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Pastorale

La liturgia sia strumento di partecipazione della comunità

Si è tenuto oggi a Milano l'ultimo dei tre incontri per animatori liturgici 2024 per spiegare il senso della proposta offerta dal Servizio per la Pastorale Liturgica della Diocesi, a partire dalla Costituzione del Concilio Vaticano II sulla liturgia Sacrosanctum Concilium. Come anche nelle altre occasioni, l'intervento conclusivo è stato tenuto dall'Arcivescovo.

di Annamaria BRACCINI

13 Aprile 2024

“La Liturgia ci prende per mano per condurci dentro il mistero”. Il titolo dei tre incontri per animatori liturgici 2024 – svoltisi a Osnago, Castellanza e, infine, a Milano (presso, tutti con le conclusioni affidate all’Arcivescovo – spiega al meglio il senso complessivo della proposta offerta dal Servizio per la Pastorale Liturgica della Diocesi. E, infatti, da qui parte anche la riflessione del responsabile del Servizio, monsignor Fausto Gilardi, anche penitenziere maggiore della Cattedrale, che ha aperto ciascun appuntamento. Per quello conclusivo del ciclo, molti i presenti presso la sala della Comunità della parrocchia milanese di Sant’Ildefonso, dove l’incontro si apre con la recita corale dell’Ora Media.

La mattina di studio

«Abbiamo fatto un piccolo percorso ricordando l’importanza della Costituzione del Concilio Vaticano II sulla liturgia, Sacrosanctum Concilium a 60 anni dalla sua promulgazione, i 4 dicembre 1963», spiega monsignor Gilardi.

«Dopo la lezione di monsignor Claudio Magnoli, su “Partecipi del Sacerdozio di Cristo nella liturgia”, e di don Norberto Valli su “Mediante i riti e le preghiere: il primato dell’azione nella liturgia”, oggi don Luigi Girardi, docente e già preside dell’Istituto Santa Giustina di Padova, presenterà uno dei temi fondamentali della Costituzione conciliare, la “Santificazione dell’uomo e glorificazione di Dio nella liturgia”. Con questi tre mini-convegni, non solo abbiamo voluto fare memoria di un momento eccezionale come quello conciliare e di un testo fondamentale per il discorso liturgico come Sacrosanctum Concilium, ma abbiamo accolto l’invito di papa Francesco a rileggere le 4 Costituzioni del Vaticano II, come preparazione all’anno santo».

E questo con l’obiettivo dichiarato di una «liturgia in cui la partecipazione di tutti sia sempre più piena e consapevole, attiva e fruttuosa», dice ancora il responsabile della Liturgia diocesana

Santificazione dell’uomo e glorificazione di Dio

Uno scopo pienamente condiviso e articolato dalla relazione di don Girardi, a partire dal «difetto del concepire la relazione tra Dio e l’uomo come soggetti separati». Mentre, «in un certo senso, la santità di Dio e la sua gloria sono la stessa cosa considerata da due punti di vista: è la vita di Dio che si fa vicino a noi e che si irradia a noi: Ciò avviene massimamente nel mistero pasquale di Gesù Cristo, mistero di dedizione totale. Mettendo la santificazione dell’uomo e la glorificazione di Dio al cuore della liturgia, Sacrosanctum Concilium afferma che il suo contenuto non è altro che il mistero di Cristo, ciò che lui ha realizzato, momento culminante e sintetico della storia della salvezza, ma ancor di più e prima, rivela la natura propria della liturgia: Essa è, infatti, partecipazione al mistero di Cristo e l’opera liturgica è, così, possibile solo perché e solo in quanto Cristo stesso è presente e operante in essa. Cristo non è solo l’oggetto della celebrazione, ma è il suo soggetto primo».

Come a dire che occorre essere consapevoli che, nelle tante attività che la Chiesa fa, c’è un unico punto fermo: lo spirito, lo stile, la ragione, l’origine per cui si propongono: il Signore.

