Più di cinquant’anni fa. Ma certi ricordi non si dimenticano, e non perché parlano di gioventù e di amicizie che non si sono mai interrotte, o perché, a esserne protagonista, è un amico che si chiama Mario e che oggi è l’Arcivescovo di Milano, ma perché rimangono nel cuore.
Tre compagni di Messa della classe di ordinazione 1975, appunto quella di monsignor Delpini – don Gianpiero Magni, don Virginio Pontiggia, don Felice Terreni e Ambrogio Piazzoni, compagno per alcuni anni di formazione -, infatti, “raccontano” l’Arcivescovo così, tra il passato degli studi comuni, compiuti nel Seminario di Venegono, e il presente.

Intraprendente, disponibile, ironico
«La nostra classe seminaristica era abbastanza numerosa – oltre una cinquantina di giovani – e riuniva personalità diverse, caratteri differenti, esperienze anche diversificate alle spalle. È stata un’esperienza bella, grazie agli educatori di allora, ma anche alla nostra amicizia», ricorda don Magni, facendo riferimento al 1970-1975. «Certo, don Mario si distingueva per intraprendenza. Erano anni particolari, di fermento nella Chiesa dopo il Concilio e anche nella società», prosegue don Gianpiero che, attualmente, è cappellano nell’Ospedale civile di Vimercate (MB).
«Ricordo il suo stile di sincera disponibilità, di immediatezza, che non ha perso, sempre unito a quell’ironia, un poco pungente, ma sempre simpatica, che non è mutata». Un’impressione – questa – condivisa da don Terreni, oggi residente con incarichi pastorali nella parrocchia dei Santi Carlo e Anna in Segrate (MB), località quartiere San Felice: «Don Mario in classe era molto partecipativo e sapeva sottolineare, con stile, alcuni aspetti divertenti di ciò che accadeva giorno per giorno. Era, ed è rimasto, semplice dal punto di vista del rapporto umano. Abbiamo frequentato Teologia insieme: una volta sono entrato nella sua stanza per parlare e mi sono stupito del suo rigore. La stanza era monacale e io ho sempre pensato – visto che vi era una stuoia sul pavimento -, che dormisse ogni tanto anche per terra».

«Ma come fa a fare tutto?»
«Eravamo insieme nella sezione B fino dal liceo, in Seminario, che allora era affollatissimo di ragazzi – rievoca don Virginio Pontiggia, canonico della Cattedrale e direttore dell’Archivio storico diocesano -. Mario spiccava per un suo caratteristico maglioncino rosso, ma divenne poco per volta un riferimento nella classe per ben altre caratteristiche: la generosità e la laboriosità. Ce ne rendiamo conto anche oggi, domandandoci spesso: “Ma come fa a fare tutte queste cose? Dove trova il tempo?”. Questa laboriosità, questa capacità di impegno senza sosta è sempre stata una componente della sua vita e della sua presenza nella nostra classe».

«Mario e io entrammo, a Venegono, in prima liceo ed eravamo i “nuovi” perché tutti gli altri compagni erano già in Seminario, mentre lui aveva precedentemente studiato in un collegio ad Arona e io venivo dalla scuola pubblica di Varese dove abitavo allora con la mia famiglia», fa memoria, da parte sua, il dottor Ambrogio Piazzoni, che non è diventato sacerdote, ma ora è nonno, e per molti anni è stato viceprefetto della Biblioteca apostolica vaticana e che, pur vivendo a Roma, non ha mai interrotto i rapporti con monsignor Delpini. «Tra noi ci fu una specie di solidarietà da “nuovi arrivati” e si creò subito una vicinanza, un modo abbastanza unanime di sentire. Mario pregava più di me. Per esempio ricordo che, una volta, nel boschetto del parco di Venegono, dopo aver parlato per un po’, mi propose di dire una preghiera; mi aspettavo un’Ave Maria, ma per sua iniziativa dicemmo tutto il Rosario. Questo per dire la sua attenzione alla dimensione spirituale che viveva anche nei momenti di svago. La preghiera era – e mi pare che sia ancora così – centrale in tutta la sua giornata».

