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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Vimercate

Moioli, uno sguardo creativo sulla Chiesa

A 40 anni dalla morte il teologo ambrosiano è stato ricordato nella sua città natale con un convegno promosso dalla Formazione permanente del Clero e dal Centro studi di spiritualità, seguito dalla Messa presieduta dal Vicario generale

di Annamaria BRACCINI

7 Ottobre 2024
Alcune tra le opere pubblicate di don Giovanni Moioli

«Un incontro per esprimere gratitudine e riconoscenza e per dire grazie a una persona amica che sempre più avvertiamo come maestro». Così monsignor Ivano Valagussa, vicario episcopale per la Formazione permanente del Clero, ha aperto il convegno dedicato al teologo don Giovanni Moioli in occasione del 40esimo della sua prematura scomparsa (6 ottobre 1984), svoltosi presso l’Istituto delle Figlie della Carità Canossiane a Vimercate (sua città natale), promosso dalla Formazione permanente del Clero e dal Centro studi di spiritualità della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e rivolto specificamente ai sacerdoti.

Ricordando l’uscita in questi giorni dell’undicesimo volume dell’Opera Omnia di don Moioli, Scritti sul prete, e l’arrivo in libreria di un saggio più agile, Discepoli di Gesù. Al cuore dell’esperienza cristiana (Glossa), «nel quale sono state raccolte alcune delle più belle pagine di Moioli sulla spiritualità», monsignor Valagussa ha aperto i lavori, con relatori tre teologi legati per diversi motivi a don Moioli.

Monsignor Ivano Valagussa e i relatori

Alla presenza del vicario generale monsignor Franco Agnesi, il vicario di Zona IV monsignor Luca Raimondi, il Moderator Curiae monsignor Carlo Azzimonti, il vicario episcopale per la Vita consacrata monsignor Walter Magni, il rettore del Seminario don Enrico Castagna e il responsabile della Comunità pastorale di Vimercate monsignor Maurizio Rolla, la prima relazione è stata affidata a monsignor Claudio Stercal, docente di Teologia spirituale presso la Facoltà teologica e amico di Moioli.

Lavorare insieme nella Chiesa

«L’ho conosciuto per 9 anni e la cosa più bella che ricordo sono i viaggi Milano-Vimercate e Vimercate-Milano in cui lo accompagnavo in auto, essendo lui già malato. Dopo la sua morte il suo grande amico don Pino Colombo chiese di costituire un Centro Studi a lui dedicato, e nel trentesimo della scomparsa abbiamo presentato il primo volume dell’Opera omnia, a cui oggi mancano solo i due ultimi tomi. Tra i suoi molti contenuti ci sono la centralità di Gesù che è un tema assolutamente suo, onnipresente e formidabile: una strada su cui varrebbe la pena fare qualche passo in più anche nella pastorale», ha sottolineato monsignor Stercal. Aggiungendo poi: «Il tema della comunione presbiterale ed ecclesiale è altrettanto centrale, così come quelli della diocesanità del clero e del discepolato. Negli ultimi decenni, forse un secolo, abbiamo accentuato il tema della gerarchia e delle strutture centralizzate e abbiamo lasciato sullo sfondo il legame comunionale che ha una valenza relazionale e progettuale importanti in un mondo che soffre molto di solitudine. Lavorare insieme nella Chiesa per la società appassiona e ha ancora un potere di attrazione. Questo aspetto può essere rilevante anche in una prospettiva vocazionale».

I presenti al convegno

Fratelli nella Chiesa

Don Guglielmo Cazzulani, presbitero della diocesi di Lodi che ha studiato la figura e il pensiero di don Moioli – pur senza averlo mai conosciuto – per la sua tesi di dottorato all’Università Gregoriana, ha spiegato: «Non si sta nella Chiesa se non ci si riconosce piccoli e fratelli, vi si entra passando per la porta stretta. Questa base di piccolezza evangelica permette, poi, di vivere una vera fratellanza, e il dovere della misericordia reciproca. La Chiesa, nella rappresentazione di don Moioli, è la comunione che riavvicina le persone e non scava fossati, ha una morale senza essere moralista. La Chiesa è certamente una Chiesa di fratelli, non negando l’originalità di ciascuno e l’insopprimibile varietà che è un dono. La comunità ecclesiale è il luogo dove il giudeo e il pagano entrano in comunione senza diventare l’uno l’altro, ossia mantenendo la propria fisionomia specifica».

