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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Vaticano

Chiuso il Sinodo, papa Francesco ai giovani: «Scusateci se non vi abbiamo dato ascolto»

Due “mea culpa” del Pontefice, a cui si è aggiunto quello, implicito, nella lettera dei padri sinodali. «Ascoltare, farsi prossimi, testimoniare», i tre imperativi dell'omelia. Perché «la fede passa per la vita», «è questione di incontro, non di teoria»

di Maria Michela NICOLAIS

29 Ottobre 2018

«Vorrei dire ai giovani, a nome di tutti noi adulti: scusateci se spesso non vi abbiamo dato ascolto; se, anziché aprirvi il cuore, vi abbiamo riempito le orecchie». Il Papa ha cominciato l’omelia della Messa di chiusura del Sinodo sui giovani con un sincero mea culpa a nome della Chiesa, per tutte quelle volte che non è stata capace di ascoltare i giovani. Al termine dell’omelia, nella basilica di San Pietro, il secondo mea culpa di Francesco: «Quante volte abbiamo portato noi stessi, le nostre “ricette”, le nostre “etichette” nella Chiesa! Quante volte, anziché fare nostre le parole del Signore, abbiamo spacciato per parola sua le nostre idee! Quante volte la gente sente più il peso delle nostre istituzioni che la presenza amica di Gesù!».

«Le nostre debolezze non vi scoraggino, le fragilità e i peccati non siano ostacolo alla vostra fiducia», il terzo mea culpa, in forma implicita, contenuto nella lettera indirizzata dai padri sinodali ai giovani, letta prima della benedizione finale: «La Chiesa vi è madre, non vi abbandona, è pronta ad accompagnarvi su strade nuove, spazzando via le nebbie dell’indifferenza, della superficialità, dello scoraggiamento».

«La Chiesa e il mondo hanno urgente bisogno del vostro entusiasmo – l’appello alle nuove generazioni -. Fatevi compagni di strada dei più fragili, dei poveri, dei feriti dalla vita. Siete il presente, siate il futuro più luminoso», la consegna per il dopo-Sinodo. «Ascoltare, farsi prossimi, testimoniare», i tre imperativi consegnati dal Papa ai padri sinodali, ai giovani e alle migliaia di persone presenti nella basilica di San Pietro. Perché «la fede passa per la vita. È una questione di incontro, non di teoria».

«Come Chiesa di Gesù desideriamo metterci in vostro ascolto con amore, certi di due cose – assicura il Papa -. Che la vostra vita è preziosa per Dio, perché Dio è giovane e ama i giovani; e che la vostra vita è preziosa anche per noi, anzi necessaria per andare avanti». «Quant’è importante per noi ascoltare la vita!», esclama Francesco. L’apostolato dell’orecchio è il primo passo da compiere per accompagnare alla fede: i discepoli, invece, «preferivano i loro tempi a quelli del Maestro, le loro parole all’ascolto degli altri: seguivano Gesù, ma avevano in mente i loro progetti. È un rischio da cui guardarsi sempre».

«Farsi prossimi», perché «la fede passa per la vita». Il Papa descrive così il secondo passo. Come fa Gesù, che «si immedesima in Bartimeo, non prescinde dalle sue attese; che io faccia: fare, non solo parlare; per te: non secondo idee prefissate per chiunque, ma per te, nella tua situazione. Ecco come fa Dio, coinvolgendosi in prima persona con un amore di predilezione per ciascuno».

«Quando la fede si concentra puramente sulle formulazioni dottrinali, rischia di parlare solo alla testa, senza toccare il cuore», il monito: «E quando si concentra solo sul fare, rischia di diventare moralismo e di ridursi al sociale. La fede invece è vita: è vivere l’amore di Dio che ci ha cambiato l’esistenza. Non possiamo essere dottrinalisti o attivisti; siamo chiamati a portare avanti l’opera di Dio al modo di Dio, nella prossimità: stretti a Lui, in comunione tra noi, vicini ai fratelli».

È la prossimità «l’antidoto contro la tentazione delle ricette pronte». «Chiediamoci se siamo cristiani capaci di diventare prossimi, di uscire dai nostri circoli per abbracciare quelli che “non sono dei nostri” e che Dio ardentemente cerca», l’invito. L’altra tentazione che ricorre nella Scrittura è quella di «lavarsi le mani». «Noi invece vogliamo imitare Gesù, e come lui sporcarci le mani», assicura Francesco:

«Non maestri di tutti, non esperti del sacro, ma testimoni dell’amore che salva»: nella parte finale dell’omelia della Messa di chiusura del Sinodo, il Papa si sofferma sul “terzo passo” necessario per accompagnare alla fede: testimoniare. «Non è cristiano aspettare che i fratelli in ricerca bussino alle nostre porte; dovremo andare da loro, non portando noi stessi, ma Gesù. Egli ci manda, come quei discepoli, a incoraggiare e rialzare nel suo nome».

«Tanti figli, tanti giovani, come Bartimeo cercano una luce nella vita. Cercano amore vero. E come Bartimeo, nonostante la molta gente, invoca solo Gesù, così anch’essi invocano vita, ma spesso trovano solo promesse fasulle e pochi che si interessano davvero a loro», la denuncia. «La fede che ha salvato Bartimeo non stava nelle sue idee chiare su Dio, ma nel cercarlo, nel volerlo incontrare», commenta Francesco: «La fede è questione di incontro, non di teoria. Nell’incontro Gesù passa, nell’incontro palpita il cuore della Chiesa». Allora «non le nostre prediche, ma la testimonianza della nostra vita sarà efficace».

«E a tutti voi che avete partecipato a questo “camminare insieme”, dico grazie per la vostra testimonianza», l’omaggio finale a quanti hanno partecipato al Sinodo, di cui è stato approvato il documento finale, ora nelle mani del Santo Padre, che deciderà cosa farne: «Abbiamo lavorato in comunione e con franchezza, col desiderio di servire Dio e il suo popolo. Il Signore benedica i nostri passi, perché possiamo ascoltare i giovani, farci prossimi e testimoniare loro la gioia della nostra vita: Gesù».

 

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