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Speciale

25 aprile, tra storia e attualità

Sirio 8 - 14 dicembre 2025
Radio Marconi cultura
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Milano

«Liberazione, l’azione di un popolo che desiderava un’Italia diversa»

L’impegno dei cattolici per costruire un Paese libero e antifascista nell’intervento dell’Arcivescovo al convegno in Cattolica per gli 80 anni del 25 aprile. Approfondito il ruolo del cardinale Schuster

di Annamaria BRACCINI

8 Maggio 2025
I relatori del convegno (foto Università Cattolica)

«Una stagione di guerre, dove la democrazia non è più data per scontata». È questa la situazione odierna per cui appare più che mai fondamentale riflettere su ciò che è stato, ma anche ampliare lo sguardo – talvolta miope – sul presente, «sulle basi dell’Italia repubblicana e democratica ripensando al legame tra pace e democrazia». Così come ha fatto il convegno “Chiesa, cattolici e la liberazione a Milano. 1945-2025”, tenutosi presso l’Università Cattolica alla presenza dell’Arcivescovo e i saluti introduttivi della pro-rettrice vicaria Anna Maria Fellegara che ha letto un messaggio della rettrice Elena Beccalli: «La Liberazione fu un successo di molti, ebbe una collaborazione popolare di persone con idee politiche diverse, ma tutte animante dall’obiettivo di dare nuova dignità al Paese. In questo, il ruolo dei cattolici fu fondamentale, anche se non sempre riconosciuto», scrive Beccalli richiamando, l’azione di resistenza di docenti e studenti dell’Ateneo e le posizioni di uomini come Ezio Franceschini che fu rettore della Cattolica stessa nel dopoguerra.

L’intervento dell’Arcivescovo

L’intervento dell’Arcivescovo

«La parola “liberazione” è densa di significato, complessa, drammatica – sottolinea subito monsignor Delpini -. La Liberazione fu un movimento di tutta la popolazione, anche con fatti drammatici come l’uso delle armi e della violenza, senza una gestione della società che potesse tenere le fila dell’ordine pubblico. Vi fu uno scatenarsi dell’aggressività e della violenza e, dunque, una dimensione armata che resta inquietante. Ma Liberazione significò, soprattutto, desiderare il futuro, un’Italia diversa: un’intenzione, un pensiero, un dovere che, specie per l’ambito cattolico, pose le premesse per un’Italia libera e antifascista con il desiderio di tradurre in politica il bene del Paese».

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Un Paese che, libero dalla dittatura, poteva scrivere una storia nuova. Il pensiero va al cardinale Schuster «che ebbe un ruolo rilevante nel suo appello continuo a evitare la violenza, a contenerne la dimensione, non soltanto per evitare la barbarie, ma per concretizzare la possibilità di un nuovo modo di vivere a Milano. Studiare con attenzione gli aspetti meno visitati di questo capitolo merita apprezzamento», conclude l’Arcivescovo.  

Anna Scavuzzo

Il vicesindaco

Anche Anna Scavuzzo, vicesindaco di Milano, parla di una precisa assunzione di responsabilità a 80 anni dal 1945, «nella consapevolezza che dobbiamo lavorare perché nessuno debba ricorrere alle armi per affermare un diritto. Tanti oggi sono i popoli nel mondo che attendono ancora il loro 25 aprile», nota ancora Scavuzzo, evidenziando il percorso virtuoso promosso dall’amministrazione comunale con il progetto “Milano è memoria” a cui la Cattolica partecipa: ««Un cammino non estemporaneo che vuole costruire il futuro, come abbiamo fatto promuovendo iniziative con le vittime del terrorismo e della mafia e, a maggior ragione in questo 80esimo dalla liberazione, a Milano, città medaglia d’Oro della resistenza». E tutto nel rispetto delle diversità, «perché “resistenza” è un sostantivo femminile plurale che dà l’idea dello sforzo collettivo, accomunato da un’aspirazione di rispetto e libertà per ciascuno dove i cattolici hanno dato un contributo per ricostruire la convivenza. Una dimensione valoriale, questa, profondamente cattolica in una città che ha fatto del dialogo una sua caratteristica Le organizzazioni cattoliche furono sovversive, perché troppo libere», spiega la vicesindaco, basti pensare al dissidio su Azione Cattolica del 1931 o agli scout.

