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La Quaresima ambrosiana 2024

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Rito

Delpini: «Abbiamo bisogno della sapienza della croce» 

Si è svolta venerdì sera l'ultima delle sette Via crucis celebrate nelle altrettante Zone pastorali della Diocesi. A guidare i fedeli lungo le stazioni c'era l'Arcivescovo, assieme a tanti chierichetti e una quarantina di sacerdoti della città

di Annamaria BRACCINI

23 Marzo 2024

La gente che segue una semplice, grande croce scura bordata di piccole luci, quasi a indicare il cammino, i milanesi che si fermano sui marciapiedi, che si affacciano dalle finestre dei grandi condomini sulle vie dove si snoda il percorso della Via crucis cittadina, l’ultima delle sette celebrate nelle altrettante Zone pastorali della Diocesi.

La Via Crucis 

Rito comunitario, a cui prendono parte oltre un migliaio di persone di tutte le età che, con il titolo «La sapienza della croce», si svolge camminando dalla parrocchia Santa Croce, affidata ai religiosi Stimmatini, alla basilica dei Santi Nereo e Achilleo, sul grande asse di viale Argonne, nel decanato Città Studi, Lambrate, Venezia.   

A guidare la celebrazione è l’Arcivescovo Mario Delpini che, preceduto da tanti chierichetti e seguito da una quarantina di sacerdoti della città – tra cui il vicario di Zona, monsignor Giuseppe Vegezzi, il moderator Curiae, monsignor Carlo Azzimonti e il decano don Gianluigi Panzeri che è anche parroco di Nereo e Achilleo -, sosta con i fedeli in sette Stazioni, la I la II-V-VIII-XI-la XII e la XIV. 

Si prega, tra brani del Vangelo, riflessioni, invocazioni e i canti tradizionali,  per chi è nella sofferenza e nel dolore, per il perdono, invocando la misericordia di Dio e attendendo con fiducia certa la risurrezione del Signore. La pagina evangelica di Marco al capitolo 14, con la condanna di Gesù da parte del Sinedrio, letta per la prima Stazione nella chiesa di Santa Croce, «apre», come si dice nella riflessione, «il nostro sguardo su tutte le ingiustizie che ancora oggi attraversano una società che spesso dimentica che solo la verità rende liberi».       

E da qui si avvia anche l’intervento finale del vescovo Delpini nella grande chiesa dei Santi Nereo e Achilleo gremita, perché tanti si sono aggiunti durante il percorso. 

La sapienza della croce

«Che ne sapete voi del sinedrio di Dio? Voi specialisti del sacro, della legge e del tempio che accusate Gesù di bestemmia e lo condannate a morte?», chiede, infatti, l’Arcivescovo a chi crede di sapere tutto, duemila anni fa come oggi. «Che ne sapete, voi uomini e donne di questo tempo, di Dio, voi che preferite pensieri confusi, piuttosto che ascoltare Gesù, che avete la presunzione di avere opinioni originali su Dio solo perché ripetete luoghi comuni e frasi fatte, voi che vi dichiarate di fare a meno di Dio, di decidere se Dio esista o non esista?». 

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«Noi, discepoli di Gesù, camminiamo per le strade della città portando la croce perché vogliamo professare che c’è una sola sapienza, è la sapienza della croce di Gesù».

Così anche di fronte all’enigma del soffrire, solo la via della croce può salvare. «Che cosa si può dire», altrimenti, «della malattia che tormenta la carne, del dolore fisico che impedisce la vita; della sofferenza dell’anima, ferita per l’amore tradito, per le speranze deluse, per l’irrimediabile solitudine? Dell’angoscia in cui si spegne ogni fascino del vivere, l’angoscia per il proprio destino, per le persone care e per la loro incomprensibile tribolazione?».  

Gli altri 

In riferimento alla stazione in cui il Cireneo si carica della croce, il vescovo Mario scandisce: «Che cosa pensi dell’altro, dell’estraneo, dello straniero, dello sconosciuto? Che cosa ne pensate voi, gente per bene, gente istruita, gente che sa stare al mondo, di quelli che dormono sotto i portici? La sapienza della croce ci insegna che l’altro è un fratello, una sorella, uno che ti aiuta a portare la tua croce».

E, ancora, nel richiamo all’incontro di Cristo con le donne di Gerusalemme in pianto, narrato nel Vangelo di Luca, monsignor
Delpini prosegue. 

La compassione delle donne

«Che cosa ne pensate della compassione, voi della città della fretta e dell’indifferenza, voi che abitate la società dell’individualismo e della solitudine? Voi che pensate che la compassione sia una perdita di tempo, un sentimento da telenovela, voi che siete informati di ogni cosa, aggiornati in ogni momento, sopraffatti dall’incombere di un male troppo insopportabile, di tragedie troppo sconvolgenti, di povertà troppo irrimediabili? Forse voi pensate che la compassione sia un sentimento troppo inutile, un’emozione troppo logorata dall’eccesso delle emozioni. La parola che Gesù dice alle donne in lacrime rivela che la verità del cuore umano è che questo cuore è capace di amare, è fatto per amare, è capace di provare compassione per il giusto da tutti condannato». 

Infine, il morire: «che cosa ne pensate voi che non volete pensare alla morte e che, comunque, pensate che riguardi sempre qualcun altro? Voi che siete così stanchi della vita, esasperati dal dolore, che finite per desiderare la morte?  Noi professiamo la sapienza della croce che contempla il morire di Gesù e vi riconosce il compimento dell’amore». 

Le domande che chiedono risposta

«Queste domande invocano la sapienza della croce: così anche il soffrire è occasione per amare, l’altro diviene una persona che ci aiuta a portare la croce, la compassione rivela per cosa sono fatti gli uomini e le donne: per amare. Così la morte in croce di Gesù ci rivela che la morte è la porta per entrare nella gloria di Dio. Per questo abbiamo camminato per le strade della città, perché abbiamo bisogno di imparare la sapienza della croce, quel sapere che sa conoscere, interpretare e vivere tutte le esperienze». 

La benedizione con la reliquia della Santa Croce, da parte dell’Arcivescovo, e le brevi parole di monsignor Vegezzi che augura di «poter vivere bene la Settimana autentica e la Pasqua essendo il popolo della speranza e della gloria del Signore», concludono la celebrazione.    

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