Sono passati 25 anni dall’ultimo convegno «Colpa e pena, una nuova cultura della giustizia», a cui avevano partecipato l’allora Arcivescovo di Milano, il cardinale Carlo Martini e Luciano Eusebi, professore ordinario di Diritto penale.
Ora la Delegazione di Caritas Lombardia, le Cappellanie lombarde e la Conferenza episcopale lombarda organizzano per sabato 18 ottobre alle 9, presso il Cineteatro Boccaleone (via Santa Bartolomea Capitanio 9, Bergamo), un convegno dal titolo «I nomi della giustizia. La questione penale in Lombardia tra memoria e futuro». L’iniziativa è frutto di un confronto serrato tra i cappellani lombardi e i direttori degli istituti, cui è seguito anche un coinvolgimento dei Vescovi lombarde.
«Si è pensato che questo convegno potesse ridire quella parola così importante, sacra, che è “giustizia”, declinata in diverse espressioni – dice don Marco Recalcati, cappellano di San Vittore e delegato regionale delle carceri della Lombardia -. Il nome della giustizia è tenerezza, dignità, accoglienza, dialogo e infine speranza, tema giubilare affidato al Vescovo di Crema, monsignor Daniele Gianotti, delegato Cei per la carità e il carcere».
Il convegno è rivolto in particolare a operatori, cappellani, responsabili Caritas e volontari attivi in ambito penitenziario. Dopo i saluti istituzionali di monsignor Francesco Beschi (Vescovo di Bergamo), Maria Milano (provveditore regionale dell’amministra penitenziaria) e Teresa Mazzotta (direttrice dell’Ufficio interdistrettuale esecuzione penale esterna), si entrerà nel vivo del seminario. Isabella Guanzini (filosofa e teologa) affronterà il tema «Giustizia e tenerezza»; Luciano Eusebi parlerà di «dignità», ripercorrendo alcuni passaggi importanti degli ultimi 25 anni; il tema dell’«accoglienza» sarà oggetto di confronto tra gli operatori delle Caritas lombarde ed Elena Marta, docente di Psicologia sociale e Psicologia di comunità. Invece Isabella Belliboni, vicepresidente dell’associazione Vol.Ca, rifletterà con i cappellani lombardi su «giustizia e dialogo», quindi passerà la parola a monsignor Gianotti che aprirà alla «speranza».
La mattinata, moderata da Paolo Lambruschi, giornalista di Avvenire, manterrà viva l’idea del carcere come extrema ratio, per cui Martini affermava: «La carcerazione va vista come intervento di emergenza, un estremo rimedio per arginare una violenza gratuita e ingiusta, impazzita e disumana».
La presenza dei cappellani è preziosa, rappresentano un faro nel buio della detenzione, un riferimento importante per credenti (anche di altre confessioni) e non. Le richieste sono di tre tipi, spiega don Recalcati: aiuti materiali, cui rispondono soprattutto le associazioni; ascolto del loro «mondo interiore, legato alla sofferenza per il reato commesso, alla mancanza della famiglia, alle tensioni inevitabili in carcere; annuncio del Vangelo, con «la scoperta di Dio che apre finestre inaspettate».
«Quella di oggi – conclude il cappellano – è una stagione in cui, a livello civile e anche politico, si fatica a dare risposte per sciogliere alcuni nodi: tutto sembra stantìo, faccio eco al film Aria ferma. Ma noi siamo chiamati a una presenza quotidiana e al coraggio di fare pressione, raccontare, lanciare segnali di denuncia, perché gli strumenti ci sono, senza arrivare ai giornali. Poi ci vuole tempo perché siano recepite all’interno del carcere, però qualche volta l’istituzione prende atto e pone antidoti, anticorpi necessari davanti a certe criticità».




