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Esperienze

Haiti, la solidarietà ambrosiana dal terremoto al lockdown

Da 10 anni la Caritas è impegnata su vari fronti. Prioritaria è ora la lotta contro la fame

30 Agosto 2020

Molti di noi hanno impresse nella mente le tremende immagini del terremoto che colpì Haiti il 12 gennaio 2010; il mondo capì presto che una catastrofe immane si era abbattuta su uno dei Paesi più poveri al mondo provocando circa 230 mila morti, 300 mila feriti e 1.200.000 sfollati. Nella Diocesi di Milano quei numeri risuonarono in maniera intensa e ci fu una forte solidarietà, probabilmente anche grazie alla relazione che legava la Chiesa ambrosiana a quella haitiana attraverso la presenza dei fidei donum.

Nella Caritas ambrosiana si maturò il desiderio di partecipare direttamente a questa emergenza (strutturale) e i primi passi furono compiuti durante la visita con Caritas italiana a marzo 2010.

Mentre nei mesi successivi circa 5 mila organizzazioni internazionali si concentrarono nella capitale e nelle zone limitrofe, d’accordo con la Caritas italiana gli operatori ambrosiani iniziarono a percorrere in lungo e in largo l’impervio e desolato Nord Ovest haitiano, a incontrare una piccola parte di quelle decine di migliaia di sfollati che rientravano dalla capitale nelle zone originarie. Dal lavoro certosino durato diversi mesi di osservazione, ascolto, confronto e mediazione con le comunità e le parrocchie di Jean Rabel, Mare Rouge, Bombardopolis e Mole Saint Nicolas si definì insieme a Caritas Port-de-Paix il primo progetto di costruzione di case per gli sfollati.

Questa esperienza faticosa, ma condivisa e partecipata, ha permesso negli anni successivi di impostare un percorso che continua tuttora: il «Rafforzamento della rete Caritas».

Con il valido supporto organizzativo ed esperienziale degli operatori della Caritas italiana si è sviluppata una intensa formazione periodica che ha coinvolto le parrocchie, lavorando sul ruolo di una Caritas «che è modo di essere, prima che di fare», di un intervento pastorale capillare di accoglienza, attenzione e ascolto, di coltivare lo spirito del «vivere insieme» e del volontariato, di un impegno civico individuale e collettivo, di gestire fondi di emergenza e progetti di sviluppo.

La difficoltà maggiore, soprattutto nei primi anni, è stata quella di vincere la diffidenza che gli haitiani hanno verso gli stranieri. La loro storia di schiavitù e oppressione li porta spesso a dubitare dell’«uomo bianco» e ad agire in un modo che potrebbe sembrare strano, se non addirittura incomprensibile, ma che affonda le sue radici nella storia del colonialismo.

La collaborazione vera e profonda nei contesti interculturali può esistere ed è un’esperienza preziosa, ma richiede tanto tempo e pazienza da entrambe le parti, spirito di immedesimazione e adattamento reciproco, imparando la lingua locale, vivendo, viaggiando, mangiando e lavorando fianco a fianco.

Da poco più di un anno è in corso un accompagnamento a Caritas Port-de-Paix nella sua prima esperienza di progettazione europea; si tratta della partecipazione a un programma multisettoriale di sicurezza alimentare e nutrizione che vede la Caritas diocesana impegnata in prima linea nella lotta contro la fame che soprattutto in questi ultimi mesi segnati dal lockdown sta straziando il Paese.

Viene mantenuta una relazione costante con i fidei donum ambrosiani, sostenendo i loro sforzi in diversi momenti di emergenza per carestie e uragani, di formazione dei giovani e apprendimento professionale, di progetti abitativi e di sviluppo agricolo, di attenzione alle fasce più fragili oltre che nella formazione e rafforzamento dei comitati Caritas parrocchiali.

Ogni intervento è stato analizzato, valutato e pensato insieme ai partner locali in modo partecipativo e collaborativo, così da creare una relazione di fiducia, una buona attuazione e poter rispondere in modo concreto alle tante necessità del popolo haitiano.

La promozione e il sostegno delle aree rurali con progetti di sviluppo agricolo, allevamento, riforestazione, conservazione del suolo, piccole attività produttrici di reddito e miglioramento infrastrutturale sono stati gli interventi più incisivi, mirati all’autonomia e all’autosostentamento.

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