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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Milano

Gli Istituti Secolari: 70 anni di storia alle spalle e un grande futuro da vivere

Nell’anniversario del loro riconoscimento, gli Istituti Secolari sono stati i protagonisti di una Giornata di Studi che ha visto anche la presenza dell’Arcivescovo. «Affrontate la Vita Secolare con modestia e uno stile di responsabilità verso il mondo e le sue Istituzioni»

di Annamaria BRACCINI

14 Aprile 2018

I percorsi promettenti per vivere la Consacrazione nel mondo, nella storia e nel cambiamento d’epoca che stiamo attraversando, secondo una comprensione profonda del proprio carisma di laici consacrati nella Chiesa.
A 70 anni dal loro riconoscimento ecclesiale, gli Istituti Secolari sono una realtà rilevante che ogni giorno affronta le sfide del presente e del futuro con fedeltà e creatività, basti dire che in Diocesi ne operano ben 23. Per questo non si poteva che intitolare “Fedeli e Creativi” ( con la nota espressione di san Giovanni Paolo II) il Convegno che, a Milano presso il Centro Ambrosiano di via Sant’Antonio, ha visto riuniti circa 200 appartenenti a tali Istituti, riconosciuti, appunto tra il 1947 e il 1948, dalla Costituzione apostolica Provida Mater Ecclesia e dal Motu Proprio Primo feliciter di Pio XII. Un riflettere a 360° che esprime l’attenzione della Chiesa ambrosiana verso la Vita Consacrata (proprio in questi giorni è stato rinnovata nel Portale www.chiesadimilano.it, la pagina dedicata agli Istituti che presenta le schede informative su ogni presenza in Diocesi)
All’incontro articolato in più interventi, organizzato dal Vicariato per la Vita Consacrata, in collaborazione con la Conferenza Italiana Istituti Secolari e la CEL, e lungamente preparato da un Comitato promotore costituito ad hoc, non ha voluto mancare l’Arcivescovo che ha proposto la sua riflessione e, a fine dei Lavori della mattinata, ha presieduto, nella chiesa di Sant’Antonio, la Celebrazione eucaristica.
«Tra Chiesa e mondo, storia e modernità, gli Istituti Secolari non sono una questione di nicchia», dice, in apertura, il vescovo ausiliare monsignor Paolo Martinelli vicario episcopale per la Vita Consacrata maschile, gli Istituti Secolari e le nuove forme di Vita Consacrata. «Papa Francesco ha definito la Provida Mater Ecclesia un gesto rivoluzionario e il futuro santo Paolo VI ha riconosciuto, nell’esperienza della Consacrazione Secolare, un’anticipazione del Concilio. Oggi, in un profondo cambiamento di epoca, questa testimonianza pare ancora più urgente», conclude Martinelli, presente anche il vescovo monsignor Luigi Stucchi, vicario episcopale per la Vita Consacrata femminile.
L’intervento dell’Arcivescovo
Da due pagine bibliche «che offrono suggestioni», si avvia la riflessione di monsignor Delpini che cita, infatti, il pubblicano Zaccheo, «ricco e giudicato peccatore, che pure accogliendo Gesù nella sua vita cambia radicalmente, anche se non risulta che abbia cambiato mestiere» e le figure di Marta e Maria «che vivono normalmente in una casa amica e ordinaria».
«A loro Cristo non chiede di consacrarsi in una sequela, ma possiamo ricavare la persuasione che ci siano un modo di vivere il quotidiano che risulta essere un’offerta gradita a Dio e una pratica domestica che è servire il Signore».
Evidente il riferimento alla Consacrazione vissuta con semplicità nel mondo, lavorando e vivendo in tanti diversi ambienti.
Dalle icone bibliche si passa al Regno di Dio, «annunciato da Gesù secondo alcune dimensioni che si offrono alla comprensione delle diverse vocazioni».
«L’annuncio del Regno significa certamente dire che la storia ordinaria è finita, ma è anche un’offerta di salvezza che urge la conversione. Ogni casa, persona, città è provocata da questa occasione propizia che non si deve perdere. Qui non si mette in gioco tanto, o solo, l’esito escatologico, ma la necessità di conversione». Esiste, tuttavia, anche una terza dimensione, ossia il Regno come salvezza che già oggi si compie, «perché in questo presente si vedono i segni del Signore in mezzo a noi».
Come a dire, il Regno entra nella storia, non ne è solo l’esito o la forza che la rinnova.
Nascono così, da queste due premesse, i percorsi promettenti suggeriti da Delpini per preservare fedeltà e innovazione negli Istituti Secolari, come «forma di Vita Consacrata che ha interpretato il desiderio di tante persone di accogliere il Regno di Dio restando protagonisti della storia ordinaria dell’umanità».
Il primo percorso indicato è «l’unificazione del cuore e della vita, secondo la Consacrazione vissuta nella secolarità e, si potrebbe dire, nella laicità». Due aspetti non alternativi – questi –, anzi congiunti nella Vita Secolare. Troppo spesso, infatti, si dice ancora “laici, ma consacrati”, con una avversativa che rivela il pregiudizio e che non ha ragione di essere per l’Arcivescovo.
«A prescindere da dove si vive e cosa si fa è propria degli Istituti Secolari una particolare unificazione della vita che permette di mostrare come il Regno sia salvezza per il mondo intero».
Il secondo percorso proposto è la modestia, «che consente di capire come tale unificazione di cuore e vita diventi più facile nella Consacrazione Secolare. Bisogna riconoscere, con modestia e gratitudine, che appartenere a un Istituto non è una forma di eroismo, ma rende più semplice avere il cuore indiviso nel cammino verso la santità».
Infine, il percorso verso la profezia. «I consacrati secolari praticano la profezia attraverso un itinerario che si serve meno di parole e più di uno stile di vita che non è solo il buon esempio o esibizionismo. Stile che si nutre di una responsabilità che deve farsi carico della vita del mondo e anche delle due istituzioni. Questo impegna ad assumere iniziative, persino di protagonismo, per catalizzare le forze presenti nel proprio contesto perché siano segni del Regno di Dio».
E, a conclusione dell’intervento, l’idea è quella definita dalla parola “contagio” nella sua accezione positiva. «Una sorta di irradiazione che sappia coinvolgere altri nel percorso di Consacrazione, non per proselitismo, ma come possibilità di indicare una strada di compimento che può fare bene a molti». Un “contagio” che, oltretutto, potrebbe porsi in una posizione mediana tra la riservatezza totale – che ha caratterizzato alcuni Istituti – e il rischio sempre presente, appunto, del proselitismo.

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