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Venti di guerra sulla Terra Santa

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Pellegrinaggio

Così la Terra Santa ferita attende la Pasqua

Un piccolo gruppo di 18 persone partite per Gerusalemme, grazie all’iniziativa della Fondazione Ambrosianeum, ha vissuto dal 18 al 21 marzo momenti di preghiera per la pace, incontri con personalità religiose e testimonianze di realtà impegnate nella solidarietà e nel dialogo

25 Marzo 2024
Il gruppo di pellegrini

Per la prima volta un gruppo di pellegrini torna in Terra Santa dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso. Un viaggio di intercessione e di pace organizzato dalla Fondazione Ambrosianeum di Milano accompagnato dall’espressione del cardinale Carlo Maria Martini di «mettersi in mezzo» là dove le due parti sono in conflitto.

I 18 pellegrini ambrosiani sono partiti, senza esitare, grazie all’intuizione di Marco Garzonio, già presidente di Ambrosianeum, che a dicembre si è detto: «Non possiamo stare a guardare». E così ha lanciato l’idea di un breve viaggio (18-21 marzo), senza tuttavia potervi partecipare personalmente. «Seguirvi da Milano con la mia rinuncia per me è un pezzo di questa Quaresima faticosa, che continuo a credere prepari alla Pasqua», ha scritto Garzonio nel suo messaggio di augurio, e riprendendo parole di Martini ha aggiunto: «Penso a voi come “seminatori pazienti” e a questo viaggio come una “semina piccola”, che però darà “grande ricompensa se perseverate nella speranza”». A rappresentare l’Ambrosianeum in questi giorni c’era dunque il segretario Paolo Dell’Oca, mentre la guida turistica Selma, originaria della Galilea, ha accompagnato il gruppo con grande emozione dopo mesi di inattività.

Gerusalemme, città surreale

I negozi chiusi

Giornate intense scandite da momenti di preghiera per la pace, incontri con rappresentanti civili e religiosi, giornalisti, in una terra martoriata e sofferente. Gerusalemme è una città surreale, con tantissimi negozi chiusi, strade quasi deserte e hotel abbandonati. Il Christmas ha aperto i battenti al manipolo di ambrosiani dopo mesi di chiusura; l’economia è crollata, perché il turismo dava lavoro almeno all’80% della popolazione (con punte fino al 90-95% di cristiani). Alberghi da poco ristrutturati e altri di nuova costruzione hanno chiuso in poco tempo, così pure ristoranti, locali, negozi di artigianato locale e souvenir, le stesse guide turistiche sono disoccupate da mesi.

Luoghi sacri come il Santo Sepolcro, la Basilica della Natività a Betlemme e l’Orto degli Ulivi, dove le file per una visita di pochi minuti poteva durare dalle 2 alle 4 ore, hanno consentito l’accesso al piccolo gruppo di pellegrini senza un minuto d’attesa. Quello milanese è l’unico pellegrinaggio in Terra Santa dopo mesi, nessuna compagnia in Europa ha organizzato un viaggio, a differenza di GeaWay.

Padre Francesco Patton

Tutti gli incontri previsti dal programma sono stati profondi, toccanti e drammatici nei racconti degli interlocutori, a cominciare da padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa, che parla della peggiore crisi dal 1948 e dell’isolamento in cui vivono oggi i cristiani che contano meno del 2%. «Dobbiamo chiedere il dono di un cuore pacificato», ha detto, assicurando che «il vostro essere venuti qui è lavorare per la pace». Inoltre ha sottolineato l’importanza di avere attenzione al linguaggio che si usa, perché ha sentito spesso pronunciare parole «de-umanizzanti».

Intanto continua il lavoro educativo della Custodia di Terra Santa che da anni gestisce scuole e opere sociali dove si vive l’esperienza della convivenza tra ebrei, cristiani e musulmani.

