Ecco le testimonianze di 9 degli 11 diaconi che diventeranno sacerdoti sabato 7 giugno in Duomo.

Don Riccardo: «Grato a quanti mi hanno accompagnato fino a qui»
«Ho 26 anni e la mia vocazione ha origine nella Comunità pastorale Sant’Ambrogio di Parabiago – racconta don Riccardo Borsani -. Sono entrato in Seminario nel settembre 2017, dopo il diploma di perito grafico. La mia fede è nata in famiglia, grazie ai miei genitori e ai miei parenti che, con amore e dedizione, mi hanno trasmesso valori fondamentali». Ha iniziato il suo cammino in parrocchia: «Un cammino fatto di tappe diverse, come il servizio di chierichetto, cerimoniere, animatore, catechista ed educatore. È stato proprio durante l’esperienza come educatore al centro vocazionale decanale che ho iniziato a farmi domande più profonde. La vocazione non è nata da parole particolari, ma dal vedere la gioia autentica dei preti della Pastorale giovanile: una felicità legata al loro essere sacerdoti. Da lì è cresciuto in me il desiderio di rispondere alla chiamata del Signore». Per Riccardo il Seminario è stato «un tempo prezioso, ricco di studio, ma anche di esperienze pastorali che mi hanno fatto crescere come uomo e come cristiano. Fondamentale è stata anche la presenza degli amici, che mi hanno accompagnato e sostenuto in questo percorso».

Don Luca: «La mia chiamata nata tra basket, oratorio ed economia»
Don Luca Crespi ha 35 anni ed è originario di Nerviano, dove è cresciuto nella fede e si è posto al servizio di tanti ragazzi come animatore ed educatore. «Dopo il diploma al Classico, ho studiato Economia, svolgendo poi la professione di consulente patrimoniale al servizio di tante famiglie – racconta -. In quegli anni, oltre a giocare a pallacanestro, iniziavo ad allenare alcune squadre giovanili. Le domande serie, circa il senso della mia vita e il desiderio di servire il Signore, sono giunte grazie a questa immersione nella vita quotidiana, fatta di incontri al lavoro, allenamenti, la passione educativa in oratorio, il confronto con gli amici che iniziavano a fare scelte importanti per la loro vita. Ed è giunta così, nel settembre 2019, una decisione di sicuro non facile: entrare in Seminario». Si è avviato così «un nuovo ritmo di vita, nuove relazioni, la preghiera, lo studio della teologia, le esperienze pastorali: tutto ha concorso a condurmi sulla soglia di questo dono così grande, la prossima ordinazione presbiterale, perché io possa mettermi al servizio del Signore Gesù e della sua Chiesa con tutto me stesso, confidando nella sua fedeltà, che è per sempre».

Don Amilkar: «La mia storia di Chiesa dalle genti»
Don Amilkar Naranjo ha 32 anni ed è originario dell’Ecuador: «Vivo a Merate dal 2006. Il mio percorso non è stato lineare. Dopo tre anni di studi ho sentito il bisogno di prendermi una pausa. Ho iniziato così a lavorare come operaio in diversi ambiti, dove ho toccato con mano la fatica e la bellezza del mondo del lavoro. Poi ho deciso di riprendere in mano i libri, ottenendo il diploma come tecnico informatico». Durante un ritiro spirituale ha avuto inizio una profonda riscoperta della fede, che da tempo aveva messo da parte: «In quell’incontro con il Signore è iniziata la mia conversione, la stessa che mi ha condotto alla parrocchia di Santo Stefano dei Migranti a Milano. Le parole del Vangelo hanno fatto nascere in me una scelta radicale, seguendo quel “rinnega te stesso, prendi la tua croce e seguimi”. In Seminario ho scoperto una Chiesa che accoglie, sostiene e cammina con te: una vera “Chiesa dalle genti”. Sebbene non sia nato in terra ambrosiana, oggi mi sento pienamente parte di questa Chiesa: figlio di un popolo che si prende cura “perché nulla vada perduto”».