Pronto ad aiutare chi restava indietro
«La sua era una laboriosità non fine a se stessa, ma che si trasformava in generosità nei confronti della comunità – concorda Pontiggia -. Voglio fare un esempio. Il liceo classico non è una scuola semplice: forse non tutti i seminaristi si sentivano pronti o adatti per questo ordine di studi. Qualcuno, dunque, faceva un po’ fatica a seguire alcune materie, specialmente il greco o anche la matematica. Mario era certamente il più generoso nel rendersi disponibile ad aiutare chi ne avesse bisogno. Dotato di una memoria formidabile, gli bastava spesso solo l’attenzione durante le lezioni scolastiche, per capire, ritenere, “sapere” l’argomento delle lezioni stesse. Perciò, utilizzava molta parte delle ore dedicate allo studio comunitario per aiutare qualcuno in maggiore difficoltà a preparare compiti o lezioni».
«A questo proposito, ho un ricordo molto particolare – prosegue Piazzoni -. Quando dovevamo presentare una specie di tesina per la maturità, io avevo scelto di parlare della nascita della società industriale. Chiesi consiglio a Mario che mi offrì uno spunto partendo dalle Lettere di Platone, da cui aveva fatto discendere lo sviluppo del pensiero dell’umanità verso l’industrializzazione e i rapporti moderni. Mi colpì, e mi colpisce ancora adesso, l’acutezza del ragionamento».
«Confermo che come compagno di studi era interessante», aggiunge don Terreni che, subito dopo, sorride facendo memoria di un antico giorno della festività di san Biagio: «Eravamo in Seminario e si era svolta la benedizione della gola, quando, nel pomeriggio durante la meditazione, sentiamo urlare dalle finestre. Erano don Mario e un altro compagno che “provavano” la gola».
L’intensità spirituale
Parole a cui fa eco ancora don Magni: «Il nostro motto sacerdotale è “Uomini per la speranza”: nasceva un po’ dal tempo che stavamo vivendo, con il vento nuovo del Concilio, ma anche dal desiderio, che mi pare tipico anche di don Mario come Arcivescovo, di guardare avanti con fiducia, coinvolgendosi con la speranza che non delude. Se la sua capacità di applicarsi allo studio in maniera svelta era nota a tutti, era molto veloce anche a collaborare. Allora, per esempio, bisognava stampare i ciclostilati dei testi delle lezioni e lui era sempre pronto. Queste erano attenzioni belle, che, mi sembra, dicano meglio di tanti discorsi, lo stile della vita. Uno stile che era segnato dalla sua intensità spirituale, anche nella scelta dello studio degli amati Padri orientali, e dalla preghiera personale. Non a caso, qualche settimana fa, avendo compiuto noi compagni il pellegrinaggio a Roma per il nostro 50° di ordinazione, gli ho detto, “Chiamaci a pregare” e così è stato».

«È vero», nota Pontiggia, riferendosi a due episodi, il primo più personale: «Qualche volta, per esempio nella serata del Giovedì Santo, eravamo invitati a sostare a lungo in adorazione davanti all’Eucaristia. Diversi di noi seminaristi lo facevano con impegno, ma Mario era uno dei pochi che riuscivano a trascorrere la notte intera in adorazione: seduto, o in ginocchio, con un quaderno tra le mani, sul quale scrivere i pensieri o le preghiere che il cuore suggeriva. Un secondo aspetto era, invece, legato all’animazione comunitaria della preghiera. In questo caso, si fece promotore di un’iniziativa spontanea: un tempo di preghiera serale, prima di concludere la giornata, proposto a un gruppetto di compagni. Si trattava di ritrovarsi, in una zona della basilica del Seminario, e di chiudere la giornata con un breve incontro di preghiera, composto molto semplicemente da personali intenzioni di domanda o di ringraziamento. Mi pare che sia la medesima capacità di pregare e di comporre testi originali che ritroviamo anche oggi nel suo ministero. Un essere prete che, fin dall’inizio e, ancor più dopo l’ordinazione episcopale nel 2007 con gli importanti incarichi ricoperti nel governo della Chiesa ambrosiana, fino al divenirne pastore e guida nel 2017, ha sempre offerto una concreta e brillante capacità di adattare la sua parola e la sua predicazione a un pubblico di adolescenti e di ragazzi».
I suoi racconti
«Questo aspetto è emerso, in particolare, a partire dai primi anni del ministero presbiterale, attraverso racconti, favole, piccole storie che sapeva inventare per comunicare un messaggio. Posso testimoniare che anche il cardinale Carlo Maria Martini (che, nel 1989, lo nominò rettore del Seminario minore, nel 1993 del quadriennio teologico e, nel 2000, rettore maggiore dei Seminari di Milano) si è servito della collaborazione di don Mario per questi aspetti del comunicare la Parola», evidenzia infine don Virginio che del cardinale Martini fu segretario dal 1990 al 1996.

«Da decenni ho pensato che sarebbe diventato Arcivescovo di Milano», spiega Ambrogio Piazzoni che, sposato allora da poco, con la moglie animava uno dei primi gruppi di preparazione al matrimonio a Roma, di cui proprio il giovane Delpini – in quegli anni studente in Scienze teologiche e patristiche presso l’Istituto Augustinianum della capitale -, divenne assistente spirituale. Ma forse, il ricordo che rimane più vivo è quello «di una “fuga” in moto dal Seminario di Saronno – io guidavo e lui sedeva dietro – percorrendo più di 70 chilometri per andare in montagna alla Forcora, in Val Veddasca, vicino al confine con la Svizzera, dove i miei avevano una casa di vacanza. Trascorremmo tutta la notte, insieme a un altro amico, in preghiera sotto le stelle. Era freddissimo e, ovviamente, mi ammalai. Lui, naturalmente, no».








