La scuola come momento memorabile nella vita di ogni persona, che aiuta a crescere e a sviluppare senso critico, a essere donne e uomini non omologati. Alla viglia della ripresa delle lezioni, nell’anno santo della speranza, il Giubileo del mondo della scuola, celebrato in Duomo con una liturgia della parola presieduta dall’Arcivescovo, non poteva che “raccontare” come, tra i banchi nonostante innegabili difficoltà e problemi, si possano trovare o ri-trovare motivazioni, pensieri, gioia. Tanti i docenti, gli studenti, il personale scolastico riuniti per questo Giubileo diocesano che si articola in una prima parte – con intermezzi musicali eseguiti al meglio dai giovanissimi della Color Orchestra dell’Istituto Comprensivo del Preziosissimo Sangue – che precede il momento liturgico. A prendere la parola, dopo il responsabile del Servizio per la Pastorale scolastica, don Fabio Landi che parla di una scuola «che, nei suoi momenti migliori, può essere anche un circolo virtuoso in cui tutti trovano ragioni per sperare», è il noto scrittore e docente Marco Balzano.
Una scuola che insegni a essere liberi
Il primo pensiero è per i ragazzi che oggi non possono, per le guerre, frequentare perché «chi non va a scuola ha meno pensieri, cova la paura dell’altro, fatica a entrare in relazione ed è meno felice perché si accorge di non sapere e di non avere le chiavi di ingresso del mondo». Da alcune parole parte la riflessione di Balzano. La prima – e non poteva essere altrimenti – è proprio “scuola” come «garanzia di democrazia».

«Combattendo il narcisismo, la scuola combatte il mercato e l’ideologia del consumo. A scuola si acquisisce autostima e libertà critica». Secondo termine, il “no” di persone che sanno pacificamente dissentire. «Io a scuola non devo insegnare a credere, ma a dubitare», spiega il docente che opera anche in contesti scolastici presso le carceri e in ospedale. «L’insegnante è il portatore di una verità che va vagliata insieme e non certo ex cathedra».
Terzo, “l’errore”, oggi molto stigmatizzato nell’educazione scolastica, ma che va compreso come segno di fragilità. «Se la scuola smettesse di essere un ente sanzionatore, tutto potrebbe apparirci in una luce nuova. Dall’errore nascono moltissime cose».
E, ancora la “soggettivazione” – «a scuola si impara a diventare soggetto e questa è la base del poter essere liberi contro ogni omologazione» – e il “linguaggio”, «su cui lavorare perché l’insegnante è un donatore di parole, mostrando un orizzonte e una prospettiva».
Per questo «la scuola ha più che mai il dovere, adesso, di mostrare la complessità della nostra società e che il nostro spazio di pace e di possibilità di confronto non è l’unico che esiste al mondo. Io vorrei una scuola dove vi sia una maggiore continuità della scrittura».
Infine, la proposta davvero interessante. «Istituire l’ora di etimologia, quella pratica per cui si può trattare la parola come un essere umano, prendendo un termine da quando nasce a oggi, nei momenti di splendore e in quelli di ombra, di manipolazione e di cambiamento di significato».
Le testimonianze
Poi, i giovani, tra cui Beatrice, tornata a sorridere dopo un difficile periodo di disordini alimentari. «Mi sono dovuta cercare per anni, vedevo la gioia come lontana, immersa come ero nel mio dolore. Ero convinta che non avrei mai potuto rivedere la luce. Poi mi sono ritrovata e uno spazio fondamentale per questo è stata la scuola, in cui ho potuto ricostruire e imparare ed esistere. Attraverso lo studio ho imparato a guardarmi dentro e a smettere di pensarmi solo come un corpo da controllare. Andare a scuola mi ha insegnato a respirare, a credere, a pensare e ad amare ciò che sono: conoscere è il primo strumento per tornare a vivere».
