«Fare rete è la chiave per poter portare avanti questa missione che ci ha affidato il Papa di creare una cultura della cura e della protezione dentro la Chiesa. Innanzitutto, grazie di cuore per il vostro lavoro». Padre Andrew Small, segretario della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, ha aperto i lavori del primo incontro nazionale dei referenti territoriali del Servizio nazionale Cei per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Oltre 150 referenti territoriali si sono riuniti nel Cento congressi Augustinianum di Roma, per una giornata di lavori guidata da Emanuela Vinai, coordinatrice del Servizio.
Ascoltare il grido dei bambini
Alla tavola rotonda che ha aperto la mattinata è intervenuto monsignor Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei: «Non possiamo tollerare che i bambini soffrano a causa nostra e in ambienti che dovrebbero essere sicuri e accoglienti. Anche un solo caso è troppo». Per il vescovo, «non è possibile dire seriamente una parola sui bambini senza ascoltare il loro grido» e «la Chiesa oggi deve ascoltare il grido di chi spesso non ha neanche la fiducia per esprimerlo, liberando da una sofferenza ingiusta che impedisce la possibilità della felicità».
Quindi monsignor Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna e presidente del Servizio, ha ricordato che «non operiamo nella periferia della Chiesa per riparare danni esterni, ma lavoriamo al cuore della nostra vita ecclesiale, dove si sono prodotte ferite che le persone si portano dentro. La Chiesa universale si sta muovendo per ripensare se stessa in senso sinodale e forse ci si aspetta che alcune strutture cambino in un’ottica più missionaria. Dentro questo cambiamento ci siamo noi, con un ministero che sta cambiando la vita e il volto della Chiesa a poco a poco e partendo dal basso».
La centralità della prevenzione
All’incontro ha partecipato anche Gianfranco Costanzo, capo del Dipartimento delle politiche per la famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha sottolineato la «centralità della prevenzione e il costante impegno di tutti coloro che sono coinvolti nella tutela dei minori». Costanzo ha presentato l’attività dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile e il nuovo Piano nazionale orientato alla realizzazione di interventi funzionali a rispondere agli obiettivi connessi alla prevenzione, protezione e promozione: «I più piccole e vulnerabili si affidano e si fidano di noi. Abbiamo una grande responsabilità».
Un messaggio è stato inviato anche da Carla Garlatti, autorità garante per l’infanzia e la adolescenza: «Ascoltare diventa ancora più importante per noi adulti, per poter tutelare e prevenire. Non solo attraverso i centri di ascolto, che restano comunque uno spazio importante per la raccolta di segnalazioni e l’attivazione delle conseguenti tutele, ma anche realizzando interventi che pongano al centro il minore permettendogli di esprimersi in contesti protetti e ricettivi, con personale formato, in grado di cogliere gli indicatori di eventuali situazioni di abuso o vulnerabilità e di intervenire per fornire il necessario supporto e assistenza».
Le “buone pratiche”
Dopo la presentazione della seconda rilevazione sulle attività dei Servizi territoriali di tutela minori e adulti vulnerabili promossa dalla Cei (leggi qui), è stata la volta di due buone pratiche.
La prima è un percorso di formazione umana dedicato ai sacerdoti e alle religiose della Toscana nei primi dieci anni di ordinazione o consacrazione. Realizzato in collaborazione con Scuola di alta formazione in Antropologia medica della Facoltà teologica dell’Italia centrale il percorso, la cui prima edizione si è svolta da maggio a novembre, ha come obiettivo quello di riflettere su alcune aree del vissuto e aspetti della pastorale che hanno bisogno di particolare cura e attenzione. «La priorità è stata prendersi cura delle singole persone, della loro formazione per una crescita di maturità. Altrimenti si rischia di passare i contenuti che poggiano su strutture umane profondamente immature», ha spiegato la responsabile del progetto suor Tosca Ferrante, coordinatrice del Servizio regionale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Nei quattro appuntamenti che hanno scandito il percorso si è parlato di diritti e doveri dei sacerdoti e delle religiose, di solitudine e dipendenze, di consapevolezza e della sua gestione, dei nuovi legami familiari. Hanno partecipato oltre 150 persone, con un’età media di 35/40 anni: «C’erano molti parroci e sacerdoti impegnati in parrocchie, ma anche le religiose che operano nelle strutture educative. Tanti preti e suore giovani si sentono sopraffatti dai messaggi che veicolano i media, un’accusa generalizzata nei confronti della Chiesa. Quasi che tutti fossero abusatori. Abbiamo creato una alleanza educativa, spiegando che la cura della nostra vocazione personale è una responsabilità verso le persone che serviamo. E i vescovi della Toscana sono molto soddisfatti questo percorso, che vogliamo riproporre».
Dall’Abruzzo, invece, è arrivata la testimonianza di una buona prassi inter-istituzionale, con la presentazione di un protocollo d’intesa promosso dalla diocesi di Sulmona-Valva con il Servizio sociale territoriale, le Forze dell’Ordine, i Servizi sanitari, gli enti del Terzo settore e la realtà scolastica. Il protocollo mira a creare una rete di coordinamento in tema di maltrattamento e abuso a danno dei minori tra i diversi attori presenti sul territorio, promuovendo interventi finalizzati a prevenire, rimuovere e monitorare tale fenomeno, formando gli operatori dei servizi presenti sul territorio sulle tematiche inerenti l’abuso e il maltrattamento dei minori e favorendo iniziative di sensibilizzazione sulla problematica rivolte alla cittadinanza. «Abbiamo avviato un progetto interno alla diocesi, coinvolgendo gli uffici pastorali, che fosse anche aperto alle istanze del territorio – racconta Lucia Colalancia, psicoterapeuta e referente del Servizio diocesano per la tutela dei minori -. Siamo da sempre radicati nella vita della società civile, dunque è stato naturale stringere rapporti con le istituzioni del territorio. Mancava un collegamento, una prassi consolidata rispetto alla tutela dei minori in caso di abuso. Ognuno si muoveva autonomamente, non c’era una rete. Abbiamo voluto mettere in circolo le tante risorse. Le lentezze burocratiche e la carenza di personale pubblico ha rallentato l’attuazione del protocollo. Ma siamo pronti a partire».