«Abbiamo respirato un clima di grande partecipazione e di affetto sincero che si leggeva negli occhi della gente e che trapela anche dalla compostezza con cui tantissimi si sono messi in fila, e continuano a farlo, per rendere omaggio a papa Francesco, per dire una preghiera, un pensiero di gratitudine, sia in San Pietro sia nella Basilica di Santa Maria Maggiore, che è proprio di fronte a noi». Don Mario Antonelli, sacerdote ambrosiano e rettore del Pontificio Seminario Lombardo, sito, appunto in piazza Santa Maria Maggiore e che, in questi giorni, espone sulla sua facciata un grande striscione con scritto a caratteri cubitali «Grazie, Francesco», racconta così come ha potuto vivere, davvero minuto dopo minuto, i momenti del cordoglio per la morte del Papa che riposa ora nella basilica che gli fu tanto cara.
Cosa ci lascia questo papato così ricco di suggestioni, di gesti emblematici, con frasi che sono quasi parole-chiave per un cammino futuro?
Il Papa dorme in Santa Maria Maggiore ed è proprio quando si dorme che si può sognare. Nel grande concorso di popolo che lo circonda (fatto di giovani, adulti, anziani, donne, uomini, religiosi, religiose, preti, vescovi, cardinali) mi sembra di vedere l’intero popolo di Dio che, mentre il Papa dorme, riesce ancora di più a condividerne il sogno. Vorrei ricordare le parole del Papa a Firenze nel 2015 rivolte alla Chiesa italiana ma, in fondo, a tutti quando disse: «Desidero una Chiesa lieta, con il volto di madre, che comprende, accompagna, accarezza». Poi proseguiva subito aggiungendo: «Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà». Mi pare questa l’immagine che, in modo sintetico e anche promettente, ci accompagna in questi giorni. Mentre il Papa dorme, proprio perché sta dormendo nella pace del Signore, il popolo di Dio riesce a sognare esattamente come papa Francesco esortava a fare in quel giorno a Firenze.

La sensazione è che il messaggio di papa Francesco, al di là dell’emozione e dei momenti forti appena vissuti, sia stato compreso e accolto fino in fondo? Si nota, forse con una certa tristezza, che non sono mancate tante interpretazioni ideologiche del suo magistero…
Affacciandomi alla finestra, vedo i volti della gente che fa la coda per entrare in Basilica, anzi nei loro piedi vedo l’accoglienza aperta e generosa del magistero di Francesco che, credo, sia stato tutto imperniato, così come Gesù voleva, non già nel ricordare che cosa i cristiani e il popolo di Dio devono fare o sapere, ma come il popolo di Dio deve essere. Quell’essere discepoli che vuol dire anche la semplicità, la povertà, la sobrietà, il cuore aperto e caldo e questo mi sembra che sia stato recepito. Dicevo del volto, ma anche dei piedi delle tante persone che vengono da ogni parte della Terra: davvero, in questi giorni, piazza Santa Maria Maggiore rappresenta una miniatura del mondo intero, del popolo di Dio che viene da ogni dove. Il Papa è entrato nella casa del Padre e nella casa della Madre, la Salus Populi Romani, con le sue scarpe ortopediche. Durante il Sinodo ho potuto vederle da vicino: erano veramente sgualcite e sono le stesse che ha portato nella bara in cui è stato deposto.
È stato un ultimo segno di semplicità che ha commosso tanta gente. Sarà questa una delle immagini che resterà di un pontificato capace di parlare a tutti proprio perché si nutriva di sentimenti universali?
Mi sembra che il popolo di Dio abbia inteso un tale gesto in modo immediato: il Papa è entrato nella casa del Padre così e anche noi possiamo entrarci ciascuno con le proprie scarpe, che non sono particolari, ma sono quelle dei passi di tutti i giorni, piene di polvere, del quotidiano con le sue miserie e con le sue bassezze. Le scarpe che hanno vissuto una storia di fragilità, di sofferenza, di speranze e di sogni infranti, di grandi gioie, ma anche di grandi dolori. Il popolo di Dio sente che il cuore del Papa è entrato nella casa del Padre e così ciascuno di noi può entrarvi con la sua vita ordinaria.