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Ordo Virginum

L’Arcivescovo: «Siete una realtà viva e un dono che il Signore ha fatto alla nostra Chiesa»

Nella basilica di San Simpliciano, Delpini ha presieduto la celebrazione con il Rito di consacrazione nell’Ordo Virginum di quattro nuove sorelle

di Annamaria BRACCINI

9 Settembre 2023

La lunga storia dell’umanità che si sente non amata da Dio e del Signore che si ostina ad amarla. La lunga storia delle consacrate nell’Ordo Virginum chiamate, con la loro vita, a dire alla «non amata» che, invece, è amata.

È questo l’impegno che l’Arcivescovo Mario Delpini ha chiesto a quattro donne che sono entrate a far parte dell’«Ordo» con la celebrazione per la loro consacrazione. Quattro persone come tante, tra i trenta e i cinquant’anni, provenienti da luoghi e comunità differenti, con occupazioni diverse: Beatrice, impegnata in attività culturali, Elena, operatrice socio-sanitaria alla “Sacra Famiglia” di Cesano Boscone, Emanuela, impiegata in un’azienda del settore metalmeccanico e Francesca, mediatrice culturale in una parrocchia milanese. Tutte riunite dall’amore per il Signore a cui esprimono il loro sì definitivo nella basilica di San Simpliciano, uno dei templi matrici sant’ambrosiani. Nel passato era chiamata Basilica Virginum. Una scelta, evidentemente non a caso, per il Rito presieduto dal vescovo Delpini e concelebrato da una ventina di sacerdoti tra cui il delegato arcivescovile dell’“Ordo”, don Dario Balocco e i due predecessori, monsignor Ambrogio Piantanida e don Davide Milanesi, il vicario episcopale per la Vita Consacrata, monsignor Walter Magni. 

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«Elena, Beatrice, Francesca ed Emanuela hanno cercato di seguire Gesù con tutte le fragilità e le gioie. Oggi nel ringraziarla per la sua presenza e di tutti coloro che hanno lavorato per questa celebrazione e per la loro formazione, chiedono un dono: continuare a seguire Gesù, niente di più ma neanche niente di meno». Così ha affermato in apertura don Balocco rivolto all’Arcivescovo che, a sua volta, ha definito le consacrate dell’Ordo Virginum, più di cento i Diocesi e oltre seicento in Italia, «un dono che il Signore ha fatto alla nostra Chiesa». 

La lunga storia dell’umanità «non amata» 

Alla chiamata per nome delle consacrande, l’omelia del vescovo Delpini prosegue nel racconto della storia eterna di un’umanità senza pace.

«È una storia complicata, tormentata. Sembra che fin dall’inizio l’umanità si sia definita «non amata». L’umanità si affligge in un vivere che è fatto di sudori e doglie, uomini e donne si trascinano sulla terra portando un giogo pesante. L’umanità deve imparare a cavarsela, ha paura di Dio, crede che Dio sia un nome da temere come se definisse l’esattore che pretende sacrifici oltre il sacrificio del vivere».

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Ma è questo stesso Dio, il Signore che si ostina a cercare la “non amata”, a attirarla a sé, a provare a farsi ascoltare. E anche questa è una lunga storia. «Una storia di umiltà, di pazienza, di sapienza, di discorsi persuasivi, di dimostrazioni di amore. È la lunga storia dell’amore di Dio» e la consacrazione delle vergini è un capitolo di questa storia, suggerisce l’Arcivescovo.

«Le donne consacrate vivono il quotidiano delle faccende e delle responsabilità per rivelare il desiderio di Dio di convincere l’umanità che è amata, salvata da Dio, che è abilitata a vivere la vita di Dio», sottolinea, infatti.

Essere pietre vive che sanno dare la vita

Da qui l’indicazione di qualche aspetto del carisma della consacrazione nell’Ordo Virginum. «Oggi si rischia di scambiare la reticenza per discrezione: il tanto bene che fa la comunità cristiana sembra come oscurato da una sorta di imbarazzo a dire che l’amore viene da Dio», scandisce monsignor Delpini, che aggiunge. «Quindi, la consacrata deve assumere un particolare impegno di trasparenza nel far conoscere il nome di chi ispira tanto amore. La gente non ha bisogno di un sollievo momentaneo, ma di una speranza affidabile, di una verità che liberi dai pregiudizi di essere non amata».

 

Un secondo aspetto riguarda l’«evitare di scambiare l’appartenenza con un titolo per privilegi. Chi segue Gesù non ha privilegio, non è al riparo dai fastidi e dalle tempeste della vita, la sua strada non porta alla garanzia della prosperità, ma alla disponibilità a pagare il prezzo della fedeltà: essere consacrati non è un titolo per essere privilegiati».

Senza contare il rischio di «scambiare la libertà per l’inappellabile solitudine. La consacrazione personale non è la collocazione in una solitudine, in cui la scelta è secondo le opportunità del tempo e della situazione, ma è l’inserimento volonteroso, semplice, costruttivo in una comunità, senza rumore, senza incarichi speciali, senza onori, semplicemente come pietra viva che sa dare vita, senza avere un titolo da vantare, ma solo una consacrazione da vivere».

Infine, la consegna. «Ciascuno di voi ha un lunga storia, siete giunte qui dopo un lungo cammino, ma la consacrazione di oggi è soltanto l’inizio, comincia il tempo in cui con chiara disponibilità, semplice franchezza, amabile presenza, dovete cercare la “non amata” dicendo all’umanità: il Signore ti ama».

La prosecuzione dell’intensa liturgia della consacrazione, il “Sì, lo voglio”, le Litanie dei Santi, il rinnovo del proposito di castità, la preghiera di consacrazione e i riti esplicativi attraverso i segni della consegna dell’anello – che esprime l’unione sponsale e la fedeltà a Cristo – e del Libro della liturgia delle Ore, la preghiera della Chiesa, ricevuto dalle ormai consacrate come dono e impegno.

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