«Sono arrivato nel quartiere Corvetto poco più di tre anni fa e ne sono contento. Mi sembra che sia una zona che ha tante potenzialità, oltre le sue fatiche e le sue problematicità. In pochi minuti si arriva con la metropolitana in centro, ma siamo anche vicini al verde del parco della Vettabbia e a Chiaravalle. Insomma, ci sono tutte le possibilità per vivere bene». Don Roberto Villa, parroco di San Michele Arcangelo e Santa Rita, nel cuore di Corvetto, e decano facente funzione del Vigentino, sorride raccontando che – «al di là dei sensazionalismi dei media» – occorre avere una visione complessiva di ciò che accade. Specie in un quartiere spesso salito agli onori delle cronache, magari proprio solo in circostanze tragiche come la morte del 19enne Ramy Elgami, avvenuta il 24 novembre di un anno fa, senza che il tanto bene – che pure esiste e si realizza – faccia notizia.
La parrocchia è impegnata all’interno del quartiere?
Certamente, siamo inseriti nella rete che opera sul territorio. Per esempio, nello specifico, abbiamo aperto da poco più di un anno il Centro di aggregazione giovanile “Cinquecento”, per ragazzi dagli 11 ai 18 anni. Uno spazio dove coltivare interessi ed essere aiutati negli impegni quotidiani, nato in collaborazione con la cooperativa sociale La Strada. Inoltre è molto attivo il Centro sportivo “Anni Verdi” ed esiste anche una proficua relazione con la Comunità di Sant’Egidio, specie per il sostegno agli anziani, ma non solo. Ogni anno prepariamo insieme sia il pranzo di Natale, sia un Iftar (la cena serale, quando si spezza il digiuno durante il mese sacro del Ramadan, ndr) per incontrare anche la comunità islamica, che qui ha una presenza certamente significativa.
Tutto questo può rappresentare un polo attrattivo per giovani lontani dalla realtà parrocchiale?
Sì, anche se mi sembra che bisogna sempre guardare la realtà per quello che ci offre, essendo comunque presenti come costruttori di ponti. Per questo la parrocchia tenta e vuole sempre “esserci”, nei successi e anche nelle fatiche. Senza dubbio è preziosa l’esperienza del doposcuola per i ragazzi delle elementari il sabato mattina -, dove si è scelto di cercare di fare in modo che ogni ragazzo abbia una figura adulta che lo accompagni, in rapporto di uno-a-uno -, anche perché comporta un’attenzione alla cura della relazione con i genitori, in gran parte le mamme.
Lei è stato parroco anche a Quarto Oggiaro. Ha notato, negli anni, un impegno maggiore per le periferie?
È una domanda difficile. Occorrono visioni e prospettive ampie che abbiano a cuore il bene delle persone, declinando gli interventi a secondo delle varie necessità. Se parliamo di anziani – in questi quartieri il loro numero è spesso molto alto – bisogna guardare alle forme di grande solitudine che vivono. È così anche per i giovani, ovviamente a modo loro. Per tutti, soprattutto nei contesti delle case popolari, la percezione è quella dell’insicurezza: diventano allora importanti i luoghi di aggregazione e integrazione e la certezza di un’abitazione dignitosa. Ricordo qualche anno fa un intervento di monsignor Pierangelo Sequeri, che diceva che le forze migliori andrebbero investite in periferia, anche perché qui noi abbiamo tanti ragazzi, e questa è una ricchezza. A tale proposito, dopo la vicenda di Ramy, mi pare importante, anche come segno di Chiesa, che ci sia stato destinato un prete giovane, ordinato nel giugno scorso, proprio per impegnarsi con i ragazzi.