Le bambine di Effatà

Non meno impegnate sono le Suore Dorotee che nel loro istituto “Effatà Paolo VI”, aperto nel 1971, accolgono 200 bambini sordi e attraverso il metodo labiale insegnano a comunicare. I piccoli risiedono nei Territori palestinesi e raggiugono la scuola in pulmino; attualmente solo 16 bambine che vivono lontano si fermano in convitto e tornano a casa nel fine settimana (in passato erano 40 tra maschi e femmine). Oltre agli insegnanti, l’istituto dispone di nove logopediste che seguono i piccoli anche individualmente. Gli studenti di Effatà vanno dai 3 ai 18 anni e i più grandi, quando lasciano la scuola, riescono a inserirsi nel mondo del lavoro grazie a corsi di formazione professionale o a laboratori di artigianato.

Le Suore Dorotee nel 2027 festeggeranno i cento anni della loro presenza in Israele e da oltre 90 lavorano per il Patriarcato di Gerusalemme. A raccontare questo e altro ancora è suor Carmela, religiosa italiana che nel salutare i pellegrini non nasconde lacrime di commozione per la visita che la fa sentire meno sola e dimenticata dal mondo.

Testimoni silenziosi

Preoccupa la situazione delle famiglie in difficoltà, come pure quella dei giovani, che spesso non vedono un futuro promettente per loro. Una giornalista italiana, corrispondente da 5 anni da Israele, parla del conflitto che in qualche modo coinvolge tutti i Paesi, racconta delle manifestazioni di piazza, degli ostaggi, dei coloni e di chi ha sempre investito tanto sul dialogo e che ne sente tutto il fallimento dopo quanto accaduto il 7 ottobre. «Una data che fa da spartiacque per la Chiesa cattolica», spiega suor Sandra Castoldi, orsolina, che da quasi 10 anni vive a Gerusalemme e lavora presso il Patriarcato di Gerusalemme. «La nostra è una testimonianza silenziosa», esordisce. Soffre per la situazione attuale e invita a «stare in mezzo» e «intercedere».

Padre Ibrahim Faltas e i bambini della scuola

È impressionato dai numeri il francescano egiziano padre Ibrahim Faltas, Vicario Custode di Terra Santa dal 2022, che in 35 anni non ha mai visto una situazione del genere. I morti a Gaza (ufficialmente) sono 32 mila, ma forse sono già 40 mila, di cui 13 mila bambini, mentre i feriti sono 80 mila e 40 mila i minori rimasti orfani di genitori. Molti sono morti per fame, sete e freddo, senza mezzi di sussistenza. Sono addirittura 150 i giornalisti morti in questi mesi e molti anche i medici che hanno perso la vita. Più di un milione di persone sono rimaste senza casa.

La Custodia di Terra Santa gestisce 18 scuole, dispone di 427 appartamenti e dà lavoro a 3 mila persone, che sostiene anche quando non c’è occupazione.

L’Italia accoglie i piccoli feriti

È grazie a padre Faltas se 160 bambini feriti, con relativi accompagnatori, hanno potuto lasciare il Paese imbarcandosi su tre voli militari e una nave per andare a curarsi negli ospedali italiani di Roma, Napoli, Milano…  «Questi bambini – dice il Vicario – sono passati dall’inferno, sotto le macerie, al paradiso. Sono molto riconoscenti, ma ora il mio sogno è quello di far uscire anche i fratelli e i genitori». Tra i Paesi europei l’Italia è stata l’unica ad accogliere i piccoli malati, grazie al governo e all’intervento della Comunità di Sant’Egidio e della Caritas.

Per padre Faltas è difficile immaginare che alla fine dei conflitti tutto possa tornare come prima, perché i rapporti tra le persone sono molto compromessi. Ci vorranno anni per ristabilire un clima sereno.

La sofferenza del cardinal Pizzaballa

L’incontro con il cardinale Pizzaballa

Stanco e provato da questa situazione è Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, creato Cardinale il 30 settembre scorso, pochi giorni prima dell’attacco di Hamas. Già nel 2004 era Custode di Terra Santa, per questo conosce bene Israele e soffre per tutti. È contento di incontrare il gruppo di pellegrini ambrosiani, lui stesso a febbraio è stato a Milano, città cui è legato fin dai tempi di Martini. Pizzaballa si aggrappa alla Parola di Dio nei momenti più bui, in particolare medita sugli ultimi due capitoli dell’Apocalisse e su un testo di Ezechiele, come confida ai suoi interlocutori. Non perde la speranza e sa che la realtà in cui vive «è illuminata dalla Pasqua».

