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Accordo

Caritas Italiana sul Memorandum Ue-Tunisia: «Non mette al centro i diritti umani e non risolve»

Il parere di Oliviero Forti, responsabile dell’Ufficio immigrazione, sull’intesa che prevede assistenza finanziaria al Paese nordafricano, da cui quest’anno sono sbarcate in Italia 43 mila persone

di Patrizia CAIFFA Agensir

18 Luglio 2023
Foto Ansa / Sir

Il memorandum d’intesa firmato ieri a Cartagine tra Unione europea e Tunisia non «mette al centro i diritti umani» e «non risolverà in maniera significativa i flussi. C’è da aspettarsi una riduzione nell’immediato, ma poi riprenderanno più massicciamente dalla Libia». Lo afferma Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas italiana: «Oramai è noto a tutti: non sono questi gli strumenti che bloccano le partenze. I migranti hanno un bisogno estremo di trovare una soluzione alla loro esistenza e quindi si sposteranno su altre rotte. Questi interventi un po’ tampone hanno breve durata, che rimane comunque funzionale a scopi più di natura politica. Noi avremmo voluto vedere invece un impegno vero da parte di altri Paesi europei, nel meccanismo di ricollocamento e nella modifica del Regolamento di Dublino». Nel frattempo altri 347 migranti sono sbarcati ieri sera a Lampedusa, per un totale di 1.149 in un giorno. Le autorità tunisine hanno salvato un centinaio di migranti a bordo di due imbarcazioni che stavano affondando al largo della costa di Sfax e le guardie di frontiera libiche sostengono di aver soccorso decine di migranti africani “deportati” dalle autorità tunisine verso il confine tra i due Paesi.

La parola “memorandum” evoca l’accordo con la Libia, aspramente criticato dalla società civile perché viola i diritti umani. Che giudizio date all’accordo tra Ue e Tunisia?
È ciò che più premeva all’Unione europea e all’Italia. Non vediamo negativamente un accordo bilaterale fatto con un Paese di transito come la Tunisia. Il problema è che questi accordi non hanno mai messo al centro i diritti umani. In Tunisia ci sono state nelle scorse settimane rivolte con vittime, rinvii forzati in Libia, migranti sub sahariani abbandonati in una terra di nessuno. Il tema dei diritti umani avrebbe dovuto essere centrale nella richiesta di garanzie al governo di Kais Saied affinché la gestione dei migranti avvenga rispettando principi irrinunciabili. L’unica preoccupazione è quella di bloccare i flussi. Anche perché tutto lo sforzo di tentare una redistribuzione negli altri Paesi europei non ha funzionato, mentre sarebbe stata una valvola di sfogo per ridurre la pressione sui Paesi di primo approdo. Il mancato raggiungimento dell’obiettivo ha indotto ad accelerare, come accade con la Turchia, ossia a stringere accordi onerosi con i Paesi di transito per convincerli a collaborare nel contrasto all’immigrazione. Poi se questo accadrà è tutto da vedere, perché anche con la Libia sembrava di aver raggiunto chissà quale risultato, ma negli anni le partenze sono continuate.

L’accordo prevede da parte dell’Ue 150 milioni a sostegno del bilancio tunisino e 105 milioni come supporto al controllo delle frontiere, tra cui 50 milioni destinati ai rimpatri volontari di 6 mila migranti dalla Tunisia verso i loro Paesi di origine. Che ne pensate?
C’è da capire come verranno fatti i rimpatri, soprattutto se prevedranno delle forme di sostegno alle persone. Perché se non trovano il modo di dare una nuova direzione alla propria esistenza è evidente che tenteranno nuovamente la traversata. Ricordiamo poi che la Tunisia non è solo un Paese di transito, ma anche di partenza per tanti tunisini. È chiaro che l’attesa di un miliardo e 900 milioni da parte del Fondo monetario internazionale potrebbe costituire un disincentivo alle partenze. Adesso la situazione è di totale non controllo dell’economia, del lavoro, c’è tanta disoccupazione. Sono fattori che innescano prima degli altri la migrazione verso l’Europa. Poi in questa situazione di grande confusione prosperano le reti criminali, che in Tunisia si stanno rafforzando, con flussi mai visti prima. Con le primavere arabe c’erano stati 60mila tunisini in un anno, adesso sono circa 5 mila da inizio 2023. Sembrano pochi, ma è un dato significativo perché la prima nazionalità è la Costa d’Avorio con 9 mila presenze, la Tunisia è al sesto posto.

In questo modo si fa davvero la lotta ai trafficanti come viene spesso conclamato?
A mio avviso il tema non è l’incapacità del governo tunisino di controllare le proprie coste. Ma il fatto che si tratta di un Paese in difficoltà che non ha come priorità quella di bloccare i propri concittadini o gli africani sub sahariani, in questo periodo oggetto di forme di intolleranza. Il Memorandum per il governo tunisino è l’occasione per contrattare con l’Europa un aiuto economico su vasta scala con un impegno nelle migrazioni che magari poteva essere assunto comunque. Credo che il sistema di polizia tunisino sia in grado di controllare i trafficanti. Probabilmente dopo ci sarà un impegno maggiore che determinerà una riduzione dei flussi. Il problema è che se non cambiano le condizioni strutturali del Paese ci sarà comunque una tendenza alla partenza. Se in Tunisia non sarà possibile partire, si riprenderà massicciamente dalla rotta libica. Oramai è noto a tutti: non sono questi gli strumenti che bloccano. I migranti hanno un bisogno estremo di trovare una soluzione alla loro esistenza e quindi si sposteranno su altre rotte. Questa è la realtà purtroppo. Questi interventi un po’ tampone hanno una breve durata, che rimane comunque funzionale a scopi più di natura politica. Forse vedremo una riduzione nell’immediato, ma poi i flussi aumenteranno di nuovo. La cosa curiosa è che sembra che il destino si accanisca contro chi in campagna elettorale prospettava il blocco navale e cose del genere, invece questo governo si trova a gestire i numeri più alti degli ultimi anni. Questo dimostra che i vari strumenti adottati finora hanno un respiro molto corto. Noi avremmo voluto vedere invece un impegno vero da parte di altri Paesi europei, nel meccanismo di ricollocamento e nella modifica del Regolamento di Dublino.

Sui ricollocamenti nei Paesi Ue e sulla modifica del Regolamento di Dublino si è infatti a un punto morto…
Sì, l’ultimo tentativo fatto durante il Consiglio europeo ha portato a stralciare le conclusioni che prevedevano un meccanismo di redistribuzione obbligatoria perché alcuni Paesi si sono opposti. Questo memorandum è un po’ un alibi per coprire quel fallimento. Qualche risposta andava data ai flussi, ma era quella la più corretta e sostenibile dal punto di vista dei diritti umani.