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MARIO DELPINI

«Ma essa non cadde»

La casa comune, responsabilità condivisa (testo integrale del Discorso)

5 Dicembre 2025

Discorso alla Città – Basilica di Sant’Ambrogio

© ITL libri – riproduzione riservata

 
 

INTRODUZIONE

1 – MINACCE DI CROLLO

2 – IO MI FACCIO AVANTI

3 – LA CASA NON CADE

 

 

 

INTRODUZIONE

 

«Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande». (Vangelo secondo Matteo 7,24-27)

«Ambrogio, come in genere i cristiani dei primi secoli, è criticato e contestato dalla antica tradizione pagana, impersonata per esempio da Simmaco, membro del Senato di Roma e, per altro, familiare di Ambrogio. L’accusa ad Ambrogio è che siano i cristiani la causa del declino dell’Impero e di tutti i disastri, perché non onorano le divinità e non praticano i riti che hanno fatto grande Roma.

Ambrogio rilegge la storia della grandezza romana: “Caso mai, precisava il vescovo laicamente interpretando i fatti, Roma fu salvata non da quei riti falsi e inefficaci ma dal valore di Camillo, dal sacrificio di Attilio Regolo, dall’eroismo di Scipione l’Africano”. Venendo al suo tempo Ambrogio sostiene che l’Impero Romano non crollerà, non per l’attaccamento a tradizioni morte, ma per le virtù dei suoi cittadini. Del resto, ricorda Ambrogio, “tutto progredisce cambiando in meglio” e “rinunciare all’errore non è segno di un vizio, ma di un progresso”. Infatti, “ogni sapiente è libero e ogni stolto invece è schiavo” e “cade in rovina” (cfr. Lettera 73, 23; Commento al salmo 118, XXII, 2; Lettera 7, 4) perché per Ambrogio il progresso si ha aderendo alla fede e lasciando il culto romano antico, come i cristiani hanno appunto fatto; la libertà poi è quella del virtuoso, mentre lo stolto è bloccato e impaurito dalle conseguenze del suo peccato.

Ambrogio vive in un tempo in cui sconfitte clamorose, violenze fratricide entro la famiglia imperiale e nello scontro con usurpatori diffondono segnali di allarme, con la percezione dell’imminente crollo dell’Impero Romano. Di fatto poi l’Impero continuò ad essere potente, ricco, e anche aggressivo e corrotto. Una lezione si può certo raccogliere: Roma sopravvive perché ci sono cittadini onesti disposti al sacrificio, Roma è minacciata dalla corruzione di cittadini disonesti e incompetenti» (cfr. C. Pasini, Ambrogio di Milano, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, pp. 99-100).

L’impressione del crollo imminente di una civiltà, della rovina disastrosa di una città segna non raramente anche la storia di Milano. Possiamo riconoscere segni preoccupanti e minacce di crollo e possiamo domandarci: veramente il declino della nostra civiltà è un destino segnato? Ci sarà una ripresa di gusto per costruire, una volontà di aggiustare il mondo, un farsi avanti di uomini e donne capaci e desiderosi di sognare, di operare, di contribuire a una vita migliore per la casa comune?

Per Ambrogio ciò che caratterizza i cristiani è proprio la decisione di porre Gesù, Figlio di Dio e Signore del cielo e della terra, come fondamento per una costruzione che non solo sappia resistere alle tempeste ma possa anche trovare nuova vitalità, serenità, speranza.

Rinnovo anch’io la mia professione di fede e condivido con tutti gli uomini e le donne di buona volontà la mia lettura delle minacce e delle ragioni della fiducia.

 

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1 – MINACCE DI CROLLO

Ci sono minacce che insidiano la casa comune. Il rischio non è che ne venga un qualche danno che poi si possa riparare, ma di essere tutti travolti da un crollo rovinoso che lascia solo macerie. Il sistema nel suo complesso sembra minacciato di crollo: non intendo fare diagnosi ma, senza pretesa di completezza, solo rilevare i segnali che più mi impressionano.

 

Una generazione che non vuole diventare adulta: la paura del futuro

Si raccolgono segnali allarmanti sul futuro di paesi e città che sembrano destinati al declino per il ridursi del numero degli abitanti e l’innalzarsi dell’età. La crisi demografica è cronica e sembra irrimediabile. In qualche caso la preoccupazione più sentita riguarda il proprio benessere: «Chi lavorerà per pagare la mia pensione?».

