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Discorso alla Città 2025

Sirio 3 - 7 dicembre 2025
Radio Marconi cultura
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Sant'Ambrogio

Discorso alla città: «Facciamoci avanti per riparare la “casa comune”»

Nel suo pronunciamento l'Arcivescovo denuncia le “crepe” che minano la stabilità della società (tra i giovani, nelle città, nel welfare, nella giustizia e nella finanza), ma rileva che essa non crolla per la responsabilità di tanti che, ciascuno nel proprio ambito, rifuggono da indifferenza e complicità

di Pino NARDI

5 Dicembre 2025
L'Arcivescovo mentre pronuncia il Discorso (foto Andrea Cherchi)

«L’impressione del crollo imminente della civiltà, della rovina disastrosa della città segna non raramente anche la storia di Milano. Possiamo anche oggi riconoscere segni preoccupanti e minacce di crollo e possiamo domandarci: veramente il declino della nostra civiltà è un destino segnato? Ci sarà una reazione, una volontà di aggiustare il mondo, un farsi avanti di uomini e donne capaci di sognare, di impegnarsi, di contribuire a una vita migliore per la casa comune?». Sono le domande che si pone monsignor Mario Delpini in apertura del Discorso alla città, pronunciato venerdì 5 dicembre nella Basilica di Sant’Ambrogio, alla presenza delle autorità civili, militari, agli esponenti del mondo economico e sociale di Milano e della Diocesi (qui il testo integrale).

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Ma essa non cadde. La casa comune, responsabilità condivisa è il titolo scelto dall’Arcivescovo per lanciare un monito alle coscienze, di fronte a tempi così difficili, ma anche per delineare un futuro di speranza grazie all’impegno quotidiano di tutti per il bene comune.

«Per Ambrogio – dice Delpini – ciò che caratterizza i cristiani è la fede, la decisione di porre Gesù, Figlio di Dio, come fondamento per una costruzione che non solo sappia resistere alle tempeste, ma possa anche trovare nuova vitalità, serenità, speranza. Rinnovo anch’io la mia professione di fede oggi, e condivido con tutti gli uomini e le donne di buona volontà la mia lettura delle minacce e delle ragioni della fiducia».

Le cinque minacce

Lucida l’analisi dell’Arcivescovo: indica cinque minacce «che insidiano la casa comune. Il rischio non è che ne venga un qualche danno che poi si potrà riparare. Il rischio è quello di essere tutti travolti da un crollo rovinoso che lascerà solo macerie. Il sistema nel suo complesso sembra minacciato di crollo».

Primo segnale: una generazione che non vuole diventare adulta per paura del futuro. «La crisi demografica è cronica e sembra irrimediabile», sottolinea, mettendo in rilievo la responsabilità educativa degli adulti: «La generazione adulta dovrebbe rendersi conto che con il suo stile di vita e con il tono dei suoi discorsi non trasmette ai giovani buone ragioni per desiderare di diventare adulti, di fare scelte definitive, di formare una famiglia e di avere figli».

La Basilica gremita (foto Andrea Cherchi)

Questo ha conseguenze sui più giovani, che in parte vivono un profondo disagio: «Accanto a ragazzi e ragazze che si impegnano per mettere a frutto le proprie doti per il bene di tutti, ci sono alcuni che purtroppo trasformano la paura della vita in minaccia e aggressione. Ci sono alcuni, a quanto sembra sempre più numerosi e sempre più giovani, che si isolano, si arrendono, si difendono a loro modo. Per alcuni la difesa è lo sballo, la ricerca di artificiosa eccitazione, di un anestetico per l’angoscia. Una sorta di evasione che sviluppa dipendenze da droghe, dal gioco, dall’alcol, dal sesso».

Secondo segnale: le città che non vogliono cittadini. Da tempo si sta discutendo di una Milano fatta a misura di chi può permettersela. A partire dall’esorbitante costo delle abitazioni: «Chi cerca casa in città si vede chiudere la porta in faccia. Sembra che la città non voglia cittadini. Si usano le case per fare soldi, invece che per ospitare persone. Forse poi i cittadini rimasti si lamenteranno per la mancanza di operai, di infermieri, di insegnanti, di camerieri, di tranvieri…».

Terzo segnale: un sistema di welfare in declino. Si diffonde infatti la paura di essere malati. Dice Delpini: «Sono in molti a denunciare le crepe preoccupanti del sistema sanitario, dell’organizzazione della sanità, del dovere di assicurare il diritto alla salute». «Certamente non si può tacere il merito di persone e istituzioni sanitarie che assicurano prestazioni di eccellenza», tuttavia «preoccupano le liste di attesa, la dilatazione insopportabile dei tempi, il privilegio accordato a chi ricorre alla sanità privata a pagamento. Sono tutti aspetti inquietanti. Il privato profit fa della salute un affare. Il privato non profit in ambito socio-sanitario si sente spesso ignorato e perfino mortificato. Gli ospedali pubblici e le loro eccellenze rischiano di essere screditati».

