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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Mariupol

Monastero paolino sequestrato dai russi, «in città è un disastro»

L’edificio trasformato nella sede locale della cosiddetta Repubblica popolare di Donetsk. Il parroco: «Ci hanno tolto la chiesa, hanno fatto di tutto per farci andare via»

di Maria Chiara Biagioni Agensir

17 Maggio 2022
Il monastero paolino (foto Facebook p. Tomaszewski)

Il monastero dell’Ordine di San Paolo, primo eremita a Mariupol, dove vivevano e prestavano servizio i padri paolini, è stato sequestrato dai russi ed è diventata la sede dell’amministrazione locale della cosiddetta Repubblica popolare di Donetsk. L’amministrazione è stata istituita a fine marzo. Ma solo ora si è saputo che la sua sede è ospitata nel monastero cattolico. A dare la notizia padre Pavlo Tomaszewski, il parroco paolino della parrocchia di Nostra Signora di Czestochowa di Mariupol, con un post su Facebook ripreso dall’agenzia Sir. «Cristo è risorto! – scrive il religioso -. Ho ricevuto una triste notizia oggi. Nel nostro monastero, a Mariupol, gli occupanti hanno fatto l’amministrazione della DPR (Repubblica Popolare di Donetsk, ndr) per tutta la città! Vi chiedo di pregare per la nostra bella città, per i suoi difensori e per noi, e perché possano essere liberati la nostra città e il nostro santuario dagli invasori!».

Senza telefoni e Internet

«Sabato sera – racconta poi il religioso – ho ricevuto un messaggio dal vescovo ausiliare della diocesi di Kharkiv e Zaporozhye, monsignor Jan Sobilo. Mi ha scritto che gli occupanti avevano realizzato l’amministrazione comunale nel monastero e mi ha inviato una foto. So anche che il 17 marzo il nostro monastero è stato saccheggiato. Me ne ha parlato un uomo della nostra parrocchia che era già riuscito a lasciare Mariupol. Hanno preso tutto quello che c’era, i calici per il servizio divino e ogni cosa di valore». Purtroppo, la situazione in città è difficilissima e le comunicazioni sono tagliate. È pertanto quasi impossibile avere notizie. «Non so cosa stia succedendo oggi – conferma padre Pavlo -. Cercherò di chiamare qualcuno ma è difficile. In città non c’è un servizio di telefonia mobile o di internet. So che c’è corrente e acqua da qualche parte. Ma lì è un disastro. Vi confido che è molto difficile per il mio cuore. È difficile per me, perché ci hanno tolto la chiesa, hanno fatto di tutto per farci andare via. E ora l’hanno disonorata. È molto, molto difficile da accettare».

Un vero e proprio genocidio

Il 5 marzo scorso, insieme a un altro confratello dell’Ordine di San Paolo Primo Eremita (Paolini), il sacerdote era riuscito a fuggire dalla città sotto assedio dai russi insieme ad alcuni parrocchiani, e adesso si trovano nel monastero della parrocchia di San Nicola a Kamianets-Podilskyi. Secondo quanto riporta anche l’agenzia ucraina cattolica “Risu”, nella città si sta verificando un vero e proprio genocidio del popolo ucraino. Si prevede che entro la fine del 2022, più di 10 mila persone potrebbero morire a causa di malattie e condizioni intollerabili a Mariupol. Dalla fine di aprile, soldati ucraini di Mariupol sono bloccati nello stabilimento di Azovstal. Circa 600 feriti rimangono nei sotterranei dello stabilimento Azovstal, preso d’assalto dai militari russi, in condizioni precarie, senza medicine, acqua e cibo. Papa Francesco ha più volte chiesto l’apertura di corridoi umanitari ed ha anche incontrato a Roma una “delegazione” di mogli dei soldati ucraini.

La petizione

Nel frattempo, Kateryna Prokopenko, moglie del comandante del reggimento Azov, ha lanciato una petizione, «Save Mariupol», che chiede una procedura di estrazione per i militari ucraini intrappolati ad Azovstal che ha raccolto quasi 1,5 milioni di firme. «Chiediamo alle Nazioni Unite, al segretario generale delle Nazioni Unite e ai leader regionali di tutto il mondo di avviare un’immediata procedura di ‘estrazione’ dell’evacuazione dei civili, di tutti i feriti, dei corpi dei caduti e dei militari ucraini dal blocco di Mariupol. È ancora possibile salvare la vita delle persone. Chiediamo pertanto un’azione decisa da parte della comunità internazionale per: fornire un cessate il fuoco urgente con garanzie da entrambe le parti a Mariupol; organizzare un monitoraggio immediato del rispetto del cessate il fuoco da parte di terzi; organizzare l’evacuazione marittima di civili e militari ucraini in un territorio controllato dal governo ucraino o nel territorio di uno Stato terzo intermediario».

La voce dell’Arcivescovo

Sulla situazione di Mariupol, è sceso in campo anche l’arcivescovo maggiore di Kiev Sviatoslav Shevchuk. «Secondo i dati che abbiamo ricevuto ieri, più di 170 mila persone soffrono la fame nella città eroica di Mariupol. I nostri difensori la difendono da giorni. La città è completamente assediata e tutte le persone di buona volontà rivolgono un forte appello a tutto il mondo con la richiesta di salvare quelle persone che impediscono all’invasore a realizzare i propri piani. Proprio lì, a Mariupol, oggi si sta forgiando la vittoria dell’Ucraina».

Il governo cittadino ha denunciato su Telegram che «oggi Mariupol è come una grande tomba. Sono già morte 20 mila persone. Più di 10 mila possono morire per malattie, mancanza di acqua, cibo e medicine». Da qui l’appello del capo della chiesa greco-cattolica: «Anche io mi rivolgo a tutti quelli che hanno il potere di salvare la gente di questa città di Maria: fate quello che è nelle vostre possibilità. Da parte nostra, noi preghiamo e facciamo il possibile per salvare quelli che oggi rischiano la morte per fame, e sulle teste dei quali si abbattono tonnellate di bombe russe».

Il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina segue con preoccupazione quanto nel corso delle ultime 24 ore sta accadendo nelle regioni di Luhansk, Donetsk e Kherson e a Zaporizhya dove sono in corso pesanti e sanguinosi combattimenti: «Il nemico cerca di avanzare, e l’esercito ucraino difende eroicamente la terra ucraina. Nel contesto di questa guerra, oggi l’Ucraina è il territorio più contaminato dalle sostanze esplosive. Persino nei territori liberati dell’est decine di migliaia di ettari dei terreni ucraini aspettano la bonifica dalle mine. Si tratta di un lavoro che richiede molti anni di sforzi».

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