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Milano

«Gaetano Pini», una storia di responsabilità a servizio del bene comune

Nel 150mo dell’ospedale la visita dell’Arcivescovo, che ha visitato il Centro di cura e di ricerca, celebrato la Messa e incontrato i degenti e il personale. Da lui la raccomandazione alla cura delle relazioni tra le persone

di Annamaria BRACCINI

9 Febbraio 2024
L'Arcivescovo in visita ai reparti (foto Paola Meloni)

L’importanza del prendersi cura e della relazione con il malato, il senso di responsabilità che viene da una vicenda che continua da 150 anni e che deve essere coltivata con generosità e amore verso chi soffre e per il bene della società. È questo il compito che l’Arcivescovo indica alle molte persone – degenti, personale, medici e infermieri, parenti degli ospiti -, riunite nella cappella interna alla struttura dell’Asst Gaetano Pini-Cto. Accolto dalla direttrice generale Paola Lattuada e dai vertici dell’istituzione, definita «di grande prestigio», varca i cancelli del «Pini» in occasione della XXXII Giornata del Malato e nell’anno che festeggia il 150° del presidio ospedaliero.

Una visita che inizia con la Messa in cappella, da lui presieduta e concelebrata da don Paolo Fontana (responsabile del Servizio diocesano per la Pastorale della Salute), dal cappellano del Cto don Simone Fioraso e da don Claudio Dell’Orto, cappellano del polo riabilitativo intitolato a Fanny Finzi Ottolenghi. Presenti anche i membri della diaconia.

La celebrazione in cappella (foto Paola Meloni)

L’omelia

«Devo ringraziare della strenna pubblicata per i vostri 150 anni perché mi ha colpito l’attenzione portata alle persone fin dal fondatore, Gaetano Pini, e dai successori», spiega subito nell’omelia monsignor Delpini, che cita uno a uno i direttori succedutisi nel tempo.

«Una genealogia in cui si legge – osserva ancora – la successione come una sorta di naturale presa di continuità, uno spirito di coesione che può essere un rimedio» e un esempio per la nostra società. «Un contesto che potrebbe esser definito il paese degli attaccabrighe dove le domande non sono domande, ma insinuazioni, insulti, armi per ferire». Quel paese degli attaccabrighe che «non è solo a Gerusalemme al tempo di Gesù, ma che è anche nel nostro tempo, in un ambito nel quale sembra diffuso il gusto dei discorsi maliziosi, delle contestazioni pretestuose, invece di interessarsi del bene che si fa».

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Proprio per questo «un ospedale di eccellenza come questo non può essere il paese degli attaccabrighe, ma si deve concentrare sulla missione. Siete chiamati, in nome del bene complessivo e della responsabilità verso i malati, a una testimonianza generosa. Raccomando una coerenza in questa continuazione della storia di cui siete protagonisti», aggiunge l’Arcivescovo.

Poi, il richiamo al tema della Giornata del Malato 2024, dal titolo «Non è bene che l’uomo sia solo»:

«Il Papa ci dice di curare il malato curando le relazioni. Non basta solo intervenire su una patologia, ma occorre far sì che il contesto della cura si prenda a cuore anche le relazioni. Preghiamo perché la coesione, l’amore per le cose che valgono, non ci facciano diventare ed essere il paese degli attaccabrighe», conclude. 

La visita ai Reparti e l’incontro in Aula Magna

Alla fine della Messa c’è ancora tempo per un ringraziamento da parte dell’Arcivescovo che, successivamente, sale al quarto piano dell’ospedale entrando nel nuovo reparto di Oncologia ortopedica, dove sono ospiti anche alcuni bimbi affetti da questa patologia, con i genitori. Accompagnato dal direttore sanitario Cesare Candela e da Primo Daolio, direttore del Dipartimento di Ortopedia Traumatologia e Chirurgie Specialistiche, monsignor Delpini sosta con i piccoli degenti.

A chiudere la mattinata è il dialogo che si svolge in Aula Magna con le testimonianze di pazienti, delle Associazioni del volontariato e del personale.

«Siamo onorati di avere qui l’Arcivescovo di Milano con cui condividiamo il richiamo ad avere cura delle persone, creando una cultura dell’assistenza e della presa in carico dei bisogni. Arrivare ogni mattina in ospedale con gli occhi aperti e la disponibilità a migliorare, è importante», sottolinea il direttore generale Lattuada. Parole cui fa eco il direttore socio-sanitario Rossana Giove, che spiega il significato del suo ruolo, «una figura nuova, voluta da Regione Lombardia, arrivata ormai al terzo mandato. Il nostro è un ruolo di sinergia, un tramite non solo con il paziente, ma con le famiglie, in vista del reingresso del malato nella società. Il compito è di interfacciarsi con le nuove strutture socio-sanitarie territoriali che si stanno espandendo in Lombardia. Siamo una squadra e con questa modalità vogliamo lavorare per dare risposte ai bisogni».

L’incontro con il personale (foto Paola Meloni)

È la volta di Roberto, volontario dell’Associazione “Veronica Sacchi” che, indossando un cappello da cuoco e un naso da clown, parla di «pranzi per l’anima vissuti con un impegno spontaneo e gratuito specie per i bambini». «La nostra funzione – continua – è coprire quelle necessità che vanno al di là delle terapie con un sorriso, cercando di fare rete nella consapevolezza che questo migliora la qualità dei servizi».

Loredana, un’infermiera, già lei stessa paziente nel passato e aiutata proprio dal personale a uscire da un momento di sofferenza e paura, ringrazia per quanto ha ricevuto che, oggi a sua volta, cerca di donare.  

Poi il momento più toccante, quando Camilla, dodicenne peruviana, in carrozzina e che si prepara alla chemioterapia, si rivolge direttamente in spagnolo all’Arcivescovo – che le risponde nella stessa lingua – esprimendo il suo desiderio di conoscere il vescovo Delpini.

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L’intervento dell’Arcivescovo

Citando il Nobel per la Medicina Rita Levi Montalcini, l’Arcivescovo infine osserva: «Voglio dire una parola di incoraggiamento, sottolineando il ruolo che hanno l’intelligenza e l’immaginazione della persona umana, la straordinaria potenzialità in ciascuno di noi da vivere nella concretezza di relazioni coltivate nel confronto e nel dialogo con gli altri. Il tema delle relazioni ha un rilievo fondamentale per il progresso della comunità scientifica e delle competenze, specie in ambito clinico e medico. Ma oltre a questo vi è un’importanza che ha a che fare con le relazioni personali, parentali, amicali. È un patrimonio, questo, inestimabile come ben sapete voi che vi impegnate per le persone. Nella prospettiva del tema della Giornata Mondiale del Malato, questo ci offre motivazioni per vivere e per sperare. Abbiate attenzione per tutte le vostre relazioni, anche personali, quelle vissute con serenità e quelle che danno preoccupazioni e da qui imparate a relazionarvi anche a livello professionale, con capacità di gentilezza, perdono, stima vicendevole. Questo è il mio augurio per questo ospedale che non è solo un luogo di cura e di ricerca, ma anche di formazione. Dobbiamo trasmettere alle giovani generazioni non solo sapienza, ma anche saggezza e lungimiranza con il tratto caratteristico della gentilezza».

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