Dobbiamo forse riconoscere che non siamo stati bravi maestri.

La generazione adulta deve riconoscere che nello stile di vita e nel tono dei discorsi non trasmette ai giovani buone ragioni per desiderare di diventare adulti, di fare scelte definitive, di formare una famiglia e di avere figli.

Non si può generalizzare, né colpevolizzare. È però necessario riflettere, confrontarsi, pregare, cercare insieme vie da percorrere per dare storia a molte buone intenzioni presenti presso uomini e donne di ogni età, per mettere a frutto risorse meravigliose e potenzialità promettenti.

Vedo panico, rabbia, fuga, violenza, solitudine.

La mancanza di speranza e di motivazioni genera sfiducia e smarrimento; il volontaristico elenco dei “si deve”, “dovresti” insinua nei giovani la persuasione di non essere all’altezza delle aspettative degli adulti e in sostanza di essere inadatti alla vita.

Perciò, accanto a ragazzi e ragazze che affrontano con serietà la vita e mettono a frutto le loro doti per la propria gioia di vivere e per il bene di tutti, ci sono alcuni che trasformano la paura della vita in minaccia e aggressione. Ci sono alcuni, a quanto sembra sempre più numerosi e di età sempre più bassa, che si isolano, si arrendono.

Per alcuni la difesa è lo sballo, la ricerca di artificiosa eccitazione, un anestetico per l’angoscia, una sorta di evasione che sviluppa dipendenze da droghe, dal gioco, dall’alcol, dal sesso.

Il fenomeno ha proporzioni drammatiche e troppe persone e istituzioni non ne sono adeguatamente consapevoli. E ci sono genitori, insegnanti, educatori che sono angosciati per la loro impotenza di fronte a giovani che non si sa come aiutare.

 

Città che non vogliono cittadini

Chi cerca casa in città si vede chiudere le porte in faccia. Chi cerca casa non di rado si trova davanti persone (o agenzie) senz’anima e senza scrupoli: «Non hai abbastanza soldi, né credito»; «Non sei abbastanza italiano»; «Non voglio fastidi, preferisco lasciare la casa vuota»; «Dare casa a te e alla tua famiglia mi rende meno che utilizzare gli spazi per affitti brevi».

Sembra che la città non voglia cittadini. Si usano le case per fare soldi, invece che per ospitare persone.

Forse poi i cittadini rimasti si lamenteranno per la mancanza di operai, infermieri, insegnanti, camerieri, tranvieri…

 

Un sistema di welfare in declino: la paura di essere malati

Sono in molti a denunciare le crepe preoccupanti del sistema sanitario, dell’organizzazione della sanità, del dovere di assicurare il diritto alla salute.

Certamente non si può tacere il merito di persone e istituzioni sanitarie che assicurano prestazioni di eccellenza. Non è raro incontrare chi confida gratitudine e sorpresa per l’attenzione ricevuta, per la competenza sperimentata, per la sollecitudine personalizzata. Né si deve ignorare che talora la paura di essere ammalati e la pretesa di essere guariti esercitano una pressione sul personale sanitario che giunge fino alla violenza.

E tuttavia le liste di attesa, la dilatazione insopportabile dei tempi, il privilegio accordato a chi ricorre alla sanità privata a pagamento sono aspetti inquietanti. Il privato profit fa della salute un affare. Il privato non profit in ambito socio-sanitario si sente spesso ignorato e mortificato. Gli ospedali pubblici e le loro eccellenze rischiano di essere screditati.

L’imposizione di protocolli caratterizzati dall’eccessivo affidamento alla tecnica della cura rischia di rimuovere il “prendersi cura” e il farsi carico.

L’indebita identificazione tra “curare” e “guarire” fa sì che ci si dimentichi di prendersi cura di chi non guarisce, e non rende adeguatamente accessibili a tutti le cure palliative.

Ci sono proposte di riforma, orientamenti a una diversa organizzazione, preoccupazioni per la formazione di medici che uniscano la competenza scientifica e tecnologica alla sollecitudine per le persone.

 

L’intollerabile situazione delle carceri: la repressione come unica strada

La situazione delle carceri del nostro territorio è intollerabile per fattori cronici, per le condizioni attuali dei carcerati e del personale e per il degrado strutturale dei penitenziari.

