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Festa dei Fiori

«Voi siete testimoni di speranza»

È questa l'esortazione che l'Arcivescovo ha rivolto agli 11 diaconi che diventeranno sacerdoti il 7 giugno, in occasione della festa al Seminario di Venegono. Dove sono stati ricordati gli anniversari di ordinazione, a cominciare dal cinquantesimo di mons. Delpini stesso. I giovani e la vocazione nella relazione di padre Pasolini

di Annamaria BRACCINI

13 Maggio 2025
Foto Agenzia Fotogramma / ITL

«Voi siete testimoni di speranza e toccherà a voi opporvi a ciò che contrasta la speranza: sarete messi alla prova per vedere se riuscirete ad abbattere la disperazione che, come un veleno malefico, si è insinuata nella nostra civiltà».

Nell’anno del Giubileo, l’Arcivescovo si rivolge con queste parole agli 11 diaconi che diventeranno sacerdoti ambrosiani il prossimo 7 giugno – lo stesso giorno in cui lui  e i suoi compagni compiono i 50 anni di Ordinazione sacerdotale – e che si presentano ufficialmente durante la Festa dei Fiori nel Seminario di Venegono. Una festa, appunto come sempre, ma che in questo 2025 si colora di passaggi ancora più “trepidi” con la morte di papa Francesco e l’elezione al Soglio di papa Leone XIV. Per il quale tutte le parrocchie e Comunità pastorali sono invitate a pregare con gioia, celebrando Messa per il Santo Padre, lunedì 19 maggio.

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Secondo quanto annuncia il vescovo Mario a conclusione della celebrazione da lui presieduta nella basilica interna al Seminario che, anch’esso, ricorda un anniversario importante, il novantesimo della dedicazione della basilica stessa. Così come sempre circondati da grande affetto sono i presbiteri che festeggiano alcuni significativi anniversari della loro Ordinazione. I vescovi, oltre a monsignor Delpini, Giuseppe Merisi nel trentesimo di Episcopato; Raimondi e Vegezzi nel quinto; Torriani per il venticinquesimo di Ordinazione presbiterale. Inoltre, le Classi di sacerdozio dal primo anno al 70esimo e coloro che ricordano il 5° e il 55° anniversario poiché non hanno potuto essere festeggiati nel 2020. Presenti anche i diaconi permanenti, i primi ordinati in Diocesi che ricordano il 35° e quelli del 25°.

Una storia, insomma, che continua con un amore che il passare degli anni non può sconfiggere, che il potere non vince, che l’istituzione non riesce trasformare in una sterile burocrazia. L’amore che attraversa il tempo come fa la Chiesa del Signore con generazioni e generazioni di sacerdoti. Tutti coloro che, in rappresentanza dell’intero Clero ambrosiano, ricevono in dono il volume Servi grati, liberi. Fraterni. I ministri del Vangelo in questo nostro tempo (Centro ambrosiano ed.) che raccoglie le omelie del vescovo Mario per le Ordinazioni presbiterali, diaconali e al Diaconato permanente.

L’Arcivescovo con i diaconi permanenti festeggiati (Foto Fotogramma / ITL)

Celebrare l’amore

«Il tempo disse all’amore: “Io ti stancherò, ti farò invecchiare. Con il passare degli anni quello che ti ha entusiasmato ti verrà a noia. Con il ripetersi delle fatiche, quell’ardore, che ti rendeva pronto al sacrificio con giovanile leggerezza e con sciolta naturalezza, si coprirà di grigiore, di risentimento, di lamento, di insofferenza”. Ma l’amore, dopo molti e molti anni, rispose al tempo: “Ho trasformato la durata che invecchia nella sapienza della fedeltà. Ho attraversato la ripetizione nella commozione dell’instancabile rivelazione della bellezza”», dice il vescovo Mario nell’omelia (leggila qui) 

E così anche per il potere che vuole rovinare l’amore «con l’ambizione dell’efficienza, con l’ansia della prestazione, i numeri che diventano più importanti dei volti. Con il veleno dell’esibizionismo, dell’autoreferenzialità, dell’insindacabilità che fa dimenticare la compassione, l’attenzione alle persone e al loro sentire». Eppure l’amore resiste, trasformando il potere in servizio. Non manca «l’istituzione che affolla la mente e il cuore di adempimenti e di burocrazia», ma non vince.

