Da Vatican News
«Vi incoraggio a coltivare un atteggiamento spirituale di fiduciosa speranza, fondata sulla fede e sull’unione con Dio. C’è bisogno, infatti, di testimoniare con gioia il Vangelo e di guardare con speranza al futuro». Alla Chiesa che vive Turchia, che sebbene «piccola Comunità» «resta feconda» come «lievito del Regno», Leone XIV chiede di «coltivare il seme della fede» trasmesso «da Abramo, dagli Apostoli e dai Padri», di «adottare» uno «sguardo evangelico, illuminato dallo Spirito Santo», di «riconoscere» i «segni» della speranza o esprimerli «in maniera creativa, perseverando nella fede e nella testimonianza».
La incontra, per un momento di preghiera, nella cattedrale dello Spirito Santo di Istanbul, dove si sono radunati vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati, consacrate e operatori pastorali. Gli rivolge il saluto il presidente della Conferenza episcopale turca, monsignor Martin Kmetec, arcivescovo di Izmir, che gli manifesta il desiderio di clero e laici di «rimanere testimoni fedeli di una fede viva e operante, radicati in Cristo e nel suo insegnamento».
Le radici della fede cristiana
Il Pontefice manifesta la gioia di trovarsi tra i diversi rappresentanti della Chiesa, nei luoghi in cui «la storia del popolo di Israele si incontra col cristianesimo nascente, l’Antico e il Nuovo Testamento si abbracciano, si scrivono le pagine di numerosi Concili». Ricorda il «cammino» di Abramo verso la Terra promessa, «da Ur dei Caldei e poi, dalla regione di Carran, a sud dell’odierna Türkiye», e poi, «dopo la morte e risurrezione di Gesù», quello dei discepoli che «si diressero anche verso l’Anatolia, e ad Antiochia», dove «vennero chiamati per la prima volta “cristiani”».
E ancora, l’inizio, da queste città, di alcuni viaggi apostolici di san Paolo, le antiche testimonianze secondo le quali a Efeso, sulle coste della penisola anatolica, «avrebbe soggiornato e sarebbe morto l’evangelista Giovanni», «il grande passato bizantino, l’impulso missionario della Chiesa di Costantinopoli e la diffusione del cristianesimo in tutto il Levante». Il Papa rammenta, inoltre, «le molte comunità dei cristiani di rito orientale» tutt’oggi presenti in Turchia – degli armeni, dei siri, dei caldei e di «quelle di rito latino» – e sottolinea che «il Patriarcato ecumenico continua a essere punto di riferimento sia per i propri fedeli greci che per quelli appartenenti ad altre denominazioni ortodosse».
La vera forza della Chiesa
Dio «ha scelto la via della piccolezza per discendere in mezzo a noi», dice il Papa alla piccola comunità ecclesiale della Turchia, aggiungendo che questo è «lo stile del Signore, che siamo tutti chiamati a testimoniare»; i profeti, infatti, hanno annunciato «la promessa di Dio parlando di un piccolo germoglio» che sarebbe spuntato, e Gesù ha elogiato i piccoli spiegando «che il Regno di Dio non si impone attirando l’attenzione, ma si sviluppa come il più piccolo di tutti i semi piantati nel terreno».
«Questa logica della piccolezza è la vera forza della Chiesa. Essa, infatti, non risiede nelle sue risorse e nelle sue strutture, né i frutti della sua missione derivano dal consenso numerico, dalla potenza economica o dalla rilevanza sociale. La Chiesa, al contrario, vive della luce dell’Agnello e, radunata attorno a Lui, è sospinta per le strade del mondo dalla potenza dello Spirito Santo. In questa missione, è costantemente chiamata ad affidarsi alla promessa del Signore: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di dare a voi il suo regno”».

Proseguire il lavoro pastorale con i giovani
Guardando alla realtà cristiana in Turchia, Leone vede i «tanti giovani che bussano alle porte della Chiesa cattolica, portandovi le loro domande e le loro inquietudini» come un segno bello e promettente ed esorta a proseguire il «lavoro pastorale», «ad ascoltare e accompagnare» le nuove generazioni, «ad avere cura» del «dialogo ecumenico e interreligioso», della «trasmissione della fede alla popolazione locale» e del «servizio pastorale ai rifugiati e ai migranti», la cui «presenza assai significativa» nel Paese «pone alla Chiesa la sfida dell’accoglienza». Ma c’è da considerare pure il fatto che la Chiesa in Turchia «è costituita da stranieri» e molti, fra «sacerdoti, suore, operatori pastorali» provengono «da altre terre», e serve uno «speciale impegno per l’inculturazione», attraverso la quale passa «la comunicazione del Vangelo».