La Costituzione della Repubblica italiana è tradita nelle reali condizioni dei carcerati, nella formazione e trattamento del personale della Polizia penitenziaria. La Costituzione è smentita dall’accanimento progressivamente repressivo delle indicazioni normative. Sono impraticabili percorsi accessibili a tutti per il reinserimento dei colpevoli di reati nella convivenza sociale. Le condizioni di squallore, di degrado e di violenza non facilitano il riconoscimento del male compiuto. Piuttosto suscitano rabbia, risentimento, umiliazioni. Si può prevedere che persone così maltrattate in carcere saranno persone più pericolose fuori dal carcere: hanno imparato a odiare le istituzioni piuttosto che ad assumere la responsabilità di essere cittadini onesti.

Le condizioni di detenzione sono insostenibili per il sovraffollamento. Il rimedio al sovraffollamento non potrà essere l’incremento della spesa di denaro pubblico per costruire altre prigioni. Una società che funziona in modo che la detenzione sia il modo più ovvio, condiviso e sbrigativo per sanzionare reati si rivela incapace di prevenire i reati, di esigere la riparazione dei danni e di porre le condizioni per recuperare persone alla legalità.

Le condizioni di detenzione sono insostenibili per la condanna al carcere di persone segnate da malattie psichiatriche che invece di essere curate diventano presenze incontrollabili, pericolose per gli altri e spesso indotte a forme di autolesionismo e al suicidio.

L’orientamento di una mentalità repressiva che cerca la vendetta piuttosto che il recupero, che si difende con indifferenza e ignoranza, segnala una crepa pericolosa nella casa comune.

 

Il capitalismo a servizio dell’individualismo: l’indifferenza verso l’altro

Nella capitale della finanza – come viene definita Milano – si riconoscono i peccati capitali della finanza, intesa come l’astuzia di far soldi con i soldi. Il capitalismo malato è a servizio dell’individualismo e ignora la funzione sociale e la responsabilità morale della finanza.

La città diventa appetibile per chi ha molto denaro da investire. Nel mondo in guerra, nel mondo ingiusto, nel mondo del lusso incontrollato le risorse finanziarie del sistema creditizio sono impegnate in modo scriteriato per rendere più drammatica l’inequità che arricchisce i ricchi e deruba i poveri.

La città diventa appetibile per chi ha molto denaro da riciclare. Il denaro sporco, con il suo fetore di morte, invade la città grazie a persone contagiate dall’indifferenza o dalla paura o dalla avidità e propizia il diffondersi di virus pericolosi per l’economia della gente onesta.

La città, o meglio la ricchezza disonesta accumulata in città, deruba i poveri della loro dignità, non si cura dei senza tetto, delle famiglie impoverite, di chi lavora in nero, di chi è sfruttato e umiliato, di chi perde il lavoro o la casa, di chi la casa non l’ha mai avuta.

 

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2 – IO MI FACCIO AVANTI

Di fronte alle crepe che minacciano la stabilità della casa comune, si fanno avanti quelli che dichiarano di voler mettere mano all’impresa di aggiustare il mondo.

Si fanno avanti coloro che riconoscono nella fede cristiana un fondamento necessario per la speranza e una motivazione decisiva per l’impegno.

Si fanno avanti coloro che sono animati da una passione per il bene comune e avvertono la vocazione alla solidarietà come fattore irrinunciabile per la loro coscienza.

Si fanno avanti coloro che custodiscono principi di giustizia, pensieri di saggezza, consapevolezza delle proprie responsabilità, e che non sarebbero in pace con se stessi se si accomodassero nell’indifferenza.

Si fanno avanti: non sono perfetti, non si ritengono superiori. Ma si fanno avanti ogni mattina. Non fanno grandi discorsi, ma io credo di poterne indovinare l’animo.

 

Si fa avanti una coppia di sposi

Noi ci facciamo avanti, noi ci prenderemo cura della casa comune e del suo futuro. Noi avvertiamo la forza e la bellezza del nostro amore. La vita è così bella, se vissuta in un rapporto d’amore, che siamo contenti dei nostri tre figli. Preferiamo vivere in cinque in tre stanze che pensare di vivere in cinque stanze una vecchiaia triste e solitaria. Rinunciamo a molte cose, ma non a vivere, a dare vita.

Noi non saremo complici dell’infelicità dei nostri figli: percorriamo le vie della riconciliazione e del perdono anche quando litighiamo. L’amore sopporta sacrifici, drammi e cadute per continuare a essere famiglia, luogo di accoglienza, crescita paziente.

