«Una comunità che di solito è un’isola, ma che sta piano piano diventando una penisola», sempre più in dialogo con il territorio. Nonostante la caratteristica di isolamento che, per sua stessa natura, deve avere una comunità terapeutica per chi ha una dipendenza da alcol o droga: chi arriva qui, infatti, è in una tappa importante di un possibile percorso di recupero, allontanandosi dalle facili occasioni di consumo e dunque dalle ricadute. Non mancano però le occasioni di scambio con il mondo esterno, dalla presenza dei numerosi volontari fino alla visita, proprio nella settimana scorsa, degli studenti di Medicina dell’Università degli Studi.

Questo il percorso che Christian Broch, educatore e presidente della Cooperativa Accoglienza e Lavoro, tratteggia per la Comunità Sorella Amelia di Molteno. Comunità che, come la cooperativa che la gestisce, è nata su impulso di sorella Amelia Rivolta, religiosa dell’ordine delle Sacramentine, in quegli ultimi anni Settanta in cui l’impegno caritativo si traduceva spesso in iniziative radicali. «Non avremmo questa sede così bella senza la tenacia e il pizzico di follia di suor Amelia», riconosce Broch, che sottolinea come il criterio dell’accoglienza valga ancora oggi: «Abbiamo il dovere di accogliere chiunque bussi da noi, facendolo sentire, pur con regole particolari, a casa propria».

Naturalmente l’accesso è regolato in accordo con i Servizi sanitari regionali e gli assistenti sociali, ma, spiega Broch, «abbiamo scelto per esempio di non avere un limite d’età per gli ospiti». E l’educatore sceglie la linea della trasparenza anche nel descrivere il percorso di chi entra in comunità. Dopo un periodo di circa tre mesi di assestamento e di recupero sul piano psico-fisico – che passa innanzitutto dal sottrarsi al consumo delle sostanze e in cui gli ospiti fanno uscite solamente protette insieme agli educatori – inizia la fase del lavoro su di sé: l’obiettivo, assistiti dai vari specialisti, è ricostruire la propria quotidianità, fino alla ricerca di un lavoro, come già fanno alcuni degli ospiti della comunità, in cui la permanenza massima è di 36 mesi. Ma le difficoltà si incontrano soprattutto quando si lascia il centro. «Tra chi entra in una comunità terapeutica, solo il 15% riesce a staccarsi completamente dalle dipendenze», spiega Broch. Gli altri hanno, a diversi livelli, delle ricadute, «anch’esse parte del percorso terapeutico», ricorda l’educatore, chiarendo che «non si sceglie di diventare tossicodipendenti, ma che alla base ci sono fragilità, strutture psichiche che portano a questo stadio, da cui, poi, è molto difficile uscire».

In uno degli incontri del ciclo «Adamo dove sei?» a Oggiono, lo hanno raccontato un ospite e un dipendente della Comunità. «Il primo è stato da noi più volte», ricorda Broch. «Ora sto bene, ma non posso garantire che non avrò più ricadute», ha raccontato l’uomo con sincerità. Anche il secondo testimone è stato in passato ospite della Comunità, «e ora è il primo dei nostri “ex” che assumo», racconta con soddisfazione Broch.
La visita di monsignor Delpini sarà una novità, tanto per l’Arcivescovo quanto per la Comunità. «A mia memoria nessun vescovo è stato da noi, anche perché suor Amelia aveva un caratteraccio – ricorda Broch -. Lo accoglieremo a braccia aperte, chiedendogli una parola buona e un pensiero perché quello che era il sogno di Amelia possa continuare».