Don Massimiliano: «Gesù è stata la risposta»
Don Massimiliano Rossignoli ha 30 anni ed è cresciuto a Casciago, vicino Varese, «in una famiglia che mi ha dato moltissimo. Al liceo la mia vita è stata stravolta nell’incontro con la comunità cristiana, quando mi sorpresi a dare del “Tu” a Gesù. Quell’intensità, quella diversità, quella novità di vita che si era introdotta in me, quel qualcosa che era entrato nella mia storia aveva un nome: è la presenza di Dio, la scoperta di un volto amico, quel volto da cui io stesso scaturisco». Una «una sfida alla mia ragione», la definisce, «alla mia esigenza di ragionevolezza, che durante l’università ho potuto guardare in faccia, dentro l’avventura di quegli anni in cui, tra lo studio della giurisprudenza e l’immersione nella comunità cristiana, è fiorita la mia vocazione. Questi anni di Seminario, poi, sono stati il tempo in cui scendere in profondità e crescere nella familiarità con Gesù, l’unico che è capace di attrarre tutto di me e di rispondere alla sete del mio cuore. Nel maturare della vocazione si è svelato sempre più l’amore alla Chiesa universale e a questa nostra Chiesa diocesana, che ha custodito e alimentato in me il dono della fede».

Don Marco, la vocazione come un rollercoaster
Tra i futuri preti c’è un grande appassionato di parchi divertimento: è don Marco Eliseo, trentenne di Fagnano Olona. «Ne ho visitati tanti, in Italia e in Europa, ma il mio preferito resta Disneyland Paris», confessa e aggiunge: «Molti sostengono che i parchi divertimento sono tutti uguali: visto uno, visti tutti. E invece no. Ognuno ha la sua anima, le sue scenografie curate nei minimi dettagli, ogni attrazione la sua storia». In particolare, don Marco ama i rollercoaster, non solo per l’adrenalina, ma perché ogni corsa è un viaggio: c’è l’attesa iniziale, la salita lenta che mette un po’ di paura, poi improvvisamente tutto accelera con curve, giri della morte, discese e risalite. E proprio a una corsa sulle Montagne russe il futuro sacerdote paragona la sua storia vocazionale. «Le salite e le attese piene di dubbi, le paure e le domande in questi anni hanno lasciato il posto alle discese colme di gioia, di cambi di direzione inaspettati – spiega -. Ma con me ogni volta, anche nei momenti più difficili, ho sentito la presenza creativa di Dio, come un amico seduto nel vagone vicino a me».

Don Luca: «Attraverso le persone accanto a me ho incontrato il Risorto»
Don Luca Vignali ha 30 anni ed è originario di Melzo: «Sono cresciuto in oratorio e nelle scuole salesiane nelle quali ho avuto la possibilità, negli anni degli studi universitari in Economia, di lavorare come educatore. Il desiderio di capire cosa fare della mia vita è nato dopo l’incontro con un giovane prete: in lui vedevo la felicità, quella vera, di chi è contento di aver scelto a chi donare per sempre la propria vita, facendo nascere in me una domanda sulla vocazione che è rimasta lì per qualche anno». Negli anni delle superiori ha iniziato a fare l’educatore in oratorio: «Questo donare tempo per accompagnare altri a incontrare il Signore Gesù mi ha stimolato, sempre di più, a trovare delle risposte a quella domanda che c’era in me. Dopo la Missione giovani con i frati francescani, nel 2018 sono entrato in Seminario. In questi anni di formazione e di esperienze pastorali, ho davvero incontrato il Signore Risorto attraverso le persone che mi ha posto accanto, aiutandomi a crescere come uomo e come cristiano».

