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14 aprile

Istituti secolari, una presenza che muove la storia

A 70 anni dal riconoscimento ecclesiale, a Milano il convegno “Fedeli e creativi” richiama l’attenzione su una forma di testimonianza capace di parlare all’uomo contemporaneo. Interviene l’Arcivescovo

di monsignor Paolo MARTINELLIVescovo ausiliare, Vicario episcopale per gli Istituti secolari

8 Aprile 2018

“Fedeli e creativi”: questo è il titolo del convegno che si terrà sabato 14 aprile a Milano presso il Centro Ambrosiano di via Sant’Antonio 5, in occasione del 70mo anniversario del riconoscimento ecclesiale degli Istituti secolari.

Il binomio fedeltà-creatività contiene un carattere provocatorio per tutti. Infatti, solitamente siamo abituati a contrapporre i due termini: la fedeltà sembra inibire la creatività; a sua volta la creatività sembra chiedere rottura col passato. In realtà la “fedeltà creativa” indica l’assetto di chi ha il coraggio di abitare il cambiamento d’epoca. Per questo il convegno di sabato, che vedrà anche la presenza dell’arcivescovo Mario Delpini, riguarda tutti e non solo gli Istituti secolari, ossia quella singolare forma di vita consacrata che assume come suo ingrediente fondamentale l’essere nel mondo.

Il Beato Paolo VI, avendo intuito in modo molto acuto la drammaticità odierna del rapporto Chiesa-mondo, è stato il Pontefice che ha rivolto agli Istituti secolari le parole più illuminanti. Nel 1972 ebbe a dire: «Voi siete ad una misteriosa confluenza tra le due poderose correnti della vita cristiana, accogliendo ricchezze dall’una e dall’altra. Siete laici, consacrati come tali dai sacramenti del Battesimo e della Cresima, ma avete scelto di accentuare la vostra consacrazione a Dio con la professione dei consigli evangelici… la vostra è una “secolarità consacrata”».

Ecco l’attualità di questa vocazione! C’è in gioco il rapporto fede e vita, Vangelo e cultura, la missione della Chiesa oggi, l’umano e il suo destino. Si tratta di riscoprirsi una presenza, al contempo umile e potente, che muove silenziosamente la storia, come il lievito nella pasta. Si tratta ultimamente della testimonianza come forma della presenza cristiana nel mondo, una testimonianza capace di parlare alla libertà dell’uomo contemporaneo e al suo desiderio di vita e di senso, facendosi compagni di viaggio.

Per questo occorre che il cuore sia attratto instancabilmente da Cristo, in una contemplazione generativa di azione. La sfida è portare nelle pieghe dell’umano la sequela di Cristo casto, povero e obbediente, mostrando, come ci dice la Gaudium et Spes, che «chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo» (41). Davanti ai rischi del post-umano siamo chiamati a un nuovo umanesimo, radicato nell’incontro con Cristo. Poiché «Gesù è il nostro umanesimo» (Francesco).

Una tale testimonianza non la si può vivere da soli, ma sempre in comunione. La testimonianza cristiana, anche quando è data dal singolo, esprime il “di chi siamo”, l’appartenenza al popolo di Dio attraverso legami fraterni. Quanto indicato dagli Istituti secolari è dunque essenziale. Il loro futuro sta nell’essere, nella prospettiva di una fedeltà creativa, provocazione alla forma cristiana della testimonianza in una società plurale. L’invito a essere “Chiesa in uscita” trova qui una singolare espressione, perché ricorda a tutti i credenti le condizioni comuni del vivere come luogo teologico della propria missione.

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