Ecco, noi ci facciamo avanti. Noi non saremo complici.

 

Si fa avanti la giovane donna, sindaco del paese

Io mi faccio avanti, non starò in un angolo tranquillo ad assistere al declino del mio paese. Mi faccio avanti e assumo la responsabilità del bene comune, di gestire le risorse per favorire il vivere insieme, per curare i rapporti e il sostegno alle fasce deboli. Mi faccio carico di una gestione onesta, disinteressata, lungimirante delle risorse a disposizione. Mi faccio carico di valorizzare il contributo di tutte le espressioni della società civile e sono allergica al protagonismo e all’esibizionismo.

Io mi faccio avanti.

 

Si fa avanti l’educatore: il prete, l’insegnante, l’educatore professionale

Mi faccio avanti e mi assumo la responsabilità di offrire alla generazione giovanile le buone ragioni per diventare adulti fiduciosi e generosi. Mi assumo la responsabilità di essere testimone di speranza, perché io stesso, con tutte le mie incertezze e inquietudini, sono però uomo/donna di speranza.

Di fronte alle fragilità dei ragazzi, alla tentazione di farsi coraggio con stupefacenti e mondi virtuali violenti e volgari, io non mi accontenterò di esibire i danni delle droghe ma offrirò le buone ragioni per non drogarsi. Cercherò perciò di non essere l’adulto accondiscendente che accontenta i capricci, ma l’educatore responsabile che accompagna a vivere la vita come vocazione al bene e alla felicità e incoraggia a pagare il prezzo della responsabilità di mettere a frutto i propri talenti.

Mi faccio avanti, non per consegnare nozioni e regole, ma per dare testimonianza della mia stima per i ragazzi e le ragazze. Darò testimonianza della necessità di pregare, di ascoltare e farsi ascoltare, di esprimere affetti e rispetto, di praticare una disciplina delle relazioni, del tempo, delle parole.

Mi impegnerò a insegnare l’italiano agli stranieri perché diventino una risorsa per la società e non un problema.

La casa non crollerà, perché le nuove generazioni si fanno avanti per scrivere una storia nuova.

 

Si fa avanti la responsabile del carcere

Io mi faccio avanti. Mi assumo la responsabilità di applicare la Costituzione della Repubblica, i regolamenti del carcere nella loro intenzione di recupero e reinserimento, i rilievi dell’Europa. Mi farò carico di affrontare il problema drammatico del sovraffollamento non chiedendo la costruzione di altre carceri, ma riducendo il numero dei carcerati. In carcere non devono essere detenuti i malati. In carcere non devono restare inoperosi quelli che possono lavorare.

Chi ha commesso un danno verso la società o verso le persone deve essere impegnato a riparare, non a fare ulteriori danni. Non ho mai visto che un trattamento più duro renda migliori le persone o dissuada qualcuno dal commettere reati.

Voglio offrire ragioni e percorsi per diventare onesti, piuttosto che esasperare gli animi, fare andare fuori di testa i fragili e i malati. Non sarò complice.

 

Si fanno avanti la commercialista, il notaio, l’avvocato…

Io non sarò complice della rovina della casa comune. Mi assumo la responsabilità di essere onesto e di non aprire la porta del mio studio al denaro disonesto. Non mi lascio incantare dall’illusione del denaro facile, perché so che è denaro maledetto, frutto di corruzione dei giovani e di trasgressione delle leggi: è denaro maledetto e non voglio essere contagiato dalla maledizione.

Non sono ingenuo e non mi lascio trascinare nelle zone grigie dove le responsabilità si confondono e le procedure complicate rendono inafferrabili le operazioni finanziarie e irriconoscibili i delitti. Non consiglierò a imprenditori indebitati di avventurarsi in percorsi disastrosi per la propria azienda, la propria famiglia e la propria libertà.

Io non sarò complice.

 

Si fanno avanti il carabiniere, il poliziotto, il finanziere

Mi faccio avanti: ho segnato il mio impegno con un giuramento e lo onorerò. Il mio servizio all’ordine pubblico, la mia vigilanza per il rispetto della legalità, la mia prossimità ai cittadini saranno espressi con una onestà affidabile.