Soi, cresciuto alla “Barriera”, un quartiere alla periferia nord di Torino particolarmente problematico, da parte sua, sottolinea. «Ho sempre studiato e pensato a una condizione migliore. Nell’aprile 2018, a due mesi dalla maturità, sono stato arrestato. Ho chiesto di poter sostenere l’esame, comunque, ma non mi e stato concesso, poi, finalmente ci sono riuscito. Io, un marocchino in carcere, anche se pochi ci credevano, ho fatto un test di ingresso alla Bocconi e ho ottenuto una borsa di studio. Sono certo che riuscirò a frequentare l’Università. Nel posto più negativo di tutti, il carcere, spero di aver dato una speranza».
«La speranza è la mia vita», gli fa eco la salvadoreña Arianna. «L’unica certezza che avevo era andare all’Università. Sono tata respinta da diverse scuole perché non sapevo l’italiano, ma un liceo mi ha accolto. Nel 2021 mi sono diplomata e sono laureanda in economia aziendale in “Cattolica”: voglio restituire tanto ai miei insegnanti. Educare è un atto d’amore come ha detto Papa Francesco».
Lorenzo del liceo “Vittorini” parla di giovani e religione. «La scintilla alle mie domande sulla fede è nata a scuola studiando filosofia. La scuola può creare dei ponti e per me lo ha fatto con la fede. Chiedetevi quali sono state le domande che vi hanno cambiato la vita», conclude.
Atene, Alessandria, Gerusalemme
Dalla memoria di tre città che sono simbolo, nella storia dell’umanità, di cultura, dell’incontro e della pace prende avvio la riflessione dell’Arcivescovo, cui è accanto il vicario episcopale di settore, don Giuseppe Como che, successivamente all’incontro, sempre in Cattedrale, pronuncia l’omelia della Messa presieduta dal vescovo ausiliare monsignor Giuseppe Vegezzi.
«Come si chiama quella città che non può restare nascosta, la città dove ci celebra il giubileo della scuola e del pensiero, della sapienza e della democrazia?», chiede il vescovo Mario. «Si chiama Atene dove vive il più sapiente degli uomini, Socrate, che obbedisce al precetto: “conosci te stesso” e giunge alla conclusione che il più sapiente degli uomini è colui che sa di non sapere, con l’inquietudine di non sapere». Ma ad Atene vive anche «Diogene che è il più critico dei sapienti perché cerca l’uomo, l’uomo vero, l’uomo nella sua verità più profonda, oltre le apparenze, le maschere, i ruoli e le convenzioni. Perciò chi vuole celebrare il Giubileo della scuola deve guardare ad Atene e raccoglierne gli insegnamenti: conosci te stesso, il più sapiente è colui che sa di non sapere e cerca l’uomo».
Poi, Alessandria, la città dell’Egitto, «dove si parlava greco, si custodiva la sapienza di tutti i popoli e dove le Scritture degli ebrei impararono a parlare greco. La città dell’incontro dei popoli e dell’esplorazione di ogni scienza e sapienza. La città della biblioteca creata dal sogno di radunare tutte le opere scritte dall’umanità», secondo la visione grandiosa di Tolomeo I portato avanti dai suoi successori.
«Perciò, chi vuole celebrare il giubileo della scuola guarda a questa città che non può restare nascosta, Alessandria, e ne raccoglie gli insegnamenti: i popoli e le culture, le scienze e le sapienze sono chiamate a incontrarsi, a convivere e a dare vita alla città».
Infine, «la città santa, la nuova Gerusalemme, là dove abita Dio, il dolore è consolato e sono asciugate le lacrime. Gerusalemme si può chiamare anche la città della pace, perché vi abita Dio e Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e vivano in pace. Gerusalemme, città della speranza, meta di tutti i pellegrini, desiderio di tutti gli esuli. Perciò chi vuole celebrare il giubileo della scuola guarda alla città che non può restare nascosta. Guarda e cammina verso Gerusalemme perché una vita senza Dio è una vita disperata, una città senza Dio è una città senza pace, una cultura senza Dio è un enigma inestricabile».