Nella mattina della Pasqua di Risurrezione del Signore, si celebra «il vero giorno di Dio, radioso di santa luce», come recita l’Inno del patrono Ambrogio, nel Pontificale di Pasqua presieduto dall’Arcivescovo e concelebrato dai Canonici del Capitolo, in Duomo, dove trovano posto un gran numero di fedeli, anche stranieri.
Tra le navate della Cattedrale, i Dodici Kyrie della solenne Liturgia ambrosiana, i gesti, le antiche melodie eseguite dalla Cappella musicale del Duomo e, per l’occasione, da un ensemble di ottoni, le tre Letture tratte dal Nuovo Testamento – attraverso pagine degli Atti degli Apostoli, della I Epistola ai Corinzi e del Vangelo di Giovanni – definiscono il senso della gioia di partecipare a un nuovo inizio. Quello del Signore risorto che appare a persone importanti, ma anche, in seguito, «a più di cinquecento fratelli in una sola volta», come narra l’apostolo Paolo.

Gente qualsiasi, ma cercata da Gesù
«Forse noi possiamo considerarci tra questo gruppo numeroso e indistinto, il gruppo dei cinquecento. Coloro che non c’è bisogno di nominare, che non si sono distinti per opere importanti, per discorsi memorabili, per storie di santità e che, nella storia, sono scomparsi senza lasciare traccia», osserva subito monsignor Delpini nella sua omelia.
Donne e uomini di ogni tempo e ogni terra, insomma, che «non pretendono di essere ascoltati – magari per le loro vite sbagliate come Maria di Magdala -, che non hanno l’ambizione di occupare posti di prestigio e non sono alla ricerca della notorietà», ma ai quali basta «essere riconosciuti da Gesù e da lui cercati». Rimanendo «non un grande faro, ma una piccola lampada».

La grazia offerta a tutti
«Siamo come quella piccola lampada rossa che si tiene accesa presso il tabernacolo – continua, infatti, l’Arcivescovo -, che non riempie di luce la chiesa, non canta, non parla, non serve a scaldare qualcuno, ma serve a dire che qui c’è il Signore. Continuiamo a bruciare per dire: “Il Signore è vivo, è risorto, è qui”, là dove viviamo, là dove si nasce, dove si muore, dove si ama, dove si piange, là dove si pratica il bene di cui nessuno si accorge, dove una vita sbagliata e rovinata si aggiusta e si apre alla speranza». Come quelle dei tanti detenuti che, di mattina presto, nella Rotonda del carcere di San Vittore, hanno accolto l’Arcivescovo per la celebrazione della prima Messa del giorno.
E forse pensando proprio all’intensa giornata di celebrazioni e preghiera pasquali (nel pomeriggio in Duomo presiederà i Secondi Vesperi Pontificali e la processione al Fonte), monsignor Delpini conclude: «La grazia di questo Anno santo, del Giubileo, è offerta a tutti – a chi può andare a Roma e a chi no -, anche qui, in questa Cattedrale che è chiesa giubilare, perché qualunque sia la nostra storia, possa sperimentare lo stupore di essere visitata dal Signore, trasfigurata in luce, e poter ardere come un segno perché nell’umanità ci sia una parola che dice: “Qui c’è il Signore”. Per questo possiamo coltivare la speranza».

L’augurio
Al termine del Pontificale, prima di recarsi, come tradizione, al pranzo con gli ospiti, dell’Opera Cardinale Ferrari – i “Carissimi” -, c’è ancora tempo per un augurio, prima della benedizione cui è annessa l’indulgenza plenaria, nella forma consueta della Chiesa, per facoltà ottenuta da papa Francesco. «Auguro giorni di Pasqua intensi e lieti – dice infatti monsignor Delpini -. Che il Signore possa infondere nei nostri cuori lo Spirito, con la sua gioia e la sua carità, possa accendere una piccola luce in noi, perché possiamo dire, Gesù è risorto, io l’ho incontrato: egli è vivo e cammina con noi. Siate tutti benedetti».




