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Roma

Delpini ai seminaristi italiani: «Il presbiterio è una grazia»

Nella Basilica di Sant’Andrea della Valle l’Arcivescovo ha celebrato la Messa nel Giubileo dei giovani che si preparano al sacerdozio, assicurandoli che la relazione con Gesù vince tutti i sospetti che possono accompagnare la vocazione

25 Giugno 2025
Alcuni seminaristi partecipanti alla Messa

«La vocazione non è la predestinazione a diventare prete», piuttosto «è chiamata a restare con Gesù». Così come «diventare preti non è ricevere un incarico», ma «partecipare alla missione della Chiesa»: così l’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, nell’omelia della Messa presieduta nella Basilica di Sant’Andrea della Valle a Roma per i Seminaristi di lingua italiana partecipanti al loro Giubileo, nel giorno della solennità della Natività di San Giovanni Battista (24 giugno).

La riflessione dell’Arcivescovo si è articolata attorno ai «tre sospetti dei seminaristi». Anzitutto quello di «perdere la propria libertà», motivata dalla interpretazione della vocazione come «una invadenza di Dio nella storia di una persona». Una interpretazione che porta a leggere le parole «affascinanti» del profeta come «la dichiarazione sospetta di un compito da svolgere», «insopportabile» per «una generazione gelosa della propria libertà».

L’Arcivescovo presiede la celebrazione

Il secondo sospetto è quello «di essere destinati alla solitudine». Monsignor Delpini parla del Battista come di un uomo «originale», a partire dal nome, Giovanni, che i suoi genitori hanno scelto per lui, «chiamato con una speciale vocazione». Ma essere originali potrebbe voler dire «non essere come gli altri, non conformarsi alla vita della gente normale, vivere in regioni deserte». E allora chi ritiene «la compagnia più rassicurante e necessaria dell’assunzione di responsabilità» potrebbe considerare «che una missione singolare sia una destinazione alla solitudine».

Terzo e ultimo sospetto, quello «di essere destinati al fallimento» in «una società e una Chiesa in declino». Chi cede «al pessimismo e allo scoraggiamento» si lascia sopraffare dallo spavento e «rimanda al più tardi possibile».

L’assemblea in Sant’Andrea della Valle

Ma di fronte a sospetti e paure, l’Arcivescovo è categorico: non c’è parola che possa vincerli. C’è solo una relazione, «in cui si configura la comunione, la conformazione, la missione». C’è «la grazia di appartenere al presbiterio». C’è una promessa, quella di Gesù: «Io sarò sempre con voi, fino alla fine del mondo». La promessa che induce ad affrontare «impopolarità, ingratitudine, fallimenti, ingiustizia», ma nella quale «troviamo fondamento alla nostra speranza».