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Quarto segnale: l’intollerabile situazione delle carceri e la repressione come unica soluzione. È un tema da sempre all’attenzione dell’Arcivescovo. «La Costituzione della Repubblica italiana è tradita per le pessime condizioni dei carcerati e per la formazione e il trattamento del personale della Polizia penitenziaria; per la sempre maggiore recrudescenza delle norme; per la scarsissima accessibilità dei percorsi di reinserimento sociale dei condannati».

Forte la denuncia: «Le condizioni di squallore, di degrado e di violenza non facilitano il riconoscimento del male compiuto. Piuttosto suscitano rabbia, risentimento, umiliazioni. Si può prevedere che persone così maltrattate in carcere saranno persone più pericolose fuori dal carcere… hanno imparato a odiare le istituzioni piuttosto che prendersi la responsabilità di essere cittadini onesti».

Di fronte all’annosa emergenza del sovraffollamento, che provoca «condizioni di detenzione insostenibili», il rimedio «non può essere soltanto l’incremento della spesa di denaro pubblico per costruire altre prigioni. Quando una società fa sì che la detenzione sia il modo più ovvio (e sbrigativo) per sanzionare reati, significa che non è realmente capace o impegnata a prevenire i reati, a favorire la riparazione dei danni e a creare le condizioni per riportare le persone alla legalità».

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Un capitolo particolarmente doloroso è rappresentato dalle «condizioni di detenzione insostenibili per la condanna al carcere di persone segnate da malattie psichiatriche che invece di essere curate diventano presenze incontrollabili, pericolose per gli altri e spesso indotte a forme di autolesionismo e anche al suicidio».

Quinto segnale: il capitalismo a servizio dell’individualismo e l’indifferenza verso l’altro. Durissima la sua denuncia di un sistema economico indirizzato solo alla logica del profitto, spesso inquinato: «Nella capitale finanziaria – come viene definita Milano – si riconoscono i peccati capitali della finanza, intesa come l’astuzia di far soldi con i soldi. Il capitalismo malato è a servizio dell’individualismo e ignora la funzione sociale e la responsabilità morale della finanza. La città diventa appetibile per chi ha molto denaro da investire. Nel mondo in guerra, nel mondo ingiusto, nel mondo del lusso incontrollato le risorse finanziarie nel sistema creditizio sono impegnate in modo scriteriato per rendere più drammatica l’inequità che arricchisce i ricchi e deruba i poveri».

Milano deve alzare le antenne per intercettare e colpire anche le connivenze che permettono una presenza pervasiva di capitali mafiosi, che inquinano l’economia: «La città diventa appetibile per chi ha molto denaro da riciclare. Il denaro sporco, con il suo fetore di morte, invade la città grazie a persone contagiate dall’indifferenza, dalla paura o dall’avidità e propizia il diffondersi di virus pericolosi per l’economia della gente onesta».

Panoramica dell’altare durante il pronunciamento (foto Andrea Cherchi)

Perché la casa non cade

Se queste sono le minacce, l’Arcivescovo rilancia la necessità di un impegno personale e comunitario di tutte le persone di buona volontà, a partire dai cristiani: «Io mi faccio avanti».

«Di fronte alle crepe che minacciano la stabilità della casa comune, si fanno avanti quelli che dichiarano di voler mettere mano all’impresa di aggiustare il mondo; coloro che riconoscono nella fede cristiana un fondamento necessario per la speranza e una motivazione decisiva per l’impegno; coloro che sono animati da una passione per il bene comune e avvertono la vocazione alla solidarietà come fattore irrinunciabile per la loro coscienza; coloro che custodiscono principi di giustizia, pensieri di saggezza, consapevolezza delle proprie responsabilità, e che non sarebbero in pace con sé stessi se si accomodassero nell’indifferenza».

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L’Arcivescovo li immagina così.

Innanzitutto una coppia di sposi: «Noi ci facciamo avanti. Avvertiamo la forza e la bellezza del nostro amore. Noi non saremo complici dell’infelicità dei nostri figli: scegliamo la via della riconciliazione e del perdono anche quando litighiamo. L’amore sopporta sacrifici, drammi e cadute per continuare a essere famiglia, luogo di accoglienza, crescita paziente».

Una giovane sindaco del paese: «Non starò in un angolo tranquillo ad assistere al declino del mio paese. Mi faccio avanti e assumo la responsabilità del bene comune, di gestire le risorse per favorire il vivere insieme, per curare i rapporti e il sostegno alle fasce deboli. Mi faccio carico di una gestione onesta, disinteressata, lungimirante delle risorse a disposizione. Mi faccio carico di valorizzare tutte le espressioni della società civile e sono allergica al protagonismo e all’esibizionismo».

