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Testimonianza

«Fidei donum» ad Haiti per condividere tutto

La presenza dei missionari ambrosiani risale al 2004. Attualmente è rimasto un solo sacerdote, che qui racconta la realtà del Paese e della sua parrocchia: «Una sensibilità religiosa e culturale da rispettare»

di Levi SPADOTTOFidei donum ad Haiti

30 Agosto 2020

La nostra presenza ad Haiti risale al 2004 ed è stata proposta dalla sensibilità missionaria di don Giuseppe Noli che, dopo un periodo di presenza in Perù, aveva deciso di visitare una delle terre più povere al mondo per continuare il suo servizio fidei donum in una nuova situazione, molto diversa da quella peruviana. Qui, lui si è innamorato della situazione e ha chiesto alla nostra Diocesi di poter aprire una presenza del tutto inedita proprio ad Haiti e nella parte più povera tra le povere, che è la zona Nord Ovest. Da qui è iniziata la nostra avventura fidei donum ad Haiti e la collaborazione tra la Diocesi di Milano e la Diocesi di Port de Paix.

Don Noli ha così preso la responsabilità della comunità di Mare Rouge, sostenuto dai suoi tanti amici in Italia e in particolare dalla comunità di Abbiate Guazzone. Dopo qualche anno gli è stato affiancato don Mauro Brescianini e nel 2014 anche don Claudio Mainini, che poi sarebbe diventato il parroco dopo la partenza di don Noli e in seguito anche di don Brescianini. Nel frattempo si era aperta un’altra presenza con don Giuseppe Grassini nella parrocchia di Ti-Rivye, non molto lontana da lì. Sembrava che fosse necessario un avvicendamento con don Grassini a Ti-Rivye e per questo era stato chiesto l’invio di un altro fidei donum per sostituirlo. Per questo, vista la mia disponibilità, mi è stato chiesto di partire per Haiti, che ho raggiunto nel marzo del 2014.

Dopo due anni impiegati per apprendere la lingua, conoscere la non facile realtà haitiana e capire come meglio utilizzare le nostre forze, il vescovo monsignor Paulo ci ha chiesto di fondare una nuova parrocchia in una grande fetta di territorio servita dai padri Monfortani di Jean Rabel, mentre don Grassini sarebbe rimasto per qualche anno ancora a completare il suo servizio a Ti-Rivye.

Così dal 2016 a oggi sono parroco di Ka-Philippe, una parrocchia dal territorio molto esteso con ben 17 comunità vivaci e attive, tra piccole e grandi. Per circa due anni siamo rimasti tre preti fidei donum in tre parrocchie diverse, cercando, ogni tanto di ritrovarci per uno scambio di esperienze e per la preghiera comune. Adesso che don Grassini prima e don Mainini poi, sono rientrati in Italia riconsegnando le rispettive parrocchie alla cura pastorale del clero locale, sono rimasto da solo, come unico prete fidei donum ad Haiti.

La Diocesi aveva chiesto a don Erve Simeoni la disponibilità ad affiancarmi per un lavoro comune e per sostenermi nel grande impegno pastorale che man mano ha visto crescere le sue attività e le sue esigenze. Lui è arrivato nel novembre del 2018 e siamo stati proficuamente insieme fino al settembre del 2019, quando, purtroppo per motivi di salute, don Simeoni è dovuto rientrare per una operazione che ha indotto i medici a sconsigliare un ritorno in missione. Bisogna dire che da tempo si fa fatica a trovare disponibilità di sacerdoti diocesani a partire come fidei donum, soprattutto per realtà come quella di Haiti.

Per riassumere brevemente la situazione attuale possiamo ricordare come Haiti – che ha conquistato la sua liberazione dalla schiavitù francese e la sua indipendenza come nazione – ha avuto poi rari momenti di benessere e pace. Piuttosto la storia politica e sociale è stata un continuo ribollire di tensioni, colpi di stato, violenze, soggiogamento a potenze straniere, Stati Uniti in primis. E il bene del popolo non è stato mai servito e promosso. Così ci ritroviamo in una nazione poverissima, rimasta a un tenore di vita pressoché in ritardo di due secoli rispetto alle nazioni centramericane. Chi è stato in zone povere e sottosviluppate dell’Africa ha ritrovato qui le medesime condizioni, colore della pelle compreso. Ancora oggi chi sta al governo delude le aspettative, come l’attuale presidente Moise, che fra l’altro proviene dal nostro Nord Ovest e tutti speravano invano che questa parte di Haiti fosse meno dimenticata del solito. La valuta del dollaro americano che è il riferimento economico per tutto ciò che si importa è salito alle stelle svalutando sempre più la moneta locale e il suo potere di acquisto, sinceramente non penso solo per l’effetto del Covid-19 e il lockdown. Presto saremo alla fame e si prevede una fase di ribellione della gente che porterà l’ennesima fase di blocco del Paese, di violenze e ulteriori disagi per tutti.

Essere qui come fidei donum vuol dire anzitutto condividere la loro vita, capirla, amarla e accompagnarla per fare qualche passetto in più verso una esistenza più responsabile e decorosa. Sono anni segnati anche da uragani, terremoti, siccità ed epidemie, tra le ultime quella del Covid-19. Ho imparato ad apprezzare quel fondo di fede che anima il loro spirito capace di sopportare le privazioni e le povertà di ogni tipo. Difficile vedere un haitiano del tutto disperato. Come se dicesse: «Ogni giorno la sua pena e ogni giorno la sua chance, quello che Dio vuole e quello che io posso fare, amen!».

Vi rimando al blog www.levhaiti.it per seguire la storia e l’attività della nostra missione. Ricordo la bella collaborazione che abbiamo con la Caritas ambrosiana presente in questa zona di Haiti e che opera in stretta connessione con la Diocesi e gli altri organismi attivi sul territorio. Ringrazio gli amici in Italia che continuamente ci sostengono.

Come fidei donum sono coinvolto come prete diocesano, come parroco che lavora dentro un presbiterio di circa una cinquantina di preti, con una Diocesi che conta non più di 40 parrocchie, distribuite in tre Decanati. Mi trovo bene a lavorare con loro e sento la loro amicizia fraterna, stima e simpatia. Stiamo per avere un nuovo vescovo, monsignor Charles Peter Barthelus, che sarà ordinato il 5 settembre. Con lui vedremo se si potrà avere qui in parrocchia un sacerdote haitiano come coadiutore per tentare un’esperienza di comunione pastorale più stretta e come aiuto per non perdere di vista e rispettare la sensibilità religiosa e culturale del nostro popolo.

 

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