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«In conclusione possiamo, oggi e sempre, – prosegue l’Arcivescovo – celebrare l’amore, cioè la vita di Dio in noi. Negli anni del nostro ministero, pochi o tanti che siano, dobbiamo riconoscere che l’amore attraversa molte tentazioni, è insidiato da molti pericoli e tuttavia l’amore vince, l’amore resiste, l’amore trasfigura il tempo in occasione e fedeltà, il potere in servizio, l’istituzione nella forma e nella disciplina della comunità. In questo seminario da più di 90 anni molti hanno vissuto uomini dedicati, intenzionati a vivere la  vigilanza per tener vivo l’amore e lo Spirito  ha consentito molte vittorie. Noi ne siamo grati, fieri, lieti», conclude monsignor Delpini, suggellando la riflessione di una  mattinata iniziata con la relazione di padre Roberto Pasolini – biblista, cappuccino,  predicatore della Casa pontificia-, dedicata a “Accompagnare i giovani di oggi nel cammino della vita e nel cammino vocazionale”. 

La relazione di padre Pasolini

«L’accompagnamento dei giovani alla loro vocazione deve essere decifrato e stimato, comprendendo dove siamo come storia del mondo e nostra. Io mi sono fatto l’idea che il tempo in cui viviamo sia di profonda destrutturazione a tutti i livelli con il venire meno dei punti di riferimento. È come se le generazioni precedenti abbiano avuto una griglia, scrivendo su fogli formattati, mentre oggi si scrive su un foglio bianco. Oggi c’ è la prima generazione incredula, dove Dio non esiste più. Anche se un ragazzo viene da un qualche retaggio cattolico, nulla è più dato per scontato. Nel mondo fluido e fluttuante in cui siamo immersi l’istituzione non viene, inoltre, più percepita come qualcosa che garantisce la vita. Questo spiega perché ci sono tante interruzioni vocazionali».

Eppure questo tempo, nota il religioso, è l’occasione preziosa di rimettere al centro l’attenzione al singolo.

Accompagnare con sincerità e solidarietà

«Noi continuiamo a procedere “a squadre”, ma siamo consapevoli che la formazione deve essere personale. Ciò può migliorare il nostro accompagnamento vocazionale e spirituale perché questo tempo ha bisogno di profezia e di sapienza. Amare le persone che stiamo accompagnando è  fondamentale, anche perché significa convertire continuamente e quotidianamente il nostro stesso sguardo, superando la grande tentazione di giudicare subito atteggiamenti che non ci sembrano adeguati. La maggior parte dell’accompagnamento passa per il non detto, dalla comunicazione non verbale. Coltivare una stima verso la diversità profonda dell’altro che ci sta chiedendo qualcosa, significa non calpestare un germoglio: etichettare la debolezza dei giovani, è un problema nostro che non sappiamo come maneggiare la nostra debolezza. Pensiamo all’immagine biblica, dell’accompagnamento vocazionale di Eli con Samuele. Eli non vede bene e così è per noi accompagnatori che dobbiamo sapere che siamo un poco ciechi, per cui è necessario fare un lavoro su noi stessi, rimuovendo quelli che sono i nostri limiti. Se anche i giovani ci sembrano strani, noi dobbiamo avere la fiducia che il Signore stia parlando a loro».

Da qui un altro elemento imprescindibile: il camminare “con”, «arrivando a una sorta di co-battesimo nell’accompagnare qualcuno nella propria vocazione».

Infatti, prosegue Pasolini, «non può più esistere un accompagnamento freddo e distaccato. Dobbiamo essere solidali nell’esperienza umana che tutti condividiamo e porci in una sincerità con l’altro che mantiene una distanza, ma abbatte il muro di gomma. A noi è chiesta la sincerità di non nascondere le nostre fatiche. Se i giovani si accorgeranno di questa comunione di sincerità, che fa diventare persone autentiche, allora arriveranno».

«Lo stile con cui noi ci dovremmo avvicinare a qualcuno, essendo dei mediatori solenni, è lasciare l’altro nella libertà, senza abusare in nessun modo del nostro potere che è grande. Dio vuole solo un’adesione libera e noi dobbiamo trasmettere la fiducia che Dio ha nei confronti di chi cammina sull’itinerario della vocazione. Non sono tanto le tecniche o le strategie, ma è il clima di fondo che caratterizza l’accompagnamento oggi al fine di testimoniare il tesoro che portiamo nel cuore».

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