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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Milano

Delpini: «Vogliamo essere italiani originali, non esportando armi o messaggi di violenza, ma condivisione»

In un Duomo affollato soprattutto di giovani, l’Arcivescovo ha presieduto la Veglia Missionaria Diocesana 2018, con la consegna del Mandato ai missionari partenti. Accolti anche alcuni sacerdoti e religiose inviati alla Chiesa di Milano da altri Paesi del mondo

di Annamaria BRACCINI

27 Ottobre 2018

«Ci sono dei momenti in cui sembra che sia quasi obbligatorio vergognarsi di essere italiani nel mondo, perché esportiamo armi o messaggi che seminano disprezzo e violenza o prodotti realizzati con materiale non pagato abbastanza ai Paesi di origine. A volte il mondo occidentale, esporta cose di cui gli Occidentali dovrebbero vergognarsi. Per questo, vorrei che voi esportaste qualcosa di buono, un poco del vostro tempo, magari per visitare le missioni, per dedicare una preghiera a chi ne ha più bisogno e ai Paesi più tribolati. Noi vogliamo essere originali: non vogliamo esportare né armi, né parole aggressive, ma il tempo dedicato alla condivisione».
L’“ingiunzione”, come la chiama l’Arcivescovo, che arriva, alla fine, diretta alle migliaia di fedeli – per lo più giovani – che prendono parte alla Veglia Missionaria Diocesana 2018, è come la sintesi e il suggello più bello della serata vissuta in Duomo tra testimonianze, preghiera, silenzio, canti e, soprattutto, la consegna del Mandato ai partenti. 3 presbiteri diocesani – Stefano Conti, Carlo Doneda ed Hervé Simeoni -, si recheranno, infatti a breve, come missionari, rispettivamente in Zambia, Cuba e Haiti, mettendosi al servizio della comunità locali. Inoltre, sempre durante la Celebrazione in Duomo, l’Arcivescovo consegna il Crocifisso anche a due religiosi, uno del Pime e l’altro salesiano; a tre consacrate e a 3 laici, tra cui una coppia di giovani coniugi con la piccola Matilde. Accanto a loro, seduti nelle prime file, 8 sacerdoti, inviati alla Chiesa di Milano, che si dedicheranno agli studi e all’impegno pastorale.
Insomma, un incorniciarti di storie, di etnie, di vicende personali e pubbliche dove ciascuno aiuta a costruire il grande arazzo della Chiesa dalle genti, la cui croce simbolo – realizzata con legni dei 5 Continenti – viene posta in altare maggiore vicino una grande rete con, appesi, biglietti a forma di pesce su cui i giovani hanno scritto i loro messaggi.
La lettura dal capitolo 8,36 – 40 degli Atti degli Apostoli (con l’incontro tra Filippo e l’eunuco etiope), si alternano a momenti anche informali di dialogo tra i fedeli – invitati a scambiarsi racconti di esperienze vissute – e ai canti, eseguiti dai Cori Shekinah, Elikya e da elementi dello Sri Lanka e delle Filippine, in un vivace andamento della Veglia, preparata con cura dai ragazzi di “Giovani e missione” del Pime, di “Missio giovani” e della Zona III della Diocesi. Al termine, come tradizione, per il gesto missionario, si raccolgono le offerte frutto del digiuno della cena serale,
Quando prende la parola suor Angela Bertelli, saveriana, sequestrata per due mesi in Sierra Leone con altre sei consorelle, in Cattedrale si fa silenzio. «Quanto ancora, anche nella Chiesa, siamo ammalati di potere, di relazioni, invece Gesù rende liberi. Ho visto violenze inaudite, ma anche lì il Signore dà tenuta. Dopo l’assistenza portata, in Thailandia, a bimbi disabili e alle loro madri, per questo disprezzate dalla società e spesso ripudiate, suor Angela conclude: «Conoscere Gesù in quelle terre è il più grande dono che Dio mi ha fatto. Nella Parola, nel pane e nel servizio a Lui è la gioia».