A Gerusalemme un muro divideva gli ebrei dai gentili «e, nella lettera agli Efesini, Paolo descrive il fastidio per quei mattoni, perché Cristo è il dono per tutta l’umanità», ha proseguito Cazzulani, facendo riferimento aperto alla teologia di Moioli che «fece della dialettica tra giudeo e pagano un paradigma per interpretare alcune questioni nella Chiesa. Il giudeo è l’emblema dell’uomo delle Istituzioni in senso positivo, che sa elargire sicurezza, ha la legge, ma che, al suo interno, corre il rischio dell’immobilismo, della rigidità, e sappiamo che di formalismo la Chiesa può morire. Il pagano ha il senso dell’iniziativa di Dio ed esprime la novità assoluta della libertà e della riconoscenza per tale iniziativa. È necessario che ogni discepolo tragga cose antiche e nuove: la tensione tra gerarchia e profezia non è, forse, sempre la dialettica tra giudeo e pagano? Tutti abbiamo bisogno di tutti: l’autorità deve servire all’edificazione comune e cosi anche il carisma. Le decisioni del Magistero non sono l’ultima parola, ma la penultima, diceva Moioli, con il coraggio di riconoscere che la vita continua. Tutto comincia dalla comunione e deve tornare alla comunione, in una sottomissione a Cristo che la fa diventare bellezza».

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Comprendere il peccato e la riconciliazione

Don Cristiano Passoni, anch’egli teologo e che ebbe Moioli come insegnante, si è soffermato sul rapporto tra «Riconciliazione e vita spirituale. Attorno al quarto sacramento». «Il cristiano con il battesimo entra in una definitività, eppure ciascuno di noi sperimenta la propria fragilità. Questo è il paradosso del cristiano peccatore, che appartiene alla Chiesa, ma che spesso, attraverso i suoi gesti, va nella direzione contraria. Occorre tentare di capire il quarto sacramento».

Da qui quattro passaggi. «Tutti noi viviamo l’esperienza del peccato con la paradossalità di essere cristiani entrati per sempre nella definitività. La questione è come interpretare tale conversione, o meglio, la seconda conversione dopo la prima definitiva del battesimo. Per questo la penitenza non può essere un fatto privato, ma è un fatto di Chiesa. L’uomo può sottrarsi all’amore di Dio, ma non può mai essere privo della carità di Dio. Il peccato non distrugge mai il dono che fa da fondamento a tutto». E, ancora, «la ricentratura ecclesiologica. La conversione del battezzato peccatore è un cammino verso il ri-raccoglimento nella Chiesa». Inoltre, il rapporto tra il sacramento della riconciliazione e la vita spirituale: «Dire il peccato non è solo un atto di memoria, ma un atto di fede, perché chi decide del peccato non sono i mass media, i codici penali, ma il Signore».

È questo che porta a una scoperta del proprio cuore, che ha fame e sete, che vuole libertà anche se tali concetti sono spesso ambigui: «Non dire il peccato dentro la Chiesa vuol dire non comprendere cosa sia il battesimo, e nemmeno chi sia il peccatore. Il tratto ecclesiale del sacramento della riconciliazione pare oggi perso, perché è diventata una questione individuale. L’aspetto celebrativo di questo sacramento meriterebbe qualche riflessione in più perché non si riduca nel privato». Non a caso, proprio don Moioli scriveva: «La Chiesa è il luogo dove i peccatori sono perdonati e possono diventare santi».

L’omelia del Vicario generale

La Messa

A conclusione del Convegno, la celebrazione eucaristica presieduta dal monsignor Agnesi nella cappella interna all’Istituto: «Nel convegno di 20 anni fa in memoria di don Moioli – “Un teologo e un maestro spirituale” – ha detto il Vicario generale nell’omelia -, don Pino Colombo, commentando una foto de Il Segno in cui erano ritratti tre personaggi in piedi mentre stanno parlando – lui, don Luigi Serenthà, e don Giovanni Moioli -, disse, riferendosi alle morti di Moioli e Serenthà: “Nel giro di due anni la teologia fu paurosamente mutilata, nella parte destra nel 1984, e nel 1986 nella parte sinistra, e io ne patii come una ingiustizia. Ora rimane solo un “mozzicone” che rotola goffamente verso il tramonto”».

«Ringraziamo per lo sguardo alla Chiesa che don Giovanni ci ha lasciato – ha proseguito Agnesi, riferendosi al Vangelo del giorno nella festa della Madonna del Rosario -. La creatività è nella fede che sa interpretare i contenuti della vita rimanendo se stessa, non nelle cose che accadono. Chiediamo la creatività della fede camminando e accogliendoci gli uni gli altri, come ha fatto don Moioli con il dono del suo magistero che continua».

E allora è bello ricordare quanto disse in quello stesso convegno, l’Arcivescovo allora rettore maggiore del Seminario: «Moioli aprì un nuovo corso per la spiritualità degli stati di vita, a patire dalla spiritualità sacerdotale. Difficile dire se il progetto immaginato si sia realizzato».  Difficile anche oggi.

 

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