Don Davide: «La montagna insegna che la fatica è ampiamente ripagata»
Don Davide Zilioli ha 29 anni e viene da Cassago Brianza (Lecco): «Sono entrato in Seminario nel 2018, dopo aver frequentato un istituto tecnico e un’esperienza lavorativa in un’azienda edile. È stata per me un’esperienza importantissima, amavo molto il mio lavoro ed ero davvero contento di quello che facevo. Un’altra mia grande passione è la montagna, che mi ha insegnato molto: un luogo maestoso, che richiede fatica e dedizione, ma che allo stesso tempo ti ripaga con paesaggi mozzafiato. Oltre a tutto questo, ho frequentato l’oratorio del mio paese, dove ho fatto l’educatore ed è stato per me un luogo importante, perché è dove con più intensità sono nato alla vita». «In tutto questo, ho capito che Gesù mi chiamava a fare altro – prosegue -. Non è stata una scelta facile: decisivo è stato il sostegno di un prete che mi è stato vicino e mi ha aiutato nel mio discernimento. Poi, una volta entrato in Seminario, ho approfondito ciò che provavo andando ai fondamenti della mia fede. Mi sembra di poter dire così: sono entrato in Seminario perché mi piaceva fare delle cose, ci sono invece rimasto perché ho approfondito e scoperto sempre più l’amore per il Signore Gesù e per la sua Chiesa».

Don Giorgio: «Per vincere c’è bisogno di una squadra»
Don Giorgio Vignati, classe 1999, originario di Brugherio, è il portiere di una delle due squadre di calcio del Seminario di Milano. Amante del pallone sin da bambino, ha trovato il suo ruolo in porta, senza mai dimenticare che per ottenere un risultato bisogna fare squadra. «Crescendo ho imparato che in campo si può vincere e si può perdere – dice -, che i numeri e il palmarès non dicono tutto di un calciatore e soprattutto che un giocatore da solo non basta per vincere: c’è bisogno di una squadra vera». Anche la sua vocazione è maturata all’interno di relazioni importanti: genitori, fratelli, amici, compagni di squadra. «In tutte queste persone ho avvertito un fuoco, non sempre chiaro da chi fosse mosso – spiega -. Ma frequentando l’oratorio provando a imparare la musica, a giocare di squadra e a lasciarmi interrogare da quanto dicevano educatori e professori, è nata in me l’urgenza di risplendere proprio come loro. Trovata la luce che illuminava le mie giornate, mi sono affidato e sono entrato in Seminario, dove ho imparato che, come a Mosè splendeva il volto dopo aver parlato con il Signore, tutti noi possiamo risplendere della sua luce, se lo frequentiamo».

Don Claudio: «Le parole di San Paolo a guidare la mia azione»
«“È Dio il fine ultimo della sua creatura”. Così scriveva un grande teologo, per dire che nella comunione con Dio l’uomo trova la propria felicità. Dio, che ama salvare, vuole raggiungere e attirare a sé, nella vita eterna, l’umanità intera. Siamo fatti per l’eternità. Questo speriamo perché è inscritto nella sua promessa d’amore»: parole di don Claudio Darman, 33 anni, di Novate Milanese, attualmente destinato alla Comunità pastorale Beato Mario Ciceri di Renate e Veduggio con Colzano (Monza Brianza). «Questo amore mi ha costantemente e silenziosamente accompagnato – racconta – e, dopo gli anni dell’Università (mi sono laureato in Scienze religiose), si è fatto sentire in modo dirompente chiedendomi di seguirlo in maniera esclusiva. La chiamata mi ha raggiunto grazie al don dell’oratorio, ai miei alunni (ho insegnato Religione cattolica alle scuole medie di Cusano Milanino) e agli adolescenti di Novate che ho accompagnato».
Per lui la decisione di donare la vita, di servire il Signore e la Chiesa, è maturata grazie all’esempio di amici che avevano già fatto scelte di vita “per sempre”. «In vista del 7 giugno, ho scelto il motto Perché Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,28) – spiega -. Questo versetto di San Paolo dice in maniera stupenda il desiderio e la speranza di Dio per l’umanità: essere il tutto in ogni uomo, per condurre tutti a salvezza. È questo il motivo per cui Gesù Cristo ha vinto la morte. Allora ho scelto queste parole perché vorrei che, in questo orizzonte, trovasse forza e significato ogni mia azione: preghiera, liturgia, annuncio e missione, amministrazione dei sacramenti, catechesi, servizio ai poveri, vita dell’oratorio, ogni relazione e ogni incontro. Questo mi rende felice e dà compimento alla mia vita».