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Dopo la riflessione di Francesco Tedeschi, del Dipartimento di Storia, Archeologia e Storia dell’Arte dell’Ateneo, si avvia la prima delle tre relazioni di altrettanti accademici e storici, affidata a Giorgio Del Zanna, docente di Storia Contemporanea in Cattolica centrata sulla figura del cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, defensor civitatis, come fu definito anche durante la guerra. 

Giorgio Del Zanna

L’azione mediatrice di Schuster

«Un terzo di Milano era distrutto e l’opera di riorganizzazione non fu semplice in campo cattolico. Poco aduso ad occuparsi di questioni politiche, dapprima Schuster appare defilato, ma con la repubblica sociale, non esita alla ricostruzione di un tessuto di pacificazione degli animi. Il clero ambrosiano scelse la vicinanza alla popolazione con una sorta di supplenza dello Stato», come scrisse Federico Chabod. «Anche perché, nella barbarie della guerra, la Chiesa ambrosiana godeva, come unica autorità costituita, del rispetto della gente. L’Arcivescovo allora fece della carità l’asse portante della sua azione», osserva Del Zanna, tanto che, per esempio, ci si prodigò  er dare protezione anche alle persone di religione ebraica – ricordiamo che la Diocesi di Milano confinava direttamente con la Svizzera – e ciò valse al Cardinale un riconoscimento della Comunità ebraica. Senza dimenticare gli aiuti ai prigionieri nei campi di lavoro in Germania, il fatto che non furono pochi i preti ambrosiani che appoggiarono la lotta partigiana» e, non ultima certamente, «la mediazione di Schuster nell’aprile del 1945 prima con i tedeschi e, poi, con Mussolini».

Probabile, nota lo storico – facendo riferimento anche al rapporto tra l’Arcivescovo e l’altra figura centrale del cattolicesimo nel nord Italia di allora, il vescovo di Bergamo Adriano Bernareggi -, che il famoso Messaggio di Pio XII per il Natale del 1944, in cui è chiarissima la presa di posizione del Papa a favore della democrazia, «abbia influenzato Schuster nel profondo». Schuster che fu categorico nel richiamare, comunque e sempre, il comandamento di non uccidere, interpretando anche un diffuso desiderio popolare di lasciarsi alle spalle un periodo i tutti i sensi nero».

Scrisse, infatti l’oggi beato Cardinale: «Il più rimane ancora da fare: la ricostruzione morale e materiale non solo italiana, ma dell’Europa», con una finora inedita sensibilità europeista, maturata in un clima spirituale tipico della tradizione benedettina che portò, dopa la guerra, alla scelta di san Benedetto come patrono di Europa.

Agostino Giovagnoli

Dossetti e l’a-fascismo

A Giuseppe Dossetti, con una storia personale di impegno cristiano anche politico, si sofferma il docente di Storia contemporanea dell’Università di Chieti-Pescara Galavotti. «Dossetti e Lazzati ritenevano fosse necessario un periodo di elaborazione della posizione cattolica negli anni del fascismo e dello stato liberale, per approdare, poi, a un impegno unitario, mentre, per esempio, Fanfani auspicava la necessità immediata di tale presenza unitaria. In ogni caso, per tutti occorreva valutare il grande ruolo del cattolicesimo italiano nella vita democratica, che non significava entrare nella “stanza dei bottoni”, ma un sostegno al risveglio delle coscienze, «per una democrazia sostanziale capace di promuovere il bene di tutti. Non tutto ciò che vollero Dossetti e chi gli era vicino, si realizzò, ma molto entrò nella Costituzione e, allora, occorrerebbe pensarci prima di mettervi mano», scandisce Galavotti.

Infine, Agostino Giovagnoli, notissimo docente della “Cattolica” e analista di molti contesti della contemporaneità, affronta un tema «particolare e complicato», ossia la reazione che vi fu tra il ’43 e il ’45 – e nel dopoguerra -, riguardo al fascismo e quindi relativamente all’antifascismo. O meglio ai tanti antifascismi, «con la questione molto controversa del rapporto tra antifascismo e democrazia. Termini che oggi tendono a essere separati negando che, per la democrazia, sia necessario l’antifascismo». Una posizione, questa, «a-fascista, non necessariamente filofascista, ma sulla quale occorre fare chiarezza, come si vede dalle problematiche che emergono ogni 25 aprile».

Anche perché «si pose il problema di una Costituzione che doveva essere afascista più che antifascista, apparendo questo riduttivo dopo la fine del fascino storico mussoliniano. Su questo, non a caso, si concentrò il dibattito dell’assemblea generale dopo la fine del lavoro delle tre sottocommissioni dei Lavori della Costituente».

 

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