Non mi lascio convincere da chi vuole corrompermi. Le provocazioni non mi inducono a reagire con violenza. La conoscenza delle persone e delle situazioni mi ispira equilibrio negli interventi, mi tiene lontano da inutili rigidità o da ingenue tolleranze. Non mi lascio impressionare dai delinquenti educati, in giacca e cravatta. Non manco di rispetto verso chi è vestito male, parla male l’italiano, non conosce le regole del convivere perché nessuno gliele spiega e nessuno lo aiuta a imparare a essere una presenza costruttiva.

Svolgo il mio compito con sacrificio, se è necessario, anche se altre professioni sono più prestigiose e meglio retribuite. So che mi espongo talora al pericolo, non voglio essere un temerario. Sono una persona seria che sente la responsabilità della famiglia, del bene comune e ho la fierezza di servire lo Stato e le persone. Lo spirito di corpo e la mia coscienza mi danno coraggio e sapienza a servizio del bene comune perché le fondamenta della casa siano salde e non crolli la casa comune.

 

Si fa avanti l’imprenditore, l’imprenditrice

Mi faccio avanti. Sono consapevole che la mia azienda, la mia attività comporta una responsabilità sociale. Ci sono famiglie che vivono del lavoro che si fa in azienda. Io vivo del lavoro dell’azienda. Il mio benessere e quello dei miei collaboratori dipendono dalla qualità del lavoro e dalla lungimiranza delle strategie. Dare lavoro e produrre eccellenza: ecco il mio programma. Anche per persone con disabilità è importante il lavoro e stare con gli altri in azienda: non rinuncio a programmare percorsi che consentano la pratica di una competenza e la fierezza di uno stipendio.

Il bene della mia azienda e di quelli che vi lavorano mi impegna a stare attento per non sbagliare: se finisco fuori mercato, un patrimonio di competenze e di organizzazione va in rovina. Resisto alla tentazione dell’avidità e di liberarmi dai fastidi (e dalla fierezza) d’essere un imprenditore per investire soldi in operazioni finanziarie allo scopo di fare soldi con i soldi. Resisto all’esasperazione della burocrazia nemica dell’intraprendenza e della rapidità che fanno bene all’azienda, perché è troppo importante che l’azienda continui a essere viva e a mettere sul mercato i prodotti di cui siamo fieri, quel made in Italy che il mondo ci invidia.

 

Si fa avanti il politico

Io non sarò complice della rovina della casa. Sono stato eletto e non voglio deludere la fiducia degli elettori. Avverto la responsabilità di costruirmi anche competenze che non ho, perché la realtà è così complessa e i pareri così diversi che discernere il bene comune è impresa ardua.

So che la casa sta in piedi perché la politica si cura dell’insieme con competenza e lungimiranza. Gli interessi di parte, la tentazione di badare all’immediato e al favore popolare piuttosto che al bene del Paese sono sempre in agguato. L’appartenenza a un partito rischia di delegare la responsabilità di pensare e progettare a quei pochi che contano: io mi impegno per favorire il confronto, per approfondire le problematiche, per semplificare la vita della gente. Avverto che la nostra politica deve avere un respiro europeo e un’anima alimentata da principi di sussidiarietà e solidarietà. L’umanesimo europeo, la centralità della persona, il valore della famiglia, l’attenzione ai fragili, il rispetto dell’ambiente e della libertà ispirano il mio impegno.

Resto mortificato dal discredito che – mi pare – circonda la categoria dei politici. Non credo che sia necessario un discorso per difendersi. Piuttosto è necessario procedere per una politica intelligente, realistica, ispirata da una visione affascinante, coraggiosa, praticabile del Paese, dell’Europa e del suo futuro.

 

Si fa avanti un giovane, una giovane

Mi faccio avanti io, con i miei vent’anni di speranza e di energia. Mi sento denigrato dalle statistiche e dai giudizi universali che descrivono noi giovani come un problema inquietante, come persone immature da accudire o come una presenza irrilevante. Io mi faccio avanti: ho delle idee e dei sogni per immaginare il futuro nell’inedito e nel sorprendente. Coltivo il desiderio e il proposito di contribuire a dare futuro e bellezza alla casa comune. Mi riempiono la giornata la cura e il rispetto per l’ambiente, l’impegno per la pace e la giustizia, la solidarietà con i poveri, la creatività per mettere la tecnologia al servizio delle persone e del bene comune. Non sarò disponibile a replicare il passato. Non contate su di me per tenere in piedi ingombranti anacronismi. Ma per uno scopo comprensibile, per un sogno condiviso, per una promessa di pace e di bene per tutti, io mi faccio avanti.

