Una giovane donna già segnata dalla sofferenza e dalle privazioni, con lo sguardo angosciato, perso nel vuoto. Con i figli piccoli che le si attaccano al collo in cerca di protezione. È una delle immagini più forti, più intense e più drammatiche del Ventesimo secolo. Di fatto, è una delle icone fotografiche del Novecento.
Siamo nel 1936, in California, durante la grande depressione e la siccità che mette in ginocchio i contadini degli Stati Uniti. L’autrice dello scatto è Dorothea Lange, riconosciuta come una delle protagoniste della fotografia del secolo scorso, maestra del reportage di impegno sociale.
Proprio a lei, infatti, è dedicata la nuova mostra da poco inaugurata al Museo diocesano «Carlo Maria Martini» di Milano, che vede l’esposizione di ben 140 stampe originali. Una nuova, attesa rassegna che ancora una volta conferma i Chiostri di Sant’Eustorgio come luogo d’elezione per l’arte fotografica (fino al prossimo 19 ottobre, tutte le informazioni su www.chiostrisanteustorgio.it).
Nata nel 1895 nel New Jersey da immigrati tedeschi, Dorothea studia fotografia a New York e, nonostante i postumi della poliomielite, intraprende appena ventenne un viaggio di formazione in giro per il mondo.
A San Francisco apre il suo studio fotografico, lavorando sia come ritrattista, arte in cui eccelle, ma anche con servizi a tema sociale. I suoi reportage in California sui disoccupati e sui senza tetto attira l’attenzione delle autorità federali, che le commissionano lavori di documentazione sulle fasce più disagiate della popolazione.
Sono gli anni, tra il 1935 e il 1939, in cui Dorothea Lange mostra per immagini le drammatiche condizioni di vita in cui versano molti contadini americani, soprattutto degli Stati centrali, colpiti da siccità e tempeste di sabbia. Storie che anche Steinbeck racconta nel celebre romanzo Furore, da cui il regista John Ford trarrà una toccante versione cinematografica, ispirata soprattutto alle fotografie della Lange.
Nel 1941, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, Dorothea documenta il conseguente internamento dei cittadini americani di origine nipponica, manifestando il suo dissenso per l’assurdità di un provvedimento razziale e discriminatorio.
Il dopoguerra vede impegnata Lange anche nella creazione di riviste e progetti editoriali, anche in collaborazione con altri colleghi. Muore a 70 anni, nel 1965, dopo un’intensa vita dedicata alla fotografia come arte e come testimonianza.
Per questo ancora oggi le sue splendide immagini sono così ammirate e amate. Perché in ogni scatto si percepisce il coinvolgimento personale, emotivo persino, di Dorothea Lange, nell’incontro con persone e realtà. Una visione umana, empatica e soprattutto etica che è un faro anche per i nostri giorni.




