders, per “studiare” i compagni di lavoro. «Quando facevo il rider ho conosciuto ciclofattorini con mezzi all’avanguardia, come le bici elettriche – dice nella sua intervista al Segno -, che sapevano quando rifiutare una consegna in una zona sconveniente per accettarne due a portata di pedalata».

Nella giungla della delivery non mancano esperienze etiche come quella della cooperativa sociale So.De.: non solo assume regolarmente i suoi riders, ma va incontro alle esigenze di famiglie in difficoltà con gesti di solidarietà.

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