 

Si fa avanti il cittadino comune

Mi faccio avanti, io, il cittadino comune. Io non voglio essere complice della caduta della casa, perché la casa comune è anche la mia casa. Se anche constato il disagio esistenziale, economico e culturale dell’oggi, mi chiedo: ma io che cosa posso fare? Io recupero la prospettiva culturale, che fa riemergere le dinamiche dello spirito, confessa che occorre partire da sé, prima che dagli altri.

Ogni giorno cerco di fare il mio dovere, in casa, sul lavoro, nella società. Provo fastidio quando respiro quel clima deprimente che prende la parola per lamentarsi, per accusare, per screditare persone e istituzioni. Cerco di fare il mio dovere di cittadino, onesto sul lavoro, affidabile in famiglia. Sento responsabilità per il mondo in cui abito. Sono convinto che la città è sicura, il paese è sicuro se i cittadini comuni come me l’abitano con senso di responsabilità senza chiudersi in un privato rassicurante e indifferente a quello che si muove intorno.

Mi fido delle forze dell’ordine e mi sento in dovere di denunciare il malaffare, la presenza di spacciatori e di traffici illeciti. Pago le tasse e so che quello che è dovuto è necessario per una città e un paese ben organizzati, per rendere accessibili a tutti i servizi necessari. Per questo sono sdegnato per gli sperperi del denaro pubblico e la corruzione.

Sono contento di abitare in una terra bella, sicura, sana: perciò reagisco al degrado, al vandalismo, ai disastri ambientali e alla superficialità che trascura la manutenzione necessaria per acque, vegetazione, montagne e mette a rischio persone e animali che vi abitano. Non sono perfetto e non sono ineccepibile, ma questo non mi impedisce di essere critico verso quello che non funziona: non per screditare, ma per esigere il rispetto e la cura del bene comune.

 

 

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3 – LA CASA NON CADE

La casa non cade perché ci sono persone che si fanno avanti per aggiustarla e renderla abitabile.

Il Signore Gesù ha pronunciato la parola sulla quale si può costruire la casa che non teme i venti tempestosi, neppure i venti di questo nostro tempo. Il Signore Gesù è lui stesso la pietra angolare: «Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa» (1Cor 3,11-14).

Io credo che sia proprio opera di Dio quell’invincibile desiderio di bene, quel senso di responsabilità, quella disponibilità ad affrontare anche fatiche e sacrifici che convince molti a farsi avanti, a farsi avanti per camminare insieme, a farsi avanti per assumere responsabilità.

La responsabilità personale è il fascino e il rischio della democrazia, della vita in questa terra che amiamo, della continuità di una civiltà di cui siamo fieri.

Nel nostro contesto culturale contemporaneo, detto post-moderno, chi assume responsabilità avverte di essere circondato da uno scetticismo che si esprime in vari modi: l’afasia sul senso della vita, la convinzione della inutilità di ogni condivisa fiducia, la professione di agnosticismo come sintomo di intelligenza. Ma la casa non cade perché ci siete voi, responsabili delle istituzioni, sindaci, forze dell’ordine, magistrati, imprenditori, medici, educatori, donne e uomini, anziani, adulti e giovani, voi tutti che vi fate avanti ogni giorno e mettete mano all’impresa di aggiustare il mondo.

La casa non cade perché ci siete voi, convinti che vale la pena di considerare la vita come vocazione a servire, piuttosto che come pretesa di essere serviti. Non cade perché ci siete voi, uomini e donne pensosi, appassionati al cammino dell’umanità e al destino di questa città e di questa terra, fiduciosi nelle risorse delle persone oneste. Ci siete voi, fieri di fare il bene, che trovate insopportabile il malaffare e l’indifferenza, l’egoismo e la rassegnazione.

Ci siete voi, uomini e donne di fede che sapete pregare per non cadere in tentazione.

Ci siete voi, uomini e donne di ogni credo e di ogni appartenenza che sapete percorrere con tenacia e perseveranza le vie del bene.

Ci siete voi, uomini e donne abitati dalla gioia di essere vivi, di essere insieme, di essere in cammino verso il desiderabile futuro.

Ci siete voi. E io vi ringrazio.

 

© ITL libri – riproduzione riservata

 

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