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Milano

Giubilei di consacrazione, «tempo per pregare e ascoltare come ci chiama il Signore»

Nella Basilica di Sant’Ambrogio l’Arcivescovo ha presieduto la celebrazione per le religiose che festeggiano significativi anniversari di professione. Un'occasione propizia per entrare «nel mistero del nome»: il proprio, quello della vocazione con cui si è chiamate e quello «segreto» dato da Dio per percorrere la sua via

di Annamaria BRACCINI

17 Maggio 2025
Alcune religiose presenti alla celebrazione (Agenzia Fotogramma)

La Basilica di Sant’Ambrogio bellissima, screziata di ombre e di luce primaverile, le religiose che la gremiscono, il canto del Giubileo che ricorda l’anno che stiamo vivendo, i 12 Kyrie ambrosiani che sottolineano la solennità della celebrazione dei giubilei di consacrazione, la Messa presieduta dall’Arcivescovo e concelebrata da diversi presbiteri – tra cui il vicario episcopale per la Vita consacrata e le Forme di nuova consacrazione monsignor Walter Magni e l’abate di Sant’Ambrogio monsignor Carlo Faccendini -, che si apre con il saluto portato da suor Monica delle Misericordine di San Gerardo di Monza a nome di tutte le consorelle in festa. Le sue parole ricordano la grazia di essere pellegrini di speranza e il 50esimo di ordinazione sacerdotale di monsignor Delpini, che risponde subito ringraziando: «La ragione del nostro trovarci in questa Basilica, che è chiesa giubilare e che accoglie tanti pellegrini e noi tutti, oggi, è occasione per cantare gloria a Dio che compie tante opere sorprendenti, rendendo grazie di tanti anni di consacrazione al Signore».

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Quelli che si celebrano, infatti, sono importanti anniversari di consacrazione: dai 15 ai 25 anni, dai 40 ai 50 e 60 anni – ben 61 le suore in questo caso – per arrivare al 70esimo, con 2 presenze e altrettante per il 75esimo. Ma vi è anche chi, pur non avendo potuto partecipare alla celebrazione, “compie” gli 80 anni di professione religiosa. In tutto, 135 festeggiate, appartenenti a 27 Congregazioni, con la più longeva ha 104 anni. Religiose e consacrate che svolgono il loro servizio in scuole, ospedali, Rsa e al fianco di poveri ed emarginati, come spiega suor Antonia Franzini, delegata diocesana dell’Usmi, l’Unione Superiori Maggiori d’Italia. 

I saluti dell’Arcivescovo prima della celebrazione (Agenzia Fotogramma)

Il nome 

A tutti – tanti anche i parenti, amici, parrocchiani delle religiose che non hanno voluto mancare – si rivolge l’intensa omelia di monsignor Delpini che avvia la sua riflessione dall’idea del «nome».  

«Il nome racconta la mia storia, parla dei miei genitori, di come mi hanno introdotto alla vita e alla vita di fede. Il mio nome di battesimo ha una lunga storia di riconoscenza da raccontare, una storia di grazia e di peccato, di lacrime e di sorrisi, di fatiche e di feste, di responsabilità e di obbedienza. Giunti a un anniversario significativo della propria vita, sarebbe bello fare della storia personale un racconto di conoscenza e di riconoscenza, di ricordo e di sapienza», osserva l’Arcivescovo che prosegue con «il nome con cui mi chiamano».

L’Arcivescovo durante l’omelia (Agenzia Fotogramma)

«Poi è venuta la vocazione, la scelta per una appartenenza a un Istituto di vita consacrata, l’evento della vestizione che mi fa riconoscere non come “la figlia di”, “la sorella di”, come succedeva al mio paese. Adesso mi chiamano suora, frate, don. Mi chiamano suora e parlano con me come non parlerebbero con nessuno, ma ricevo anche parole maliziose e sprezzanti che non ho meritato. Sono suora, frate, padre». Un nome – questo – che, a volte, fa sentire una sorta di lontananza, di genericità: «ma nel chiamarmi con il nome generico c’è qualche cosa di grande, di bello, di commovente: se non fossi suora, prete, frate sarei irriconoscibile, non mi parlerebbero come mi parlano, non mi chiederebbero le preghiere che mi chiedono. È quello che ho scelto, di fare della mia vita un dono, un servizio, una dedizione che non attira l’attenzione su di me, ma una appartenenza che dice a chi mi incontra: puoi contare su di me».

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Il nome misterioso, il nome della gloria

Eppure, c’è un nome più misterioso, più intimo, più decisivo, scandisce ancora l’Arcivescovo. È quello «con cui mi chiama il Signore», come Simone che Gesù chiama Pietro, o come Giacomo e Giovanni, i «figli del tuono».

«Nel rapporto personale con il Signore è consegnata la pietruzza bianca con il nome segreto. La celebrazione dell’anniversario della consacrazione di queste nostre sorelle e fratelli, è un dire grazie, ma forse è anche l’occasione propizia per raccogliersi in preghiera e ascoltare ancora come mi chiama il Signore, quell’intimità amorosa in cui può entrare solo il Signore e la mia libertà».

L’offertorio (Agenzia Fotogramma)

Ma quale è il nome, scritto sulla pietra a bianca, che il Signore ha dato solo a me? Immediata la risposta: «Si può dire che è il nome della gloria, cioè della partecipazione alla gloria del Signore. É il nome con cui siamo chiamati a percorrere la via di Dio: la via più sublime, inaccessibile alla carne e al sangue, capace di trasfigurare la carne e il sangue, gli affetti, i rapporti, lo stile. Il nome segreto ci chiama a vivere una vita paradossale e meravigliosa, a dar forma storica alla comunità alternativa rispetto alle logiche del mondo, a dare testimonianza della novità inaudita della risurrezione di Gesù. La pietruzza bianca, il nome segreto, è vedere tutto alla luce della gloria di Gesù, cosicché le persone con cui viviamo non sono solo presenze, ma sono quella vocazione ad essere un cuor solo e un’anima sola che ci mette tutti stupiti e grati in ascolto del Signore».   

Infine, il canto corale del Magnificat, la benedizione solenne e le festeggiate che – chiamate secondo l’appartenenza ai rispettivi Istituti – ai piedi dell’altare maggiore, tra tanti applausi e felicitazioni, ricevono in dono dalle mani dell’Arcivescovo il volume Varcare la porta. Il Giubileo secondo i Padri.

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di suor Antonia FRANZINI