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«Il Segno»

Liberazione, un anniversario che vuole essere di speranza

Il contributo di Mariapia Garavaglia sul numero di aprile del mensile diocesano. Un invito a custodire con vigilanza la democrazia, anche nel ricordo di chi ha sacrificato la sua vita per realizzarla

di Mariapia GARAVAGLIA

24 Aprile 2025

Da Il Segno di aprile

Nell’anno del Giubileo della speranza mi sono trovata a pensare a chi più di ottanta anni fa coltivò la speranza di poter vivere in una patria libera, democratica, senza paura di violenze, ritorsioni, tradimenti. Con molte sofferenze e morti, prima in una guerra scellerata per l’alleanza di Mussolini con Hitler e poi, purtroppo, in un conflitto fra italiani. Molti italiani, tra i quali anche molti militari che non vollero tradire il loro giuramento arruolandosi per la Repubblica sociale italiana (Rsi), fascista, valorosi e generosi, diedero la vita per noi, che oggi possiamo godere della libertà e della democrazia. La Resistenza durò dal 1943 al 1945, lasciandoci la memoria di eroismi, più o meno conosciuti, tra i quali si contano molti partigiani cristiani.

Il martirio è l’atto supremo del dono della vita. Ricordiamo esempi di azioni eroiche per salvare dalla bestiale violenza nazista la vita ai compagni: il beato Teresio Olivelli, morto nel campo Hersbruck il 17 gennaio 1945, padre Kolbe ad Auschwitz, il 14 agosto 1941, e il carabiniere Salvo D’Acquisto il 23 settembre a Torrimpietra, recentemente dichiarato venerabile, insieme alla fase conclusiva diocesana per la beatificazione di Alcide De Gasperi, un padre della patria, il costruttore dell’Italia democratica e repubblicana. Dobbiamo a un suo decreto l’istituzione del 25 aprile come Festa nazionale. Non è quindi una festa di parte e non è una festa comunista. Cerchiamo di costruire l’unità attorno a questa festa che è costata tanti sacrifici per poterla festeggiare.

Con la Resistenza abbiamo ottenuto uno strumento di grande forza a tutela della dignità di ogni persona, con diritti e doveri, che ne custodiscono la libertà, la Costituzione. È stata conquistata dalle forze politiche che hanno combattuto sognando una nazione libera dagli oppressori, democratica e repubblicana. Sono le forze politiche che in parlamento hanno costituito l’arco costituzionale. È bellissima e va difesa perché, di tanto in tanto, si pone mano a qualche modifica, vero segnale che non piace a chi non ha meritato di conquistarla. Il presidente Ciampi l’ha definita «Bibbia laica».

Foto Contrasto

Quindi si è potuto chiudere un periodo di sopraffazione per aprirsi a un modo diverso di agire, fondato su diritti e doveri, responsabilità personali e partecipazione civile; con la Liberazione abbiamo conquistato la libertà di tutti. L’ottantesimo della Liberazione apre una sorta di speciale triduo. Infatti, il prossimo ottantesimo, nel 2026, ricorderà il primo suffragio universale e mi piace ricordare particolarmente il primo voto delle donne. Avevano meritato quel diritto. Le ventuno Madri costituenti portarono nella Costituzione speranze e desideri che avevano animato anche la Resistenza delle donne. Rappresentarono le retrovie per assicurare rifornimenti alle partigiane e ai partigiani combattenti, nonché lavorare nei campi, nelle fabbriche, proteggere gli ebrei e gli sbandati. Furono una forza indispensabile. Ricordiamo per tutte una staffetta, Tina Anselmi, che, secondo una confessione nella sua autobiografia, ricordò di aver ringraziato il Signore per non aver dovuto utilizzare la pistola di cui era fornita e che, se fosse stato necessario, avrebbe usato, perché i partigiani cristiani non combattevano per odio, ma per affermare il diritto di difendere la patria da oppressori che perseguitavano i propri concittadini.

I giovani resistenti spesso venivano da una educazione religiosa e combatterono a partire dalla loro fede per difendere la vita e la dignità di tutti. Centinaia di sacerdoti furono al loro fianco anche nei momenti supremi della morte atroce. Vorrei ricordare don Giovanni Minzoni come protomartire della Resistenza (fu ucciso infatti nel 1923), i cui movimenti scout furono sciolti dal fascismo; non potevano essere accettati giovani liberi dalle parate, mistificazioni e indottrinamenti fascisti. Da milanesi ci basti ricordare don Giovanni Barbareschi e don Andrea Ghetti, nome di battaglia Baden con i suoi gruppi scout, le Aquile randagie. Più di 22.0000 associati all’Azione cattolica caddero come resistenti.

Il terzo ottantesimo, che ricorda la approvazione della Costituzione, cadrà nel 2027.

La guerra ai confini dell’Europa ci ammonisce a non cedere alla violenza perché è foriera di soprusi. Invece il sistema democratico coltiva il confronto e il metodo per decidere è il voto. Perciò ci viene chiesta la responsabilità di non tradire le vittime e di continuare a costruire la democrazia che non è conquistata una volta per sempre. La memoria è un tesoro dell‘anima, un atto di carità e di gratitudine per tutti coloro che ci hanno lasciato una lezione che non possiamo e che non dobbiamo dimenticare. Non meritano la nostra accidia e indifferenza alla partecipazione politica. Anche questa deve essere finalizzata a non cedere alle lusinghe del nazionalismo, del sovranismo… la democrazia esige vigilanza e protezione. Ai politici di oggi va chiesta umiltà e pazienza, per recuperare la fiducia degli elettori con programmi chiari e seri e con leggi elettorali che richiamino l’impegno personale degli elettori, titolari di libere scelte e non imposte da segreterie di partiti. Voglio ancora ricordare De Gasperi che esortava: «Noi siamo un partito d’ordine e di legge, facciamo opera di disciplina in tutto il Paese, e alla necessaria solidarietà dei partiti antifascisti sacrifichiamo molte particolari esigenze». Capito?

Chi muore per la patria è immortale solo se gli eredi li fanno vivere nel modo e con i valori per i quali hanno donato la vita.

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