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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Varedo

Fondazione Famiglia Umana, l’inclusione come “mission”

I coniugi Danilo Cattaldo e Angelina Nati hanno dato vita a un progetto che l’obiettivo di aiutare alcuni giovani richiedenti asilo a raggiungere l’autonomia di vita e di lavoro

di Veronica TODARO

11 Dicembre 2017
Immagini della presentazione pubblica della Fondazione

 

 

 

La diversità come ricchezza e non come motivo di conflitto. È questa la filosofia alla base della Fondazione Famiglia Umana, una istituzione non a scopo di lucro nata a Varedo, che si prende cura dell’accoglienza, formazione, integrazione e inclusione di «ogni persona la cui dignità è minata dalla povertà o da qualunque altra condizione di difficoltà che la esclude dal sentirsi accolta, utile e parte integrante della comunità in cui vive». A presentarla Danilo Cattaldo (53 anni) e Angelita Nati: tecnico programmatore lui, impiegata lei, marito e moglie con due figli di 19 e 23 anni.

«Questa nostra nuova avventura inizia circa un anno e mezzo fa quando, partecipando a una riunione, vedo da vicino il problema dei richiedenti asilo – spiega Danilo -. Nei giorni seguenti sono andato di persona a conoscere una ventina di ragazzi provenienti da Paesi differenti. Tutti in attesa di qualcosa, di un’occupazione, di lavorare, di conoscere, di un futuro». Quella serata segna marito e moglie, «perché ci costringe a porci domande anche sul futuro dei nostri giovani».

Danilo e Angelita, che hanno una piccola azienda, decidono di dare lavoro, inizialmente a giovani italiani: «Oggi ho la fortuna di lavorare con una decina di ragazzi per la maggior parte al di sotto dei 40 anni e alle volte mi chiedo perché non ho iniziato prima». Forte di questi risultati, ma con il pensiero rivolto ai richiedenti asilo incontrati, Danilo e Angelita creano una fondazione per dare un aiuto improntato al raggiungimento dell’autonomia: «Avremmo potuto riunirci con amici, costruire un circolo o magari un’associazione, ma la forma giuridica che meglio rappresentava e garantiva l’attuazione del progetto era ed è la fondazione; perché i fondatori definiscono attraverso lo statuto le linee-guida, ci mettono la faccia e un patrimonio economico che abbiamo perso nell’istante stesso nel quale la fondazione è stata costituita. Non ci sentivamo di chiedere aiuto agli altri, se noi stessi non eravamo disposti a metterci qualcosa di tasca nostra».

«Avevamo davanti due esempi positivi – continua Angelita -: la Caritas che dona senza chiedere nulla in cambio, e i servizi Sprar, a cui partecipano Ministero dell’Interno ed enti locali, ottimo esempio, ma limitato nel tempo». Da lì l’idea di coniugare il “modello Sprar” con l’aggiunta di logiche di auto sostentamento, ovvero «piccoli gruppi che, con un aiuto esterno, si formano, si aiutano, crescono, ma auto-sostenendosi». Ecco quindi nascere un centro con diversi ospiti nel quale ognuno ha il suo compito: chi cucina, chi lavora, chi coltiva, chi forma. La Fondazione fornisce gli strumenti, coordina le attività, ma sono gli ospiti a rendere vivo e autosufficiente l’ecosistema. A Varedo due persone sono ospitate a casa di Danilo e Angelita, 4 andranno a breve a vivere in un condominio riproducendo un “modello famiglia umana”; a Meda, tra deposito, laboratorio e uffici sono attivati corsi di formazione e attività di produzione, a Rovellasca progetti di accoglienza, formazione e un negozio per la vendita di quanto realizzato. «Abbiamo bisogno di volontari o di finanziatori, creando collaborazione e agganci alla vasta rete del non profit già esistente e ben funzionante».