L’educatore, il prete, l’insegnante: «Mi assumo la responsabilità di offrire alle giovani generazioni le buone ragioni per diventare adulti fiduciosi e generosi; di essere testimone di speranza. Di fronte alle fragilità dei ragazzi, alla tentazione di farsi coraggio con stupefacenti e mondi virtuali violenti e volgari, cercherò di non essere l’adulto accondiscendente che accontenta i capricci, ma l’educatore responsabile che accompagna a vivere la vita come vocazione al bene e alla felicità e incoraggia a pagare il prezzo della responsabilità di mettere a frutto i propri talenti».

Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (foto Andrea Cherchi)

La responsabile del carcere: «Mi assumo la responsabilità di applicare la Costituzione della Repubblica, i regolamenti del carcere nella loro intenzione di recupero e reinserimento e anche i rilievi dell’Europa. Chi ha commesso un danno verso la società o verso le persone deve essere impegnato a riparare, non a fare ulteriori danni. Non ho mai visto che un trattamento più duro renda migliori le persone o dissuada qualcuno dal commettere reati».

E ancora i professionisti (commercialista, notaio, avvocato…): «Io non sarò complice della rovina della casa comune. Mi assumo la responsabilità di essere onesto e di non aprire la porta del mio studio al denaro disonesto. Non mi lascio incantare dall’illusione del denaro facile, perché so che è denaro maledetto, frutto di corruzione e di trasgressione delle leggi. Non sono ingenuo e non mi lascio trascinare nelle zone grigie dove le responsabilità si confondono e le procedure complicate rendono inafferrabili le operazioni finanziarie e irriconoscibili i delitti».

Le forze dell’ordine (carabiniere, poliziotto, finanziere…): «Ho segnato il mio impegno con un giuramento e lo onorerò. Il mio servizio all’ordine pubblico, la mia vigilanza per il rispetto della legalità, la mia prossimità ai cittadini saranno espressi con una onestà affidabile. Non mi lascio convincere da chi vuole corrompermi. Non mi lascio impressionare dai delinquenti educati, in giacca e cravatta. Non manco di rispetto verso chi è vestito male, verso chi parla male l’italiano, verso chi non conosce le regole del convivere perché nessuno gliele spiega».

Il governatore della Lombardia Attilio Fontana (foto Andrea Cherchi)

L’imprenditore: «Sono consapevole che la mia azienda, la mia attività comporta una responsabilità sociale. Il mio benessere e quello dei miei collaboratori dipendono dalla qualità del lavoro e dalla lungimiranza delle mie strategie. Dare lavoro e produrre eccellenza: ecco il mio programma. Resisto alla tentazione dell’avidità, di investire soldi in operazioni finanziarie allo scopo di fare soldi con i soldi».

Non può mancare il politico: «Io non sarò complice della rovina della casa. Sono stato eletto e non voglio deludere la fiducia degli elettori. So che la casa sta in piedi perché la politica si cura dell’insieme con competenza e lungimiranza. Gli interessi di parte, la tentazione di badare all’immediato e al favore popolare piuttosto che al bene del Paese sono sempre in agguato. Avverto che la nostra politica deve avere un respiro europeo e un’anima alimentata da principi di sussidiarietà e solidarietà. L’umanesimo europeo, la centralità della persona, il valore della famiglia, l’attenzione ai fragili, il rispetto dell’ambiente e della libertà ispirano il mio impegno».

Un giovane che dice: «Mi faccio avanti io, con i miei vent’anni di speranza e di energia: ho delle idee e dei sogni per immaginare il futuro nell’inedito e nel sorprendente. Mi riempiono la giornata la cura e il rispetto per l’ambiente, l’impegno per la pace e la giustizia, la solidarietà con i poveri, la creatività per mettere la tecnologia al servizio delle persone e del bene comune».

E in ultimo il cittadino comune, insomma tutti: «Provo fastidio quando respiro quel clima deprimente che prende la parola per lamentarsi, per accusare, per screditare persone e istituzioni. Cerco di fare il mio dovere di cittadino, onesto sul lavoro, affidabile in famiglia. Pago le tasse e so che quello che è dovuto è necessario per una città e un paese ben organizzati, per rendere accessibili a tutti i servizi necessari. Per questo sono sdegnato per gli sperperi del denaro pubblico e la corruzione».

 

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Nella Basilica intitolata al Patrono venerdì 5 dicembre l'Arcivescovo rivolge la sua riflessione dal titolo «Ma essa non cadde. La casa comune, responsabilità condivisa». Domenica 7 presiede il Pontificale. Lunedì 8 il Pontificale dell’Immacolata presieduto dall’abate Faccendini