Le tre sfide del Concilio di Nicea
Immancabile, poi, nelle parole del Pontefice il richiamo ai «primi otto Concili Ecumenici» e al «1700° anniversario del Primo Concilio di Nicea, evento sempre attuale». Per il Papa tre, in particolare, le sfide che ne scaturiscono oggi: «cogliere l’essenza della fede e dell’essere cristiani», «riscoprire in Cristo il volto di Dio Padre», «la mediazione della fede e lo sviluppo della dottrina».
Cercare sempre l’unità e l’essenzialità della fede
Circa «l’essenza della fede e dell’essere cristiani», Leone rimarca che a Nicea, nel “Simbolo” che vi è stato formulato, la Chiesa ha ritrovato «l’unità». E tale unità invita «a cercare sempre» la professione di fede dei padri conciliari riuniti nel 325, «pur dentro le diverse sensibilità, spiritualità e culture», insieme all’«essenzialità della fede cristiana attorno alla centralità di Cristo e alla Tradizione della Chiesa». Quell’assise «invita ancora oggi a riflettere» su «chi è Gesù per noi» e cosa significa essere cristiani, osserva il Papa che ritiene «il Simbolo della fede, professato unanimemente, criterio per il discernimento, bussola di orientamento, perno attorno al quale devono ruotare il nostro credere e il nostro agire». E proprio riguardo alla fede e alle opere il Pontefice esprime il suo ringraziamento alle organizzazioni internazionali, tra le quali Caritas Internationalis e Kirche in Not, per aver sostenuto le «attività caritative della Chiesa e soprattutto per l’aiuto alle vittime del terremoto nel 2023».
Riscoprire in Cristo il volto di Dio
A Nicea, poi è stata affermata la «divinità di Gesù e la sua uguaglianza con il Padre», per questo, per Leone, «la seconda sfida riguarda l’urgenza di riscoprire in Cristo il volto di Dio Padre»: «In Gesù noi troviamo il vero volto di Dio e la sua parola definitiva sull’umanità e sulla storia. Questa verità mette costantemente in crisi le nostre rappresentazioni di Dio, quando non corrispondono a quanto Gesù ci ha rivelato, e ci invita a un continuo discernimento critico sulle forme della nostra fede, della nostra preghiera, della vita pastorale e in generale della nostra spiritualità».

Il pericolo di un «arianesimo di ritorno»
Ma «nella cultura odierna e a volte tra gli stessi credenti» c’è il pericolo di «un “arianesimo di ritorno”», mette in guardia il Papa, e questo «quando si guarda a Gesù con ammirazione umana, magari anche con spirito religioso, ma senza considerarlo davvero come il Dio vivo e vero presente in mezzo a noi». In pratica ci si limita a considerare Gesù «un grande personaggio storico, un maestro sapiente, un profeta che ha lottato per la giustizia», mentre il Concilio di Nicea lo ha definito «il Figlio di Dio presente in mezzo a noi, che guida la storia verso il futuro che Dio ci ha promesso».
Mediare la fede nei linguaggi e contesti attuali
Infine, elaborato «in un contesto culturale complesso, il Simbolo di Nicea è riuscito a mediare l’essenza della fede attraverso le categorie culturali e filosofiche dell’epoca», e poi nel primo Concilio di Costantinopoli, è stato «approfondito e ampliato», sicché è divenuto «il Simbolo niceno-costantinopolitano, quello comunemente professato nelle nostre celebrazioni domenicali». Questo fa emergere «la mediazione della fede e lo sviluppo della dottrina», una terza sfida da considerare oggi: «Impariamo anche qui una grande lezione: è sempre necessario mediare la fede cristiana nei linguaggi e nelle categorie del contesto in cui viviamo, come fecero i Padri a Nicea e negli altri Concili. Allo stesso tempo, dobbiamo distinguere il nucleo della fede dalle formule e dalle forme storiche che lo esprimono, le quali restano sempre parziali e provvisorie e possono cambiare man mano che approfondiamo la dottrina».
A tal proposito il Pontefice fa notare l’insistenza del neo-dottore della Chiesa, San John Henry Newman, «sullo sviluppo della dottrina cristiana», che «non è un’idea astratta e statica, ma riflette il mistero stesso di Cristo», dunque è lo «sviluppo interno di un organismo vivente, che porta alla luce ed esplicita meglio il nucleo fondamentale della fede».
Conservare la gioia della fede
E prima di congedarsi Leone XIV si sofferma sulla figura di Giovanni XXIII, che ebbe diversi incarichi in Turchia e amò e servì il suo popolo, e augura a clero e laici «di conservare la gioia della fede” e “di lavorare come pescatori intrepidi nella barca del Signore».