La riflessione dell’Arcivescovo

Da Atti si avvia la riflessione di monsignor Delpini, che presiede la Veglia e a cui sono accanto il vicario episcopale di Settore, monsignor Luca Bressan e don Paolo Zago, per la prima volta alla Veglia come responsabile dell’Ufficio per la Pastorale Missionaria della Diocesi.
«I discepoli mandati in tutto il mondo raccolgono domande sulla strada che esce dalla Città santa e si inoltra nella terra delle genti. Le certezze si incrinano, la persuasione che ci sia un ordine nel mondo e un disegno nella storia si sente ferita, travolta dal troppo dolore, dal troppo sangue, dall’ingiustizia troppo insopportabile. Che cosa vanno a fare sulla strada che scende da Gerusalemme? Vanno a raccogliere domande dell’uomo e della donna sconvolti dall’assurdità della storia; le domande che non si fanno parola, ma solo pianto, gemito, grido di protesta, sangue versato che grida verso Dio».
E, questo, oggi come 2000 anni fa, in un tempo che, forse, mai come adesso ha dimenticato le risposte. «I discepoli sono talora come intimiditi, imbarazzati, inclini al silenzio buono, alla presenza amica, allo sguardo compassionevole, ma non sanno la lingua in cui dire le risposte. Inviati in missione, si rivelano come bambini che devono ancora imparare a parlare. Sono umili e discreti, ma, intanto, le domande restano lì, sospese».
Come uscirne?
«Noi celebriamo la giornata missionaria per prendere come modello Filippo perché il suo esempio incoraggia coloro che sono inviati ad annunciare il Vangelo, ad annunciare Gesù. C’è un solo nome sotto il cielo in cui c’è salvezza, c’è una sola storia che rende possibile che i miti della terra non siano vittime di una storia insensata, ma chiamati alla salvezza e alla conoscenza della verità. I discepoli inviati non possono tacere il nome della speranza: sarebbe patetica la loro generosità, sarebbe un palliativo, sarebbe un anestetico la loro amicizia se non annunciassero Gesù».
Questa è la vera e unica missione: «Bisogna percorrere le molte strade che scendono da Gerusalemme e avventurarsi in molte città, per convertire l’ortodossia della Città santa nella parola che risponde alle domande e che offre pace alle inquietudini. E’ questa la missione che siamo chiamati a vivere. Tutti quelli che partono, arrivano, che restano, quelli che si domandano dove andare».
Poi, la Celebrazione del Mandato ai Missionari partenti, la preghiera, la benedizione e la consegna del crocifisso; il saluto a chi è, invece, arrivato in terra ambrosiana, la preghiera per il Sinodo “Chiesa dalle Genti”. Immagine emblematica della Diocesi di Milano, missionaria per vocazione, che da subito, più di 50anni fa, con l’allora Arcivescovo san Giovanni Battista Montini, diede subito impulso all’invito di Pio XII che aveva istituito i sacerdoti Fidei donum, sacerdoti diocesani inviati temporaneamente per la Missio ad gentes. Basti pensare che, attualmente, i preti ambrosiani Fidei domun sono 31, sparsi in 14 diversi Paesi, mentre quelli in servizio in Diocesi sono 75. Comprendendo preti, consacrate, religiosi e laici, i missionari ambrosiani nel mondo sono più di 800.
Alla fine, l’ingiunzione dell’Arcivescovo risuona tra le navate come un monito per tutti, per dare tempo ed energie, per non vergognarsi, «partendo per qualche parte del mondo o anche soltanto rimanendo qui lavorando, raccogliendo soldi, pregando, coltivando la formazione alla mondialità. Usciamo dal Duomo, contenti della testimonianza di abbiamo ascoltato, ma chiedendoci anche quanto tempo vorremmo esportare quest’anno a servizio della missione della Chiesa nel mondo».

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