La piccola comunità cattolica di lingua ebraica di Gerusalemme, la Kehilla, guidata da don Benedetto Di Bitonto, conta oggi meno di mille fedeli. Quando è nata, circa 70 anni fa, i pochi francofoni si ritrovavano nelle case a pregare; poi negli anni Novanta, quando il numero è iniziato a crescere grazie a diverse famiglie che tornavano in Israele, è nato il Vicariato, autonomo rispetto al Patriarcato latino. Oggi ci sono parrocchie di lingua ebraica sparse tra Gerusalemme, Caifa, Jaffa, Tiberiade… «Condividiamo le sorti di questo Paese», assicura il parroco. Ora esiste un Vicariato anche per gli immigrati stranieri.

Il villaggio Neve Shalom

Nevé Shalom

Nonostante tutto continua la profezia del villaggio “Neve Shalom” che significa Oasi di pace, fondato nel 1972 da padre Bruno Hussar (morto nel 1996), ebreo convertito al cristianesimo, che ha creduto fin dall’inizio al dialogo tra ebrei e musulmani. Questo luogo di confronto, né religioso né politico, «ha mosso così i primi passi della futura scuola per la pace», racconta l’attuale presidente di Neve Shalom. La comunità oggi è molto frequentata da persone di diversa provenienza (giovani, adulti, universitari…) che si fermano per un week-end o addirittura una settimana per partecipare ai laboratori. Dopo gli accordi di Oslo del 1993 a Neve Shalom è cresciuto il fermento e sono nati tanti progetti. Negli anni successivi le tensioni esterne hanno attratto sempre più persone nel villaggio della pace.

La Tenda del Silenzio

Massima attenzione si è sempre posta all’uso del linguaggio e la carta vincente è stata quella di aprire asili e scuole offrendo un’educazione bi-lingue, con insegnanti ebrei e arabi. La prima classe contava solo 11 bambini, poi i numeri sono cresciuti e negli anni Novanta la scuola si è aperta anche al territorio.

Intanto sono nati il Giardino dei Giusti, la Tenda del Silenzio e altre strutture. Negli ultimi 20 anni le scuole sono state frequentate da 300 studenti all’anno e attualmente nel villaggio vivono un centinaio di famiglie equamente distribuite tra arabi ed ebrei. Grazie all’associazione “Mano nella mano”, l’esperienza di Neve Shalom si sta diffondendo anche in altre zone. Non mancano studiosi e pubblicazioni su questo modello di convivenza.

Cosa resta del viaggio

La Messa conclusiva a Neopolis

I pellegrini sono rientrati la sera del 21 marzo portando con sé un ricco bagaglio di testimonianze, racconti, esperienze, riflessioni ed emozioni, dopo aver vissuto serate di confronto anche tra loro e momenti di preghiera di intercessione per la pace pur nei pochi giorni a disposizione. Nessuna pretesa di sentirsi “costruttori di pace”, ma solo piccolo seme di presenza e di condivisione in questo tempo di buio per la Terra Santa.

«Questo pellegrinaggio – dice Paolo Dell’Oca al rientro in Italia – ha riportato all’attenzione del mio cuore il valore dell’ascolto di ogni punto di vista e la non scontata gratitudine espressa da parte di persone che non incontrano pellegrini da ottobre. Mi ha stravolto l’oscurità che ho riscontrato nelle prospettive per le abitanti e gli abitanti della Terra Santa. Le testimonianze che abbiamo avuto il dono di ricevere mi hanno impressionato per la forza d’animo dimostrata nonostante una sofferenza di mesi. Credo che il nostro stesso viaggio sia stato una piccola preghiera di intercessione e di pace, e quanto bisogno ci sia di educarci alla speranza e di seminare».

Parole di riconoscenza hanno espresso tutti gli interlocutori che dall’ottobre scorso non hanno più visto turisti e gruppi arrivare nella terra di Gesù. Nessun rappresentante ha chiesto aiuti concreti o sostegno economico, ma a gran voce tutti incoraggiano il ritorno dei pellegrini perché la situazione a Gerusalemme è tranquilla e la popolazione ha solo bisogno di lavorare e tornare alla normalità.