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La liturgia: non un esercizio autoreferenziale  

Infatti, «esistono molti parchi giochi», osserva il liturgista ma – suggerisce – l’oratorio è un’altra cosa. «Quanto avviene nella liturgia è la fioritura di ciò che è contenuto, in boccio, nelle nostre attività diventando l’esplicitazione di quanto operiamo nella vita quotidiana. La verità dei gesti rituali va ricercata non nella bellezza esteriore – anche se deve esservi bellezza -, ma nella ricerca di ciò che porta alla nostra santificazione e alla glorificazione di Dio: i riti non sono finalizzati a farci sapere qualcosa, ma a permettere di partecipare a un evento comune, a un’esperienza».

Esempio paradigmatico di tutto questo, peraltro indicato espressamente dalla Costituzione conciliare, è la musica liturgica, quale strumento, appunto, di partecipazione attiva dell’assemblea e non esercizio virtuosistico e autoreferenziale. «Nessuno si privi della santificazione che viene dal canto e della musica sacra: questa riflessione ci impegna a vivere le nostre liturgie rifuggendo dal ritualismo, ossia da un innamoramento narcisistico che ci ripiega su noi stessi», conclude don Girardi.

Parole cui fa eco l’Arcivescovo, commentando l’inizio della Lettera paolina agli Efesini, il famoso “Inno”, «che dovete imparare a memoria», auspica rivolto agli animatori.

La gloria di Dio è ovunque  

«La mia», osserva subito il vescovo Mario, «è una proposta spirituale, con l’obiettivo di chiedersi come predisporre le comunità a dire l’“amen” più importante della Messa che è quello della dossologia che conclude la preghiera eucaristica: “Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo…..”».

Da qui una sorta di «teologia delle preposizioni». «Cosa significa in Cristo?, quell’“in” cosa può suggerirci? Il Padre ci ha creati come figli in Cristo e, quindi, il nostro modo di essere esistenti e liberi è solo in Cristo. Per questo siamo immagine di Dio, perché viviamo della vita del Figlio. Anche nel Vangelo di Giovanni, la preposizione “in” è molto importante, come quando si parla della vite e del tralcio nel capitolo 15. Ricevere l’Eucaristia realizza e porta a pienezza il dimorare in Gesù: questo mi pare un cammino inesauribile per comprendere chi siamo e aiutare la comunità».

Poi, la preposizione “per”, ossia “mediante” Gesù Cristo. «Mediante vuole dire attraverso. Il vivere in lui avviene mediante lui. Se noi vogliamo arrivare alla pienezza di vita dobbiamo percorrere la strada che lui ha percorso, entrare nella casa di Dio attraverso Gesù, e ciò significa che il nostro modo di stabilire relazioni, di fare scelte, di guardare la realtà, deve essere secondo il suo stile. Bisogna prendere la forma di Gesù: lui è il criterio e la porta».

Inoltre, “a”, cioè ricondurre a Dio tutte le cose, «trovando il loro senso in Cristo».

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La vita: un’occasione per amare

«Se ci domandiamo che significato hanno la vita e l’universo, le situazioni drammatiche che tante persone vivono, la dispersione e le ostilità tra i popoli, si può trovare un unico senso: la trasformazione di tutto questo in un’occasione per amare. Per questo il mio motto è  – sottolinea l’Arcivescovo – “Plena est terra gloria eius – La terra è piena della gloria di Dio”, perché ci è offerta sempre un’occasione».

E se il primo capitolo (1-14) di Efesini è, appunto, detto “Inno”, il riferimento non può che essere  al cantare.

«L’Inno non è un testo dogmatico, non si esaurisce nel concetto o nelle parole, ma bisogna dirlo con la gioia, il canto, l’abbraccio, l’acclamazione. Domandatevi come si fa ad animare l’assemblea perché dica l’“amen” della dossologia con questi sentimenti».

Infine, il richiamo a due parole «fraintese», la vocazione «che non è una strada predestinata,  scegliere uno stato di vita, ma un modo per essere figli, santi e immacolati davanti al Signore nella carità» e la «volontà di Dio, da identificare non con la fatalità di un destino da subire, come se Dio volesse i mali che accadono e ci colpiscono, ma come un amare fino alla fine come lui ci ama, diventando partecipi della vita di Dio, senza più divisioni tra “noi” e “voi”». 

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