«Nella passione di Gesù c’è tutto: è una via grande e sicura che tutti possono percorrere». In queste parole di san Paolo della Croce è racchiusa tutta la verità del mistero della morte e risurrezione di Cristo. Così come dice l’Arcivescovo presiedendo in Duomo la celebrazione della Passione e della Deposizione del Signore, con il monito che viene dal Venerdì santo e dalla sua solenne liturgia, definita anche “Pasqua di Crocefissione” secondo l’antico Rito ambrosiano. Passione – concelebrata dai membri del Capitolo metropolitano della Cattedrale, cui si aggiunge il Moderator Curiae monsignor Carlo Azzimonti – nella quale sono molti e carichi di un significato doloroso i gesti, i canti della Cappella musicale e i segni che rendono viva la memoria del sacrificio del Redentore. Come il Rito della luce iniziale, l’Inno, la prima e la seconda Lettura tratte dal Libro del profeta Isaia che descrivono la figura del Servo di Dio, precedendo il canto del Tenebrae, anch’esso tipico ambrosiano.
Il Vangelo di Matteo – che riprende dal punto in cui si era concluso nella celebrazione in Coena Domini e che viene proclamato dall’Arcivescovo (è l’unica volta che avviene durante l’anno, per un un’antica tradizione della Chiesa Cattedrale) – si interrompe nel momento in cui «Gesù gridò a gran voce ed emise lo Spirito», mentre tra le navate scende l’oscurità, ci si inginocchia ed è spogliato l’altare. Fino ad arrivare, dopo la ripresa del Vangelo, all’omelia.

La devozione alla croce
«La liturgia ci propone, e i santi ci incoraggiano, a vivere questo giorno nella meditazione dei racconti della Passione», sottolinea in apertura della sua riflessione l’Arcivescovo, che richiama l’enciclica di papa Francesco Dilexit nos e la centralità della devozione al Sacro Cuore: «Forse qualche frammento di questa storia di devozione al cuore trafitto può aiutare anche noi a vivere la contemplazione della Passione e l’adorazione della croce e a trovare, finalmente, una decisione di rispondere alla nostra vocazione alla santità. Perciò propongo di raccogliere la testimonianza di tre santi», spiega l’Arcivescovo.

San Carlo, San Francesco, San Paolo della Croce
«San Carlo è rappresentato in molti quadri in preghiera davanti al crocifisso: contempla fino alle lacrime. La meditazione della Passione di Cristo è, secondo san Carlo, la via per imparare l’essenziale. Il “Crocifisso di San Carlo”, che è venerato in questo Duomo, ci invita a contemplare il mistero di Cristo Crocifisso non solo il Venerdì santo. Contemplare per sentire la chiamata alla conversione, contemplare per lasciarsi commuovere».
Poi, san Francesco: la conformazione a Cristo Crocifisso, con la visione di Gesù che ebbe il Poverello e che anticipò, nelle sue mani e nei suoi piedi, il comparire delle stimmate. «Francesco, il santo della sequela radicale del Cristo povero, riceve il sigillo della conformazione a Lui. Seguendolo si diventa come Gesù», scandisce l’Arcivescovo.
Infine, san Paolo della Croce – Paolo Danei (1684-1775) – che, come continua monsignor Delpini, «si è dedicato alla contemplazione della Passione del Signore e ha sperimentato, nella predicazione alla gente del suo tempo, la straordinaria incisività di questo sostare in contemplazione. Mediante la predicazione e la meditazione, questo santo conduce a straordinari progressi spirituali persone di ogni categoria: in primo luogo le anime consacrate, ma anche moltissimi laici». Ed ecco svelato quella che egli chiama la «santità segreta della croce». Appunto, «nella passione di Gesù c’è tutto: è una via grande e sicura che tutti possono percorrere».
«San Carlo, San Francesco, San Paolo della Croce – e chissà quanti altri forse voi avete incontrato nella vita – sono coloro che ci aiutano a vivere una via di santità. San Carlo: la contemplazione, la commozione e la conversione; san Francesco: la conformazione; san Paolo della Croce: la necessità della predicazione».
L’adorazione della croce
Un atteggiamento del cuore confermato, subito dopo, dall’adorazione della croce – portata in processione, attraverso tre soste, dal fonte battesimale di epoca borromaica all’altare maggiore – e dalla preghiera universale. La più solenne dell’anno liturgico, con le sue 11 orazioni che paiono abbracciare il mondo intero, dal Papa alla Chiesa, dai fratelli maggiori ebrei ai cristiani di tutte le Confessioni, da chi non crede ai governanti, dall’umanità sofferente per tutte le epidemie a chi è in guerra, fino ai defunti.
Infine, la celebrazione della Deposizione del Signore con le due letture dal profeta Daniele e la continuazione del Vangelo di Matteo, mentre in Cattedrale scende il silenzio e viene velata la Croce.




