«Che bella la Chiesa che veste tutti i vestiti, canta tutti i canti, accoglie tutti i popoli. Che sorpresa accorgersi di come ogni popolo abbia un dono da portare. Che cose meravigliose si possono vedere oggi in questa chiesa, in questa festa. Ma nella fatica quotidiana, nelle frustrazioni che rattristano i nostri giorni, nelle difficoltà di comunicazione che sperimentiamo, in questo contesto complicato, sembra che il miracolo di Pentecoste, così affascinante, sia un sogno piuttosto che una realtà».
La celebrazione
In uno dei quartieri più multietnici della città, nella parrocchia della Beata Vergine Addolorata in San Siro, la Pentecoste, Festa diocesana delle Genti 2025, è questo. Un momento insieme di gioia e di riflessione, fin dal primo radunarsi di tante persone di provenienze diverse, per arrivare al pranzo condiviso. E tutto con, nella mente e nella preghiera, la pace, cui è dedicata la festa in quest’anno di guerra mondiale “a pezzi”, con il titolo “Cristo nostra pace”: l’espressione del secondo capitolo della Lettera agli Efesini che papa Leone citò il giorno della sua elezione al soglio di Pietro.
Nel cuore della mattinata, la celebrazione eucaristica è presieduta dall’Arcivescovo, accolto con gioia dai fedeli già nella zona antistante alla chiesa, in piazza Selinunte, e concelebrata da alcuni sacerdoti, tra cui il responsabile dell’Ufficio per la Pastorale dei Migranti, don Alberto Vitali che porge il saluto di benvenuto, richiamando la pace e tante guerre che i migranti provano sulla loro pelle nei Paesi di origine, i cappellani della stessa Pastorale e il parroco don Fabrizio Bazzoni.
Presenti anche gli operatori e volontari del progetto “Camminando”, di accompagnamento sociale dalla parrocchia personale dei migranti, in “Santo Stefano” a Milano; l’Agenzia scalabriniana per la cooperazione e lo sviluppo (Ascs) della parrocchia del Carmine; il Servizio accoglienza migranti (Sai) e il Servizio donne di Caritas; il settore migranti delle Acli provinciali di Milano; la ong Sole Terre. Non manca l’Ordine di Malta, che ogni due domeniche è davanti a “Santo Stefano” con una clinica mobile per offrire prestazioni sanitarie specialistiche e a cui è stato affidato il servizio ambulanze della giornata».

Una vera Chiesa dalle Genti
Ed è il vescovo Delpini che, nella sua omelia, parla dell’oggi di una città che è davvero un crocevia di popoli e di una Chiesa dalle Genti «che accolga e valorizzi tutti».
«Oggi facciamo festa – dice, infatti –, ma domani, quando dobbiamo affrontare la durezza del lavoro, quando sperimentiamo che abbiamo, magari, delle possibilità, delle competenze, ma questa città pare non abbia bisogno di queste professionalità e chieda soltanto un lavoro manuale; quando sperimentiamo la fatica per continuare a frequentare le scuole, gli ambienti di lavoro, può nascere una specie di umiliazione e l’interrogativo su che doni poter portare per costruire una vera Chiesa dalle Genti».
Ma dove sorge spontanea la domanda, su cosa poter fare magari provenendo dall’altra parte del mondo, la risposta non può che venire per tutti dal Signore. «Il mondo ha questa idea che, per essere vivi, bisogna essere vincitori, raggiungere risultati di cui vantarsi e che, per essere importanti, bisogna avere potere; che, per essere efficienti, bisogna fare, fare, fare. Il mondo non può capire lo spirito che Gesù ci dona». Appunto, la certezza di essere amati che ci permette di avere, a nostra volta, la capacità di amare.

Amare sempre
«Amare quando si è in piena efficienza e quando si vive nell’impotenza; quando si hanno ruoli importanti e quando non si può esercitare nessun ruolo; quando si prestano servizi e amare quando si deve accettare di essere serviti. Amare quando si parlano tante lingue e quando non si riesce nemmeno più a parlare. Amare quando si possono compiere opere meravigliose e quando non si può fare niente».
Un’ultima indicazione del vescovo Delpini è a riguardo dell’anno giubilare che stiamo vivendo. «Noi celebriamo oggi, in questo anno santo, il Giubileo della Speranza che non è il buon proposito di combinare grandi imprese e di conseguire grandi risultati. La speranza è la fiducia nella promessa di Dio che promette che tutti noi abbiamo la dignità irripetibile di essere figli e figlie di Dio. Dio promette di essere la nostra gioia, la nostra pace. Dobbiamo vivere la Pentecoste dell’anno santo senza immaginare che ci sia qualche evento portentoso che riempia di meraviglia la città. Il grande miracolo, il grande dono di Pentecoste, siamo noi, ciascuno di noi, se accoglie lo Spirito di Dio e si dispone ad amare».

Nell’anno del Giubileo: accogliere la promessa e vivere di gratitudine
«Il mondo che non conosce lo Spirito Santo ritiene che sia importante fare, essere operativi, produrre, conseguire risultati, prestare servizi. Coloro che accolgono lo Spirito di Gesù comprendono che ciò che veramente serve è amare ed essere amati. Lo Spirito rimane sempre con noi, come Spirito di amore. Rende possibile amare. Amare quando si è in piena efficienza e amare quando si vive nell’impotenza. Amare quando si hanno ruoli importanti e amare quando non si può esercitare nessun ruolo. Amare quando si prestano servizi e amare quando si deve accettare di essere serviti. Amare quando si parlano tante lingue e amare quando non si riesce a parlare. Amare quando si deve correre di qua e di là e amare quando si deve stare fermi. Amare quando si possono compiere opere meravigliose e amare quando non si può fare niente.
L’anno di grazia che stiamo vivendo è il tempo opportuno per rinnovare la speranza. La speranza non è costruita sul calcolo di quello che io posso procurarmi, sui risultati che posso conseguire, sulle mete che posso conquistare. La speranza che non delude è la risposta alla promessa che il Padre misericordioso ci rivela nella Pasqua di Gesù. Ci fidiamo della promessa e perciò viviamo nell’attesa e nella pazienza: il tempo infatti non è nemico della gioia, ma occasione propizia perché in ogni istante possiamo amare, sperare, pregare».
Poi, la festa con tanti piatti tipici delle diverse tradizioni culinarie, all’aperto come in un grande e variopinto picnic sul prato con semplicità, per dire tutti insieme che la pace è possibile e, se ci crediamo, è qui anche oggi.





